Cerca

giovedì 20 dicembre 2012

E se...

Premessa: non credo all'imminente fine del mondo.

Tuttavia, cado nel cliché del post dedicato, nonché nel circolo vizioso del bombardamento mediatico in proposito. Del resto, se ci avessi creduto oggi avrebbe potuto essere il mio ultimo giorno. Il mio secondo giorno da sedicenne, centosessantottesimo giorno da ragazza-in-una-storia-a-distanza, il mio ultimo giorno.

In quanto giorno ordinario, non ho fatto nulla di straordinario: scuola, pranzo, letto un buon libro, cena, acceso il computer, suonato un po'. Se la vedessi dal punto di vista "oddio oddio questo è il mio ultimo giorno" potrei dire di averlo deliberatamente spinto in mezzo alla strada e lasciato che venisse investito da quel grande rullo compressore che è la mia stupida routine. Buttato via così. In casa a fare niente.

Un po' di rimpianti ce li ho, ma non tanti, per fortuna, per via delle mie convinzioni.

Rimane comunque che, se di punto in bianco mi si annunciasse una mattina che quello che vado a cominciare è il mio ultimo giorno, o l'ultimo giorno del mondo, o quello che è, morirei miseramente schiacciata dal mio copione di settimane sempre uguali. Non che in questo ci sia niente di così drammatico, ora che ci penso. Manie di protagonismo di noi esseri umani che verso la morte vogliamo andare in una corsa sfrenata e fulgida. A me non importa. Forse giusto salutare tutti sarebbe buono, poi se ci fosse un aldilà ci si ritroverebbe lì, e se no non sarebbe problema nostro perché non esisteremmo. Il pensare all'annullamento della mia mente è sempre stato inquietante. Immaginare che un giorno non avrò più raziocinio in quanto non avrò più vita. E' buffo pensare tipo "chissà cosa si prova a non esistere più", e rendersi conto che non esistere implica che non puoi provare niente. Più che altro mi domando dove si vada a finire. Un aldilà? Un nuovo corpo? Il nulla? E se divento nulla, non io in generale, ma il mio io attuale, la mia identità e i miei ricordi, allora qui cosa ci sto a fare? E il bello è che mi pongo queste domande da una vita (sia pure relativamente breve), ma solo adesso le sto mettendo per iscritto per la prima volta. Quando invece dovrei essere già a letto da almeno una mezz'ora.

Infatti adesso è meglio che io smetta di parlare a vanvera e vada a dormire. Poi tanto domani è l'ultimo giorno di trantran, e poi alla mia routine le vacanze daranno un bel calcio nel sedere.

Quindi, chissenefrega :3

venerdì 14 dicembre 2012

Noia.

La mia mente si dondola avanti e indietro appesa al tedioso filo dell'attesa.

Attesa che tu ritorni per poter parlare almeno un po', per poterti dire buonanotte, per stare con te, per quanto in modo estremamente a-fisico.
Attesa che questi 19 giorni diventino 18 e poi 17 e poi 16 e poi finiscano, finalmente, e che tutta questa tensione e impressione di non arrivare viva e psicologicamente stabile a gennaio si liberi di colpo rivedendoti.
Stupida concezione soggettiva del tempo: Appena ho cominciato a tenere il conto di quanti giorni mancavano (e se mi ci mettessi potrei contare anche le ore) da settimane brevi come giorni che mi volavano sotto il naso sono passata a percepire minuti viscosi e statici lunghi come ore.

Lo vedi, il mio tempo è unicamente per te. E se non ci sei tu, sì, faccio finta di fare qualcos'altro, ma in realtà anche questo è finalizzato solo e soltanto a te. Mi racconto la piccola bugia di avere la capacità di coltivare altri interessi in tua assenza, scrivo canzoni, poesie, deliri strani che diventano post di blog, suono, faccio i compiti a volte, persino. Sono riuscita a infilarti in mezzo ai miei compiti d'italiano. Scrivere una quartina di endecasillabi rimata AABB, con tema il tempo.

L'angoscia dilagava nel mio cuore,
mentre minuti lunghi come ore
avrei aspettato e avevo da aspettare
per poterti di nuovo rincontrare.

Che cosa orrida la rima baciata, non trovi? Fa suonare tutto estremamente infantile. Posso capire la musicalità degli endecasillabi e l'importanza di saper scrivere in rima. Ma trovo che la rima alternata e quella incrociata siano di gran lunga meno demenziali. Se non altro non rendono l'intera quartina simile a una filastrocca.
Ho appena deciso. Dato che non sono capace di scrivere canzoni, ti scriverò un sonetto, prima o poi. Tanto il prof d'italiano sicuramente ce ne farà scrivere a badilate, direi che mi allenerò giusto un pochino.

Credo che tu sia un'ottima fonte d'ispirazione. Era un sacco che non scrivevo così tanto in così poco tempo. Non che io abbia scritto poi tantissimo alla fine, eh. Eppure sono solo dieci minuti che sono alla tastiera, ed ecco spuntare dal nulla righe su righe di caratteri allineati e relativamente sensati, senza che io mi sia ripresa una sola volta sul da dirsi. Per la prima volta dopo non so esattamente quanto tempo, riesco a far correre la mente a briglie sciolte e farla divagare dove vuole senza strane citazioni da elaborare o obblighi che la mia coscienza mi impone. Briglie sciolte, poi, si fa per dire.

Curioso come la mia mente, una volta fissata la mia più totale attenzione su qualcosa, diventi simile a un imbuto in cui tutti i pensieri si riversano per gravità. E tu sei quel centro di gravità. I miei pensieri non ci provano nemmeno per sbaglio, a divagare. Per quale motivo dovrebbero mai? E' come se si potesse concepire l'idea che un filo d'erba voli nel cielo o che i fiumi scorrano al contrario. E contemporaneamente faccio molto più caso di prima alle cose che potrebbero anche solo lontanamente centrare con te. Non tanto tempo fa spulciando il libro di biologia avevo letto qualcosa che più o meno diceva che il cervello è in grado di filtrare gli stimoli che per noi sono rilevanti e quelli che non lo sono. Questo spiega tante cose. Le storie che mi raccontava mia madre sul fatto che una madre qualunque poteva avere il sonno pesantissimo e restare dormientemente impassibile a qualunque rumore molesto, ma allo stesso tempo il minimo gemito da parte di un figlio la faceva subito svegliare; il fatto che per quanto si possa essere persi nei propri pensieri, se si è chiamati per nome ci si accorge sempre; questo ammasso di tue citazioni di cui è pieno il mondo, e di cui prima non mi accorgevo perché non conoscevo te.

La mia mente continua a dondolarsi appesa al tedioso filo dell'attesa e alla snervante consapevolezza che non ci sei.

Mi avvinghio strenuamente ai pochi ricordi sempre più sfocati di quella manciata di giorni passati insieme. Così pochi in confronto all'enormità di tempo che è passata e sta passando. Così sfumati e confusi nonostante le foto e il diario che tenevo nei primi giorni, in cui scrivevo tutto. Credo che rileggerò quella parte, e anche tutte le nostre conversazioni. E i tuoi sms in cui ogni tanto tiravi fuori dal nulla parole in spagnolo. Che se non fosse per quelli, e per te che una volta hai scritto "hàblar" sulla pagina di un mio quadernino, non avrei prove tangibili che sono davvero stata in Inghilterra quest'estate e che lì c'eri anche tu. Beh, sì, dall'Inghilterra ho portato pacchi di souvenir, ma avrei voluto essere capace di mantenere i particolari del poco tempo che abbiamo avuto ben fissi in mente. Invece è come se quella porzione della mia vita fosse una magica bolla di sapone cosmico che fluttua nella mia memoria scoppiando e riformandosi a momenti alterni, e io sono sempre a chiedermi perché non ricordo più niente. Poi a un tratto dal nulla sento un odore o vedo qualcosa o ascolto una canzone e mi tornano in mente frammenti di scene vivide come non mai, e divento di nuovo cosciente di quanto fosse bello mangiare cioccolatini per cena, rotolare assieme negli sterminati prati in discesa del campus, scambiarci le felpe, pattinare mano nella mano con tanto di training autogeno per non cadere, raccontarci l'uno all'altra piano piano, un aneddoto dopo l'altro, lavare insieme una felpa XXL e non so quante magliette, assisterci a vicenda tra infezioni e influenze varie, appartarci sull'erba per conto nostro ogni singola volta che ci si trovava al meeting point, le infinite prove di teatro dalle quali tornavamo camminando abbracciati, col passo sincronizzato come fossimo una sola persona, darsi la buonanotte a mezzanotte, dopo lo spuntino serale, e l'accortezza di tornare subito a dormire per evitare i giri di ronda. Tutto questo in meno di due settimane. Anzi, questo è niente. E a maggior ragione mi manca, mi manchi tu.

Il telefono vibra, spezzando il tedioso filo dell'attesa che mi attanagliava fino a poco fa. Finalmente sei tu. Se non altro ho potuto darti la buonanotte più o meno come si deve.

Quando ti rivedrò, una delle cose più importanti che devo fare è imprimere il più possibile nella mente il suono della tua voce.

Ho paura di dimenticare.

domenica 9 dicembre 2012

Pose.

Mi scuso del mio prolungato silenzio, dovuto a boh, non so cosa, e riprendo i miei soliloqui strani e insensati.

Ecco una cosa che non so fare. Mettermi in posa per le foto. Curioso notare come, non a caso, tutte le foto della carta d'identità, del libretto delle giustificazioni e di altri siffatti formalissimi burocratici contesti, mi ritraggono con un'espressione altamente idiota che mi ritrovo a odiare. Io non sono così. Non ho la schiena perennemente dritta, il sorrisino ebete ibernato nei muscoli facciali e lo sguardo perso nel vuoto dove dovrebbe esserci un'ipotetica macchina fotografica. No, direi di no, non credo per niente nelle pose. Non ci rappresentano (almeno non il più delle volte. E se uno è una posa allora è una persona veramente triste). Sono sempre stata fautrice (e autrice) delle foto a sorpresa, quelle che tiri fuori di soppiatto il cellulare mentre i tuoi amici ridono sguaiatamente senza sospetti, e a tradimento catturi espressioni che quando sei in posa non puoi assumere. Catturi la disinvoltura. Quando vedo foto scattate a mia insaputa il più delle volte in fondo mi piacciono, anche se sulle prime rimango pensando "E quando mai la mia faccia mentre parlo ha quella forma? D:". Alla fine sono sicuramente più rappresentative dei tentativi burdi di fototessera fatti in casa da mio padre.
Non sono fatta per stare in posa, non sono fatta per stare negli schemi. Non sono una ragazza immagine, non sono una di quelle che camminano dritte senza mai inciampare in niente e senza mai rovesciare cose a caso. Non sono una che presta attenzione alla discrezione in funzione dei giudizi altrui. Io sono una che gira con felpe logore e larghissime di persone care, e chisseneimporta se gli altri pensano che sono troppo logore e larghe per rasentare la decenza; una che metterebbe enormi fermagli a forma di fiore tra i capelli anche adesso e anche se non siamo alle hawaii, se non continuassi a perderli in giro in continuazione; sono una goffa, imbranata, persa nel proprio mondo dove esistono la Pangea e il teletrasporto; una che inciampa in un gradino o scivola su una lastra di ghiaccio mentre un cilindro umano dai capelli cotonati, spettatore casuale, se la ghigna da sotto la sua maschera di fondotinta. Amore mio, ricordati di metterne un po' di più la prossima volta. Sai, ti si vedono dei brufolini giusto lì sulla fronte... E poi hai visto mai che il tuo naso rimpicciolisca, così facendo.

Sarete belli voi, con le vostre tonnellate di trucco, le vostre schiene burocraticamente dritte, il vostro sguardo burocraticamente perso nella fotocamera e il vostro esser convinti che la perfezione sia un modello (e meno male che non sto a parlare di quell'orda di gente che pubblica autoscatti in cui fa facce strane o mette in mostra il corpo, perfetto o photoshoppato che sia, perché anche lì ne avrei tante da dire). Restate pure nelle vostre pose statiche, che se muove un alito di vento poi passate le successive 3 ore a risistemarvi. Credete pure che sia perfezione, dai. Boiate.

Ognuno di noi può essere perfetto con le persone giuste al proprio fianco, o con una logora felpa XXL addosso e un fiorellino verdeazzurro tra i capelli.

martedì 27 novembre 2012

Pozzanghere.


La pioggia di novembre
distrugge tutto,
tingendo
i miei occhi
di grigio,
le mie speranze
di fango.

Sorrido dormo annego
in questa calda apatia
di tessuti sintetici,
in questo mio guscio
di cartapesta colorata.

lunedì 19 novembre 2012

Bah.

Maschere, sia io sia la gente ci domandiamo con ansia crescente se quello che siamo e mostriamo agli altri siano solo stupide maschere.

Secondo me la nostra mente ribolle di pensieri che permangono sempre, solo che, come succede in una pentola d'acqua in ebollizione, non possono stare tutti a galla contemporaneamente. E così, a seconda di quello che ci passa per la testa, siamo un giorno in un modo, un giorno in un altro. E cambiamo anche, ma siamo sempre noi, perché i cambiamenti sono insiti in pensieri di cui non ci rendiamo conto, che nascono in sordina e destrutturano tutte le nostre fantastiche congetture psicologiche.

Ho visto persone a me care invadere con la rabbia tutto il mondo circostante a cominciare da loro stesse, ho visto il loro odio tangere il mondo e sconvolgermi, e ho visto quelle stesse persone tornare in sé e risorgere dal nulla poco dopo.

Ho visto me stessa cercare in giro, trovare, perdere e riconquistare speranze, fiducia, affetto e brandelli di ego perduti nell'etere.

Maschere? Passare il proprio tempo a far credere di non essere parte di ciò che si è usando strani modelli comportamentali e causandosi crisi esistenziali di varia natura?

Nah, troppo complicato.

venerdì 16 novembre 2012

Sogni. (Incubi?)

Ultimamente mi sembra di vivere in un enorme sogno di ovatta. Il mio mondo si è fuso, confuso e sfilacciato in strani complicati modi, e le emozioni suonano come ricordi lontani di cui mi giungono vaghi echi di tanto in tanto.
Le speranze, poi, ancora peggio. Vago nel mio mondo comatoso invaso dai fazzolettini mutanti di stagione, cercando luci in ogni angolo, ma più vado avanti più tutto diventa sempre più buio, buio, buio. Oppure, cosa altrettanto probabile, io sono sempre più cieca, cieca, cieca. E le poche speranze che ho io di mio mi sembrano di scarso valore, e vanno scemando pure quelle.
Gran parte delle mie convinzioni, di fronte a un'ingorda realtà, si sono rivelate essere solide quanto la panna montata, e sono state impietosamente inghiottite, sparite nel giro di una frazione di secondo.
Sto sveglia ad orari impossibili anche se muoio di sonno e ho delle borse sotto gli occhi che arrivano fino a terra, mangio senza avere la benché minima traccia di fame, mi trascino attraverso questo stupido tempo troppo uguale e troppo freddo senza avere la forza o la convinzione di concludere niente, sballottata su e giù attraverso una routine sempre uguale da curiosi e insoliti colpi di (s)fortuna, sono stanca di essere stanca. Sto smettendo di vivere, credo. O forse è solo il raffreddore.

Una volta ho fatto un sogno inquietante. Ero in acqua, e ho iniziato a nuotare verso il fondo, se un fondo c'era. E quando ho finito il fiato per proseguire, ero scesa troppo in profondità per riuscire a tornare in superficie. Mi sono svegliata senza fiato nei polmoni.

Pff, stupidi sogni.

mercoledì 14 novembre 2012

Non importa a nessuno.

Non importa assolutamente a nessuno se fai la vittima con te stessa mentalmente, se sei sull'orlo delle lacrime, se fai buon viso a cattivo gioco portando maschere di cartapesta, se l'autolesionismo fisico ti fa orrore ma in realtà la tua anima si taglia continuamente le vene, se ti senti esclusa.

Non. Importa. A. Nessuno.

E non suscita interesse nemmeno il fatto che ti vuoi vendicare di gesti che in realtà dovresti solo apprezzare, tanto poi sai che non farai mai niente perché non ne sei in grado nemmeno per caso, nemmeno per sbaglio. Non sei nemmeno in grado di rispondere o di argomentare. E sei superficiale come uno stupido specchio.

Ergo. Dove vuoi andare? Cosa stai diventando?
E soprattutto, per l'ennesima volta, chi ti credi di essere?

domenica 11 novembre 2012

Pausa di riflessione.

Ogni tanto, è bene ricordarsi di mandare mentalmente a farsi friggere le incombenze del caso, i compiti, i social network di sto ciuffolo, le preoccupazioni, gli stupidi corsi di canto corale fissati ad orari indegni, l'inesistenza del dono dell'ubiquità, l'orologio, la consapevolezza che un'altra giornata è finita, la paura per il futuro. Anzi, no, quella la si bisogna prendere, sezionare ed esaminare ben bene in modo critico, magari con un po' di musica deprimente di sottofondo. Poi però bisogna accartocciarla, farne una pallina e con un calcio spedirla nel proprio cestino mentale, e possibilmente fare in modo che resti lì. Magari insieme a quella finta corazza e a quella maschera da io-sono-un-duro-e-non-potete-ferirmi.

E una volta privati del nostro stupido guscio, anche senza ammettere platealmente la propria debolezza, è bello lasciare che qualcuno  la intuisca e leccandoci le ferite ci rassicuri. E' bello, per un momento, non aver bisogno di sentirsi dire "andrà tutto bene", perché non ci si sta ponendo il problema di cosa potrebbe andare storto.

Ogni tanto, è bene ricordarsi di dimenticare.

sabato 3 novembre 2012

Eclissi.

Piango. Non so perché, ma piango, e se cerco di reprimere l'impulso dei miei muscoli facciali a contrarsi, è ancora peggio. Approfitto della solitudine della mia stanza, che una porta separa dal resto del mondo, e maschero i miei singhiozzi malcelati buttando la faccia sul cuscino e mettendo su musica a un volume ragionevole, o, se non altro, abbastanza alto perché si confonda con il mio respiro troppo forte.

Vivo in un mondo a parte, staccata dalla mia famiglia. Il pomeriggio e la sera li passo fissi chiusa in camera, non potendo - o non volendo - uscire. Unici momenti di dialogo, colazione, cena e due minuti quando i miei tornano dal lavoro. Non so da quanto tempo non sto seriamente con la mia famiglia. Per una volta, per una sola volta, ho provato a starci assieme, e peraltro eravamo anche a casa delle zie e inspiegabilmente mi sentivo particolarmente di buon umore e ben disposta. E i miei fratelli e io eravamo lì in un angolino ridendo e scherzando, ma senza far poi tutto sto gran trambusto. Ed era bello ridere con loro.

Ci ho provato. E cosa ho ottenuto? Mi sono presa della bambina e dell'infantile e sono stata costretta a sedermi da un'altra parte. Faccia al muro perché nessuno mi vedesse reprimere le lacrime. Mi provo a guardare allo specchio e, alla vista del mio riflesso, lo romperei volentieri con un calcio rotante, per rendere più giustizia alla mia immagine. Perché non mi sento più una persona. Sono solo un ammasso di briciole. Volto le spalle alla pietosa apparizione che è la mia immagine riflessa. Mi sorprendo un trenta secondi dopo, sempre cercando di non singhiozzare, il viso travolto dalla rabbia che picchia per uscire fuori, con due asciugamani bagnati che sanno di cloro in una mano, e l'altra mano che tamburella il ritmo di Guiding Light su uno scaffale della libreria.

Mi dico: "Non voglio vivere più qui."
E mi chiedo: "Dove andrò a finire?"


Sì, eclissatemi come se fossi il mucchietto di polvere raccolto dalla scopa, in un angolino della stanza.
Ormai non vi appartengo più. Ma aspettatevi di vedermi sublimare nel nulla non appena si aprirà una finestra.


Loved by numbers , you're losing life's wonder ; touch like strangers; detached, I can't feel you anymore.
The sunshine trapped in our hearts, it could rise again, but i'm lost, crushed, cold and confused with no guiding light left inside...

giovedì 1 novembre 2012

Ipotesi.

Forse eravamo in mano a un'entità strana che gioca con le vite umane come fossero mattoncini lego. Magari eravamo legati assieme, e ci ha staccati e lanciati in due punti a caso nella sua cameretta esistenziale.
E poi ci siamo ritrovati per caso nello scatolone dei giochi.

sabato 27 ottobre 2012

Date night. (Quando la distanza ha i suoi su e i suoi giù)

Non avrei pensato di poter avere un appuntamento anche a distanza. Eppure, sarà che sono cotta come una pera sotto la vampa d'agosto, sarà che forse è un appuntamento più questo che non quelli che ho avuto prima d'ora, è una delle serate più belle della mia vita.

E' tutta la giornata che sono in fibrillazione, del tipo, "lalalala, stasera ho un appuntamento con il mio ragazzo, yeeeah". Sono quelle piccole cose che ti fanno vedere il mondo intorno con un'altra prospettiva, e magari invece che con un grugnito la cena la mangi sorridendo, e ti sembra più buono persino il monotono e triste puré di patate quando dopo mangiato sai che, beh, il mare sarà pur ancora lì in mezzo e la Pangea non sarà tornata ad esistere, ma starete comunque guardando Scrubs assieme.

Quindi, finito cena e piazzatami a pc, questo tanto atteso, pianificato e svariate volte rimandato date night ha avuto inizio. E' stato strano, ma molto bello, e mi ha ricordato che anche a distanza ci si può voler bene lo stesso. Anzi. A volte mi sembra che tutti quei chilometri non bastino quasi a contenere tutto il bene che ci vogliamo. E anche se eravamo, di fatto, separati fisicamente, le nostre menti erano comunque in sintonia. E' ovvio che se avessimo potuto essere vicini (magari raggomitolati in un piumone gigante o nelle nostre felpe altrettanto giganti, con la sola compagnia di un enorme pacco di pop-corn) sarebbe stata tutta un'altra cosa, però in qualche modo è un'esperienza costruttiva.

Perché ok, per iniziare una storia a distanza seria con qualcuno che si conosce da 15 giorni, c'è da esser matti, questo era già assodato. Se poi, come me, sei un'adolescente con genitori-più-rigidi-della-media-che-non-aiutano-per-niente, allora è una sconsideratezza. Però l'abbiamo fatto lo stesso, e ci siamo dentro. E siamo terribilmente convinti. Sottolineo, terribilmente. Siamo determinati a livelli assurdi. Siamo più forti della distanza, del mare, del tempo che passa, dei continui "no", anche se al nostro attivo per ora abbiamo unicamente quelle due bellissime settimane passate insieme per caso, per sbaglio o per qualche ragione cosmica oscura ai comuni mortali. E non è che sia facile essere forti, sia chiaro. Mi sto abituando a vivere tra sbalzi di umore, speranze, progetti, periodacci intervallati da giornate sopra la media e, per contro, giornate assolutamente normali punteggiate da breakdown casuali e immotivati. Giorni in cui penso che andrà avanti per sempre e momenti in cui mi sembra che tutto si sgretoli. Certi attimi in cui non so cosa volere e certi altri in cui sono al limite della sopportazione. Tutto questo sapendo che per rivederci dovremo aspettare ancora non so quanti mesi, va' a capire perché.

E' così che va, ma in tutto ciò si impara qualcosa di estremamente importante, che nelle storie non-a-distanza spesso si dimentica: non darsi mai per scontati. I momenti assieme diventano delle piccole cose preziose e importantissime, dei ricordi a cui abbandonarsi quando dentro e fuori tutto sembra così solitario e vuoto e grigio e freddo e privo di ogni sorta di speranza. Le parole diventano fondamentali, è essenziale parlare di tutto e anche una semplice frase affettuosa diventa una dimostrazione d'affetto. E quando si riesce ad abolire la distanza il rapporto che c'è è fantastico, perché è fondato su delle basi solide.

Il mondo può anche pensare che siamo delle piccole insignificanti pazze persone che da tutto ciò non concluderanno niente. E io non credo certo di cambiarlo. Però prendermi il gusto di dire "questa storia è nostra e non ce la potrà portare via nessuno", quello sì, me lo voglio prendere.

Non è mai stato così bello lottare anima e corpo per qualcosa.

domenica 21 ottobre 2012

Illuminazione (?)

Ho appena scoperto perché non ho mai voglia di andare a dormire.

Mi sto rendendo conto che mi risulta profondamente irritante l'idea di vedere una giornata passare e andarsene senza che io abbia concluso niente di utile o di sensato.
Sì, è vero, ho cucinato dei biscotti alle arachidi e ho imparato a graficare con Photoshop (per poi scoprire, tra l'altro, che non sono per niente brava), ma che cos'ho concluso? Le mie scadenze e i miei impegni sono lì che mi aspettano e io sono paurosamente impreparata. E il weekend è finito.

Complimenti, Mary, hai appena buttato al vento tutto il tempo che avevi per fare cose e portarti avanti in questo attesissimo finesettimana. Hai tenuto duro tutti i giorni sperando di poterti riposare, e il risultato è questo: niente. E ora taci, vai a dormire e trascinati giorno dopo giorno finché non avrai sprecato in nulla un'altra settimana.

venerdì 19 ottobre 2012

Influssi.

Fino a qualche tempo fa credevo fermamente nell'influsso del magico numero 19, partendo dall'egocentrico presupposto che, dato che è il giorno in cui sono nata, deve per forza portarmi fortuna in qualche modo, ovunque lo si trovi. E quindi tutti i 19 di ogni mese diventavano giorni speciali. Spesso, dato che ci credevo, lo erano anche. Ma poi ho scoperto che simili cose non accadono davvero sulla terra, e quindi ci ho dato un taglio.

Però però però, questa è stata proprio una giornatina niente male, piombata così dal nulla in un periodo in cui tutto sembrava andare, ecco, non dico storto, ma qualcosa del genere. Come se le cose si trascinassero in avanti trascinandosi e incespicando l'una sull'altra.
Beh, tanto per cominciare era l'ultimo giorno della settimana scolastica. Notare che per tutta la settimana ogni santo giorno mi ripromettevo di non andare a scuola, ma c'era sempre qualche buona scusa: il compito di questo, l'interrogazione di quell'altro, la spiegazione imperdibile di mate in prossimità di verifica, la dannatissima routine. E arrivata a stamattina mi sono detta, beh, ormai è l'ultimo e poi c'è il weekend, tanto vale. Ma la giornata scolastica non l'ho vissuta con odio, anzi, direi che mi trovavo abbastanza bene. E le tanto temute due-ore-di-mate-di-fila sono state meno traumatiche del solito, e le chiacchiere sulla carriera universitaria del prof di disegno sono state sostituite da flussi di coscienza e una lettera che qualche ora fa ho affrancato e spedito.
Poi, beh, poi c'è stato il fatto che oggi eccezionalmente all'una e un quarto già stavo pranzando, grazie all'ora di religione che non faccio e che mi fa tornare a casa prima. Il fatto di avere un'ora in più a disposizione mi ha fatta sentire tipo potente. E mi ha permesso di fare videochiamate a destra e a manca, una con il mio migliore amico, una con il mio ragazzo. E intanto si andavano facendo preparativi per un'ipotetica uscita che non si sapeva ancora se fosse pomeridiana o serale.
Quando i miei si sono decisi ad arrivare a casa, ho chiesto loro direttive per concretizzare l'ipotetica uscita. Il loro "fai quello che vuoi tu" è stato altisonante e liberatorio. Ero felice mentre mi ascoltavo gli Angels and Airwaves decidendo gli abiti da indossare alla pizzata. I Samalo che uscivano di nuovo insieme per una seratina. Qualcosa che aveva dell'incredibile.

E quindi la seratina, il momento clou della giornata, c'è stata eccome, e che seratina. Si sentiva che ci mancavamo tutti l'un l'altro, e abbiamo iniziato a fare balotta subito, riprendendo esattamente da dove ci eravamo interrotti, come solo tra veri amici si riesce a fare. Tra pizze, giri per il paese sotto la luce aranciata dei lampioni, sorbetti congela-meningi e una porzione di patatine maionese e ketchup, abbiamo parlato, riso, chiarito cose. Come un pezzo di stoffa strappato e sfilacciato in cui le fibre magicamente si riallacciano e ri-intrecciano, e tutto torna come prima.

Sarà che la storia dell'influsso del 19 è una cazzata, ma è stata una giornatina niente male lo stesso.

mercoledì 17 ottobre 2012

Dead end. (Centesimi)

Se avessi un centesimo per tutte le volte che ho detto che volevo scappare di casa, sarei ricca. Se ne avessi un altro per tutte le volte che non l'ho fatto, poi, potrei passare all'acquisto di un jet privato e risolvere ogni mio attuale problema. Se avessi un centesimo per tutti gli oggetti che avrei la facoltà fisica di distruggere data la mia rabbia in questo momento, e se ne avessi un altro per tutti gli psico-pascal di pressione che mi tocca pure di subire da ogni, dico ogni parte, a cominciare da quel lurido essere che è me stessa, in Sardegna mi ci potrei comprare una villa con piscina.
E se avessi un dannato centesimo per tutte le volte che mi è stato detto "no", potrei conquistare il mondo.

I vicoli ciechi sono inquietanti. Supporrei che adesso sia ora di rimboccarsi le maniche e scavalcare/detonare/eliminare in qualche modo il dannato muro, e me ne manca il coraggio. Doveva esserci un intervento di ordine superiore per abbatterlo, ma ancora non c'è stato. E se faccio di testa mia andrà tutto a rotoli, è un dato di fatto, l'esperienza insegna.

Sto incominciando a sospettare dell'esistenza effettiva del karma*. Però funziona solo nel momento in cui devo subire una punizione. Mi chiedo se, stando alle regole, prima o poi mi succederà qualcosa di inaspettatamente positivo. Un colpo di fortuna, un'occasione che mi sarà concesso di cogliere, un "ok, puoi, ma mi raccomando".

E vorrei stare ferma. Perché in qualche modo dentro di me so che è giusto così, anche se tutte le constatazioni logiche e i dati di fatto fanno risultare il mio pensiero totalmente insensato e irrazionale. Certo che no, che non devi star ferma. Che discorsi. Se stai ferma perdi l'equilibrio, perdi tutto. Eppure, non so perché, per una volta l'istinto mi dice così. Fermati, che ne hai già avute abbastanza. Il mio destino dice, aspettami e resisti, ti sto arrivando incontro. Sono tutti gli altri che non si fidano. Però la coscienza è la mia, in questi ultimi tempi l'ho del tutto martoriata, e non ho la minima intenzione di mettere su strane congetture adesso. Non ne ho la forza mentale. E, tanto per cambiare, non ne ho il coraggio.

Mi chiedo perché non sono ancora esplosa. Ogni singolo atomo, protone, neutrone, elettrone, neutrino, quark o particella subatomica di sorta presente in me pare agitarsi per muoversi in una direzione diversa. Dovrei essermi disintegrata in una nube di idrogeno come una supernova, a quest'ora. Ma intanto sono quasi contenta di essere ancora tutta intera.

Vuol dire che in fondo, anche se il vicolo è cieco, qualche possibilità per me c'è ancora.


* "Il karman riguarda sia l'attività o l'agire in sé sia l'insieme delle conseguenze delle azioni compiute da un individuo nelle vite precedenti. Secondo il principio del karma le azioni del corpo, della parola e dello spirito (i pensieri) sono insieme causa e conseguenza di altre azioni: niente è dovuto al caso, ma ogni avvenimento, ogni gesto è legato insieme da una rete di interazioni di causa/effetto." [cit. Wikipedia]

domenica 14 ottobre 2012

E poi boh, ti staccano internet a notte fonda e inizi a scrivere cose.

Non chiedetemi il perché di tutto ciò (né il suo titolo, perché ancora non ne ha uno), ma è stato scritto alle due di notte, quando si è troppo poco lucidi per poter mentire a se stessi.

She's a stupid girl in love with herself
always trying to be cool, always trying to impress
cuts the split ends away from her mid-length hair
as if she had the time to care about things like that.

"Me, me, me", she can't think but of herself
makes a song and dance out of the small problems she has
she's ungrateful to each one who dares loving her
she doesn't deserve any of you people out there.

She has no integrity, nothing to believe in,
no true feelings, no sincerity,
she threw away the trust of all the people around her
hoping to achieve some more popularity.

You say she's smart, but trust me, she's not at all
she's breaking down again for things she cannot control
complaining 'bout her life, about mistakes she made,
crying, dying, for she can't accept reality

The lines are over, the page's filled up with all the truth
The night gets shorter, but I still sit here, I can't sleep
And as I critically stare at my reflection in the mirror,
I would break it willingly, 'cause that girl is me.

giovedì 11 ottobre 2012

Schiaffo morale.


E quindi così, mentre ero persa in quei torrenti in piena che erano le mie lacrime e sepolta nelle macerie di quel terremoto che erano i miei singhiozzi, nella più acuta crisi di nervi a cui anima viva abbia mai assistito nella storia di sempre, facendo la vittima e autocommiserandomi perché, in fin dei conti, sono stupida, mi ha colpita in pieno viso, una raffica di gesti rinfacciati e frasi che hanno lasciato il segno più di quanto immaginavo, un messaggio enorme e diretto, una grande verità: sei un'ingrata.

E dopo aver liberato tutte le cose che erano rimaste non dette, ci si è sentite più vuote e leggere, e si è potuto ricostruire un rapporto importantissimo quasi da zero.

Premesso che se le cose sono andate così il motivo c'è, se potessi tornare indietro, non so se rifarei tutto quello che ho fatto esattamente come l'ho fatto. Probabilmente lascerei le cose immutate, perché quelle cose non dette avrebbero continuato a marcirci dentro per decenni, con tutta probabilità.

Ho giocato, e ho perso tutto. Ma ora posso dire di non aver niente da perdere e addirittura di averci guadagnato in esperienza.

Non so se l'avrei mai detto, ma è bello sentirsi emotivamente svuotati.

mercoledì 3 ottobre 2012

Show me the world that's inside your head (Delirio d'inchiostro durante una tediosa ora di mate)

Mi sto ponendo domande esistenziali riguardo a se sarebbe buono o no tenere un diario a quadretti anziché a righe. Sono giorni che non scrivo sul mio diario attuale, a proposito. Dovrei ritagliarmi un'oretta tutti i giorni per scrivere, ne ho bisogno. Non mi basta di fare flussi di coscienza su fogli che poi finiscono sparpagliati. Non mi rimane niente, così. Però mi trovo bene quest'anno, con il sistema del maxiquaderno multimateria, che poi smisterò, storia con storia, bio con bio, scarabocchi con scarabocchi e via dicendo. E' figo.
L'ora di matematica mi sfianca. Ed è solo la prima. Guardo la lavagna con sguardo vacuo e fisso nel vuoto e intanto il prof cancella esempi di parabole con vertice nell'origine e seguita a spiegare, spiegare, spiegare. La mia testa è esasperata. Ogni due per tre mi appoggio sul banco sonnecchiando, e con uguale frequenza il prof detta, detta, detta. Il sonno mi opprime. Più che sonno, è che mi sa che stanotte ho dormito così bene che voglio dormire ancora. Non era un fuggire dal nauseante mondo reale, era un riposare di cui avevo bisogno, ed era anche poco pessimista il mio atteggiamento di ieri sera. Forse ero anche troppo stanca e, in fin dei conti, sollevata di essere ancora viva. Avrei dovuto morire e resuscitare almeno 5 o 6 volte (la chimica non studiata; la fisica che non era stata considerata molto di più; i compiti di solfeggio disperatamente portati a termine ma con risultati disastrosi; e svariate altre cose di cui non starò a parlare), quindi avrei tipo dovuto essere inesistente, o qualcosa del genere. E invece avevo dormito saporitamente per almeno sette ore e mezza, ero al calduccio sotto il mio piumone, Wake dei Linkin Park risuonava nella stanza, e soprattutto, ero ancora viva.

Vedere il mondo nel suo processo irrefrenabile di andare-avanti-lo-stesso-nonostante-tutto, nel giusto contesto, può essere confortante. E stamattina, vedere che non ho perduto tutto, che, complici un po' di botte di fortuna e sistematico problem-solving, tutto sommato sono riuscita a scamparla bella, mi ha fatta sentire bene. Tipo potente. Mi aspettava la prospettiva, piuttosto piacevole, devo dire, di una giornata senza troppe beghe, senza materie da studiare, senza preoccupazioni varie e in cui ansie e breakdown sarebbero state solo un optional.

Poi mi sono alzata in piedi e  un profondo rincoglionimento si è impossessato del mio cervello, dove tuttora risiede, rendendomi uno zombie.

LOL!

martedì 25 settembre 2012

Vorrei smetterla con questa sfilza di post depressoidosi. Davvero.

Forse mi ero già chiesta questo: come si fa ad andare avanti se sei ad un crocevia con, fai, 100000 strade diverse che sono tutte sbarrate?

E la risposta è: non si può. O si torna indietro, o si aspetta un intervento divino che cambi le cose.

E io sono due mesi e dieci giorni che cammino in tondo come un'idiota nella piazza del crocevia. Aspettando l'intervento divino di cui sopra.

Pazza!

sabato 22 settembre 2012

Voglio.

Sì. Voglio. E non me ne frega se è un'erba che non cresce nemmeno nel giardino del re. La faccio esistere io, perché lo dico io. E sapete perché esiste? Perché volere non è potere. Proprio per niente. Per niente. Puoi volere quello che ti pare. Ma non succederà. Un emerito. Nulla.

Voglio dormire.
Voglio svegliarmi e fare cose.
Voglio dare un calcio all'apatia, in senso letterale, e chissenefrega che l'apatia è una cosa astratta.
Voglio uscire di casa e non tornarci fino a tarda notte.
Voglio sferrare calci rotanti alle cose senza per questo essere sgridata.
Voglio essere rapita da una folata brutale di vento mentre sono fuori al balcone a portare dentro i panni stesi, come avevo scritto una volta in un tema quando ero credo in quarta elementare.
Voglio che qualche prodigio temporal-letterario faccia piombare qui l'Innominato in persona, e che mi scambi per Lucia e mi porti in qualche posto remoto e inaccessibile.
Voglio affogare nelle lacrime.
Voglio cancellare le lacrime.
Voglio cioccolata.
Voglio non avere il mio corpo.
Voglio non provare invidia per quei corpicini filiformi, esili e dannatamente leggiadri, che tutte le altre hanno.
Voglio correre. Saltare. Correre saltando. Saltare gridando. Gridare correndo. Voglio dimagrire correndo, saltando e gridando.
Voglio non essere me.
Voglio non essere egocentrica, narcisista, ipocrita.
Voglio ammalarmi di qualcosa. Voglio avere la febbre.
Voglio guarire dalla mia follia cronica.
Voglio mandare a quel paese mezzo mondo.
Voglio cazzeggiare. Voglio avere tutto tranne che un contegno o un linguaggio decente.
Voglio avere il diritto di ascoltare I Belong to You dei MUSE a tutto volume, come i miei hanno il diritto di ascoltare il peggio del peggio del pop italiano a tutto volume, pretendendo di essere sopportati, peraltro. Oppure, voglio avere il diritto di dire "Per favore, mettiti le cuffie mamma".
Voglio cantare senza che mi si chieda se ho mal di pancia, ballare senza che si sospetti che ho ingoiato un manico di scopa, amare chi mi pare senza essere perennemente sfottuta e ostacolata da persone a caso che non sto a nominare.
Voglio essere presa sul serio.
Voglio avere 18 anni.
Voglio scappare di casa.

Voglio morire.

Voglio vivere.

Voglio che la gente si faccia tanti esami di coscienza prima di parlare.
Voglio farmi tanti esami di coscienza prima di parlare.
Voglio che mi cada in testa una pentola a pressione e mi venga l'amnesia.
Voglio avere ragione per una sola volta, una sola.
Voglio passare un sabato sera come lo passerebbe una qualunque altra quindici-quasi-sedicenne.
Voglio che gli alberghi a tre stelle nei paesini di montagna costino meno di 31 dannatissimi euro a notte.
Voglio un treno diretto da Bologna a Genova.
Voglio un jet privato.
Voglio il dono del teletrasporto.
Voglio un unicorno alato.
Voglio endorfine, tante endorfine.
Voglio insalata che rilasci endorfine.
Voglio mille tazze di tè.
Voglio poter non mangiare mai più.
Voglio vomitare arcobaleni.
Voglio essere una ragazza alternativa che trova il modo vero e definitivo di fottere il dannato sistema e lo applica all'istante.
Voglio studiare tutte le lingue che mi pare senza sentirmi dire che non mi servirà a niente conoscerle in futuro. Ma non me ne frega un ciuffolo, se mi serviranno o no. Lasciatemele studiare e basta.
Voglio voler suonare.
Voglio una felpa, una felpa ben precisa, e, ancora più nello specifico, anche la persona a cui la felpa appartiene.
Voglio che il mondo sparisca.
Voglio la Pangea.
Voglio decidere io per me per una volta senza essere limitata dalle apprensioni e dalle critiche altrui.
Voglio essere una filosofa.
Voglio tenermi la rabbia dentro fino ad implodere.
Voglio implodere.
Voglio che la terra si apra sotto di me e mi inghiotta.
Voglio essere un fosfolipide.
Voglio staccarmi dal pc.

E' cambiato qualcosa?
No.
Ho solo speso una quantità madornale di tempo in nulla.

Morale della favola. Passate un po' del vostro tempo a volere le cose. Volerle e basta, senza scervellarsi su come ottenerle. Fermarsi e dirsi "Ehi, io VOGLIO questa cosa". Così per sport. Per rendervi conto di cosa volete quando neanche voi lo sapete più.
Magari volere non è potere, ma volere è comunque nel nostro potere.

mercoledì 19 settembre 2012

Breakdown mode.

Quel momento in cui per l'ennesima volta, ascoltando un pezzo, mi viene da piangere e mi rannicchio sulla sedia tentando di trattenere i singhiozzi che mi rimbalzano nel petto come acqua in ebollizione, quando poi realizzo improvvisamente che sono da sola a casa.

Boom.

lunedì 17 settembre 2012

Flash.

Una lacrima kamikaze si fionda giù dalla mia guancia con un tuffo carpiato con doppio avvitamento, o qualcosa di simile. Voglio fiondarmi da qualche parte anch'io. Trovare delle ciglia da usare come fantastico trampolino di lancio e buttarmi giù verso la Sardegna. E di me non rimarrà che una scia vagamente salata.

domenica 16 settembre 2012

Riflessioni stupide guardando il sole fuori.

Domani riprende la scuola. No.
Sto lasciando scorrere questa ultima giornata di vacanza ora dopo ora senza fare assolutamente niente di "vacanzoso". Mi balena in mente l'immagine inquietante di una clessidra senza quasi più granelli in cima. Granelli che fino adesso sono venuti giù cento-duecento alla volta, e adesso scorrono lenti e tristi, uno ad uno, verso l'inesorabile, come condannati verso il carcere.

Ok, no, non è così terribile ricominciare la solita vecchia routine. E' solo che non riesco a realizzarlo nella mia mente. E' tutto così diverso. Quando andavo alle elementari o alle medie i miei si occupavano di tutto, e io li vedevo comprare quaderni e libri, li aiutavo a foderarli, stampavo le etichette (peraltro sfigate, fatte su Word), partecipavo attivamente, sembrava che ci fosse un mucchio di cose da fare. E quando erano state fatte tutte, e con un sorriso soddisfatto chiudevo la cartella finalmente pronta, sapevo che l'anno scolastico poteva ufficialmente cominciare.

Negli ultimi tre anni è stato diverso. Ero più autonoma, e poco mi ci è voluto per capire che maggior parte dei grandi preparativi erano poi superflui.
Non ho più l'astuccio con tre cerniere, una per penne e matite, una per i colori a pastello, una per i pennarelli. Non c'è più bisogno di fare la punta ai pastelli nuovi fiammanti, messi tutti in rassegna nei loro anellini di stoffa elastica, che tra un po' sembrava quasi che ti chiamassero e ti implorassero di essere usati.
Non ho più i quaderni "classici", che bisognava sempre portarne un po' di riserva, nel grande armadio di classe, perché finivano. E spesso avevano alcune pagine incollate o riempite di strani disegni, perché le saltavo nella fretta di continuare un tema o un dettato. Adesso è tempo di raccoglitori. Qualche prof (anche se raramente) li snobba, ma molti confidano nella nostra capacità di persone-quasi-adulte di non disperdere magicamente in giro tutti i fogli (non so quanto facciano bene, in realtà).
Non ho più le etichette sfigatissime fatte con Word. Scribacchiare la materia interessata sulla copertina del raccoglitore con un pennarello indelebile (o sulla prima pagina di un libro con la matita, che dir si voglia) è più che sufficiente, e puoi farlo anche sul momento.
Non fodero più i libri - e loro ne risentono parecchio, poveretti, specialmente quando alla fine dell'anno si ritrovano con nove mesi di dentro e fuori continui dallo zaino. Interi pomeriggi negli ultimi giorni d'estate se ne andavano via in onore delle fodere dei libri. Ora questa cosa continua a succedere, ma per i miei fratellini.
Ho il diario, cosa che alle elementari non avevo. Anche alle medie l'avevo, ma nei miei diari di scuola superiore ci sono molte meno dediche: poche ma sincere. Piuttosto, ci sono molte più annotazioni random/flussi di coscienza/disegnini strani quando lascio la matita libera di correre sulla carta, totalmente fuori dal mio controllo. Ma comprare un diario è poca cosa, puoi farlo anche in mezz'ora, se esci in paese e non resti troppo indeciso su due o tre scelte valide.

Ci ho messo credo dieci minuti netti a scopiazzare una parte dell'orario provvisorio nel diario nuovo, svuotare lo zaino ancora pieno di sassolini estivi e scatole di cingomme (già, le cingomme... dedicherò un post alle cingomme, prima o poi) (cingomme, cingomme, cingomme) (basta), radunare un minimo sindacale di carta e penne per domattina, svuotare la sacca di ginnastica dove albergava un residuo di maglietta stropicciata e un paio di pantaloni da tuta che non era messo meglio, radunare una maglietta larga e un pantalone di tuta incontaminati e stampare le relazioni che erano per compito. Dieci minuti netti per cominciare un anno scolastico. Possibile?

mercoledì 12 settembre 2012

"Fake it 'til you make it"

Nel giro di due giorni la mia scrittura è cambiata repentinamente, senza quasi rendermene conto scrivo molto più in piccolo.

Ho scoperto che se fingo indifferenza e dico di stare bene, la mia vita può anche andare a rotoli, ma poi mi sento decisamente meglio anch'io.

E' sufficiente non menzionare nulla.

Va tutto alla grande.

lunedì 10 settembre 2012

Crollo.

Per la miseria, dannazione, manca una maledetta settimana all'inizio della scuola. No, no, no, no, no. Non può essere, il mondo sta davvero continuando ad andare avanti per cazzi propri. Cavolo, è un affronto. Come può? Una settimana! Perché? Dov'è scappata quella moltitudine di ore di ozio che mi sembra ieri che era ancora metà agosto e invece adesso...

...

Non voglio tornare a scuola. E' qualcosa di innaturale, per favore, posso ritirarmi per il resto della vita? Non voglio tornare a percorrere tutte le sante mattine in perenne ritardo quei 10 minuti di salita sotto la pioggia autunnale. Non posso. Mi ricorda troppo l'Inghilterra. Già, l'Inghilterra, che posto meraviglioso. Posto dove puoi trovarti nel mezzo di pioggerellina autunnale in luglio. Posso tornarci? Posso andare a vivere negli alloggi al campus dell'University of Surrey, casa 39 stanza E? O casa 32 stanza A, indifferentemente.

Sto lentamente cadendo in pezzi. Credevo che piangere mi avrebbe fatta stare meglio, ma sono lacrime diverse dal solito. Non è sfogo, non è buttare fuori lo stress. Ogni volta che piango mi sento più svuotata, sola, spaventata dalle implicazioni dei fatti e dai lati negativi delle cose. Se non abbraccio il cuscino non prendo sonno in nessun modo, e la musica in cui mi immedesimo invece di consolarmi mi rinfaccia tutto il mio dolore. Se tento di fare cose sto meglio, ma solo finché la mia mente è occupata. E appena la lascio libera di vagare fra pensieri random, la tristezza mi torna addosso ancora, e ancora, e ancora. E' come quando cerchi di rinfrescarti con un ventaglio. Sul momento stai meglio, poi appena ti fermi hai più caldo di prima.

Ma tanto ora il caldo si stempera lentamente e passa, trascinato via dall'autunno che si prepara a incedere. Ci sono già delle foglie ingiallite che cominciano a cadere.

Non so come sarà quest'anno scolastico. Non ho nemmeno finito i compiti. Per come mi sento, non so nemmeno se arrivo psicologicamente integra a lunedì prossimo. Sarà strano. Gran parte della nostra classe è rimasta, ma in diversi sono andati via/arrivati/tornati dopo qualche mese di cambi scuola a random. E non sono ancora capace di risolvere un sistema 3x3 senza fare astrusi errori di calcolo nel mezzo, errori che spesso sono piccoli e quindi non ho voglia di stare a cercare. Rimane che in matematica mi sento abbastanza incapace, anche se ero sempre andata bene finora. Non oso pensare a geometria e ai teoremi. Ma mi scoccia di calare in una materia in cui posso dare il massimo, quindi cercherò di mettermi sotto. Forse.

Sonno e torpore mi occludono le palpebre. Nonostante mi sia addormentata alle due passate, alle otto mi sono svegliata e alzata come se niente fosse. Ma se non dormo un 7-8 ore a notte le mie facoltà mentali sono effettivamente compromesse, infatti sto totalmente delirando, come al solito, anche se stranamente non ho voglia di mettermi a dormire e non passo il mio tempo a sbadigliare.



Quanto odio tutta questa apatia.

sabato 8 settembre 2012

Spezzatino di versi che viene fuori quando all'una di notte ti prende una crisi di depressione cronica. E ora che ci penso, era anche venerdì!

Se avessi
singhiozzi
abbastanza affilati,
potrei
squarciare
questa coltre di
statico silenzio,
ma voglio celarti
il mio dolore,
le mie lacrime
e i miei respiri
pesanti,
mamma.

giovedì 6 settembre 2012

Strani e brevi viaggi mentali in una sera di fine estate.

Ok, quindi immaginiamo di prendere tutte le ingiustizie del mondo, grandi e piccole, dall'esistenza delle bombe nucleari all'inesistenza della Pangea, dall'internet troppo lento alla fame del mondo, dallo sfruttamento di qualunque risorsa naturale al prezzo troppo alto di uno stupido profumo alla mora (o, se è per questo, di un qualunque profumo), immaginiamo di prendere tutto ciò e farne un elenco, tutte le ingiustizie una sotto l'altra, credo che ne verrebbe fuori qualcosa di così mostruoso da estendersi tipo per una quarantina di milioni di metri, e si arrotolerebbe intorno al mondo come una catena, opprimendolo.

Beh, elenco o non elenco, direi che è più o meno quello che succede.

giovedì 30 agosto 2012

Ingiusto.

Dice il saggio zio Terry, in "Soul Music":
You could say to the universe, this is not fair. And the universe would say: Oh, isn't it? Sorry.
E ha ragione. Per quanto ingiusta possa essere una cosa, continuare a ripetere che è ingiusta sicuramente non è la soluzione al problema.

Però io dico che è ingiusto lo stesso, ecco. Ok, ammettiamo che trovi la perfezione da qualche parte, per caso o per sbaglio o in altri modi fortuiti e misteriosi. Vivi nella perfezione, la perfezione più dannatamente assoluta, per due settimane. Ti crogioli nei sentimenti più intensi e svariati per un tempo che vorresti non finisse mai e poi mai e poi eccetera, per tutto il tempo stai dannatamente bene, e dico, dannatamente. Tutto ciò tentando di scacciare l'antipatica consapevolezza che prima che tu te ne renda conto sarà tutto finito. Eviti di pensarci, ma lo sai, in fondo, e in un angolino, silenzioso, scorre lentamente il countdown mentale alla distruzione del paradiso. E quel momento arriva, per quanto possa essere ingiusto, e ti divide dall'ingrediente della tua perfezione personale. Lacrime, singhiozzi, perfino fare come se nulla fosse e tentare di spassartela serenamente per gli ultimi momenti, ma niente. Devi lasciare andare tutto per forza, non dipende da te. Ti servono tutte le tue forze per poter prendere coscienza del fatto che una parte di te si allontana, e tu ti allontani da lei viaggiando in direzione opposta. E assieme sareste perfezione. Oh, non è la fine, certo. Ma dentro di te sai che non se ne esce vivi, da questo genere di cose.

E no, che non è giusto!, urla strepitando il mio cuore all'universo. E l'universo si scusa seraficamente e la vita prosegue comunque il suo corso. Indipendentemente dai miei desideri e dai miei progetti. Posso versare lacrime fino a disidratarmi del tutto ascoltando canzoni che mi ricordano cose. Posso affidarmi a una speranza cieca, spietata e random, illudermi che le cose andranno bene, desiderare che avvenga l'immediata riformazione della Pangea o l'invenzione del teletrasporto. Posso ordire una ribellione mentale nei confronti della generazione che precede la mia. Ma a che pro? Non cambierebbe niente. Quei chilometri e quel mare rimangono sempre lì in mezzo, bastardi! In qualche sdolcinato film sentimentale la realtà si deformerebbe, plasmata dalla voglia immane di ridurre la distanza. Ma la realtà fa schifo, è un fatto risaputo. Simili cose non accadono sulla Terra. Oh, ma perché? Coppie che non potrebbero essere assortite in modo peggiore, nella stessa città. Contemporaneamente, persone che non potrebbero trovarsi meglio costrette a stare lontanissime, con tutte le buie e deprimenti prospettive che tutto ciò comporta. Che poi, fossimo maggiorenni sarebbe già qualcosa. Almeno riuscirei ad avere il diritto di fare quel che credo. Invece sono dipendente, e, come se non fosse già abbastanza, sono dipendente da persone dalla mentalità rigida e superficiale nei miei confronti, accoppiata non esattamente ideale quando ti trovi in una storia a distanza che ti fa struggere e distruggere.

Però tutto questo non mi potrà mai privare della mia determinazione nell'andare avanti in questa storia, ovunque mi potrebbe portare. Il sole continua a sorgere e tramontare tutti i giorni nonostante le mie lamentele sull'ingiustizia del mondo? Oh, ma che paura. Tanto la volontà di trovare una strada per andare avanti è mia, non sarà il moto di rotazione terrestre a privarmene. Armata fino ai denti, la mia volontà. Da lì non la schioda nessuno, l'unica persona che potrebbe farlo è dalla mia parte. Per adesso. Quindi, mondo, questa è una ripicca anche nei tuoi confronti. Perché anche se sono cresciuta in un contesto già di per sé difficile, anche se ci sono tutti i possibili impedimenti del caso contro di me, anche se è dura, non m'importa. Non mi fermerai, non mi fermerete. Posso perseguire il mio scopo finché voglio.

E ce la farò, prima o poi, è una promessa.

venerdì 24 agosto 2012

"It's just a bad day. Not a bad life."

E meno male. Non era nemmeno una così brutta giornata, quando ho condiviso quel link trovato così molto per caso mentre scorrevo svogliatamente la bacheca di Facebook. Ah, Facebook. Quale modo migliore per compiere gesti terribili con un click. E senza nemmeno rendersene conto.

Perché a volte va così, ti svegli pensando, ok, non tutto va bene ma non tutto è perduto, e poi in capo a dodici ore hai perso le due colonne portanti della tua vita sociale. Perché cerchi di non fare niente di male, di non prendere posizioni, di non dare a nessuno né ragione né torto, di mediare, di difenderti come puoi dagli attacchi e dalle accuse e di salvare quel minimo di stima che gli altri hanno ancora per te, ma in realtà poi fai solo cazzate. Perché nella situazione di partenza non avevi fatto niente a nessuno, ma alla fine chi resta senza niente sei tu. Perché?

Così adesso sono qui, che mi rendo effettivamente conto della buona dose di errori che ho fatto, e penso (troppo tardi) a strade alternative che avrebbero potuto prendere gli eventi se avessi detto o fatto cose diverse. Il lato positivo, che mi fissa beffardo dalla coltre di nauseante realtà che mi sta attorno, è che ho imparato molte cose, questo è più che sicuro. Nuove strane regole di come va il mondo, che, prima di poterle applicare, dovrò aspettare anni, o forse per sempre.

Adesso so che, se voglio un modo pratico, sicuro, veloce ed efficace di peggiorare la situazione oltre ogni limite, ecco, l'unica cosa che devo fare è cercare di migliorarla. Scusandomi, scagionandomi dalle accuse, lasciando un messaggio. Tutte azioni che con tutta probabilità mi scatenerebbero addosso un inferno di insulti, madonne, maledizioni ed epiteti vari. Per oggi ne ho fatto una vera scorpacciata, ancora anche solo uno, magari come buonanotte, e vomiterò lacrime per l'eternità.

Forse merito tutto questo, forse no. Certamente non volevo che le cose finissero così, ma l'hanno fatto. Quindi di chi è la colpa? Mia. Avevo ragione nei miei ingenui e beati dodici anni, a dire che sono un mostro di cinismo e cattiveria. Avrei voluto avere più convinzione nel dirlo, quando lo sostenevo convinta nei miei atteggiamenti da poser di preadolescente depressa. Perché era vero. Ma quando ho cominciato a pensare che in me ci fosse del buono, mi sono crollate addosso tonnellate di macerie di realtà, realtà, realtà. Certo che sono un mostro! Proprio un vero mostro, peggio di quelli dei libri, peggio dei serial killer negli splatter. Quando mai ho davvero pensato agli altri, io?

E adesso ho le dita che fremono, vorrei fare qualcosa, riparare tutto. Ma mi rendo conto meglio di chiunque altro che non posso fare assolutamente niente. Forse con il tempo succederanno altre cose, forse boh, ho perso per sempre due pezzi di cuore solo perché non volevo vederli litigare.

Ma chi me lo fa fare, da domani mi ritiro e inizio a fare l'eremita. Magari in Sardegna. Cammino fino alla prima costa che trovo e poi nuoto finché non trovo altra terra. Che ne sai che magari non finisco in Sardegna davvero.

Come al solito, la realtà dà il voltastomaco.
Devo ricordarmelo, domani, prima di svegliarmi.

lunedì 20 agosto 2012

Scivolare

In mezzo alla gente,
soli
Volando, fendendo il nulla
in cerchi concentrici;
Nelle tue mani cercavo
equilibrio, e il freddo
ci scartavetrava la pelle,
e schegge di ghiaccio
per terra,
e sorrisi caldi
nell'aria umida.
Che bello con te contrastare
la gravità.

sabato 18 agosto 2012

Pubbliche scuse.

Non avrei mai pensato di trovarmi a scrivere un post simile, ma effettivamente mi sono resa conto che è più che doveroso.

Nelle puntate precedenti, ho scagliato contro il mio subconscio ogni tipo di epiteto, definendolo come qualcosa di infame, spietato, terribile, pessimista, una parte di me che avrei voluto cancellare, una fonte di sofferenza e di paranoie inutili, ebbene...

Mi sono resa conto che il mio subconscio è semplicemente GENIALE. Più che il subconscio, dei presentimenti paranoici che mi vengono a volte. Le cose cambiano, si dimenticano, vengono a galla, succedono, si raccontano... e si scoprono svolte interessanti nei fatti.
Non starò a spiegare i dettagli, ma dedurre che il mio subconscio in diverse situazioni ha avuto ragione fin dall'inizio, che diverse delle mie paranoie erano più che fondate e che non ho sofferto invano, è stato semplicemente sparaflashante. Come passare tredici anni della tua vita a dire che il metal è un genere violento, schifoso e che non vale la pena di essere ascoltato, e poi trovare musica metal più che ottima e tutt'altro che violenta e innamorartene di colpo (è la storia della mia cultura musicale, questa). Ti rendi conto che hai fatto un grosso errore di valutazione, alla fine.

Alla luce di tutto ciò, chiedo pubblicamente scusa al mio povero e oltraggiato subconscio che sì, mi ha fatto soffrire le pene dell'inferno con quei pensieri apparentemente infondati, ma aveva ragione dall'inizio.
Ora, queste sono quelle che chiamo soddisfazioni ^^

venerdì 17 agosto 2012

Deliri di varia natura.

Era un tot che non scrivevo, ma non ne ho avuto i mezzi effettivamente. Ci ho anche provato, sfruttando una connessione lenta come il cucco, mentre ero al mare, ma non sono riuscita a cavarne niente di buono. Sono successe cose, sono cambiata, boh, classiche cose che si dicono quando torni dopo tanto tempo. Credo di essere sempre io, soprattutto per quel che riguarda il subconscio folle, l'attaccamento maniacale al passato, le paranoie, i seri problemi psicologici (sono un caso clinico, che volete farci), e la pazzia totale che mi caratterizza e che mi causa... beh, mi causa di tutto, veramente di tutto.

E questo è uno di quei classici momenti in cui più penso e rimugino, più concludo che sono un vero disastro in qualunque frangente, qualunque. Magari non è vero, è pessimismo momentaneo, però mi sta divorando come un tarlo fa con il legno. Pff, essere un pezzo di legno in questo momento sarebbe una prospettiva allettante. I pezzi di legno non hanno problemi di cuore, pensieri inutili per la testa (non hanno effettivamente una testa, del resto), coscienza del mondo circostante. Quindi anche se un tarlo mi stesse riducendo in un mucchietto di segatura, non me ne curerei affatto e continuerei la mia felice incosciente esistenza da mucchietto di segatura. Serio, voglio diventare legno e andare a marcire nella vecchia casa al mare rosa dai tarli. Vi prego! Trasformatemi. Il mio cuore è già in pezzi, e sta mandando in pezzi me. Il peso delle emozioni non lo sopporto più.

Emozioni, che sganzolata. Ne siamo continuamente afflitti, rallegrati, pervasi. Eppure non siamo neanche in grado di descriverle propriamente. Oh, certo... possiamo benissimo snocciolare a menadito quello che le emozioni provocano in noi. Chi non ci ha mai provato, a dare una precisa definizione, per esempio, dell'innamoramento? Ti piace una persona, e ti piace alla follia; farfalle nello stomaco, insonnia, abbracciare il cuscino nel sonno; vedere il mondo tutto in rosa se sei corrisposto, o precipitare nella depressione più nera, se vieni respinto. Okay. Sono tutte cose associate all'innamoramento, come i sintomi ad una malattia. Ma l'innamoramento in sé, cos'è? Come puoi definire una qualsiasi emozione in modo univoco, se non come mera chimica tra stupidi neuroni, dannazione?

Intanto mentre io rimugino su questi argomenti esistenziali, se ne scorrono via anche le ultime settimane estive. E io mi rendo lentamente conto che di tornare a scuola non ho nessuna voglia. Sarà che sono ben poche le cose che mi tengono legata alla scuola, giusto la mia compagna di banco e l'ospitalità che trovo in quei muri asettici stipati di ricordi goliardici. Sarà che un mese di stare stravaccata sul letto (o, occasionalmente, su un telo a prendere il sole) mi ha giusto un po' impigrita. E sarà pure che in questo momento ce l'ho un po' col mondo. Ma non voglio tornare.

Prima davano La Storia Infinita alla tv, mi ha fatto notare mio padre. Emotivamente tengo molto a quel film, cioè, dopo averlo guardato ed essere felicemente andata a dormire ho fatto un sogno che poi mi ha portata alla mia prima cotta/batosta platonica che mi ha introdotta a quella rottura di coglioni che non ho chiesto, meglio conosciuta come adolescenza. Dico solo che quando il mio subconscio ha iniziato questo insulso processo ero in quinta elementare, e quel ragazzo per cui avevo questa fissazione maniacale ha smesso di piacermi quando dovevo iscrivermi alle superiori. Per il resto, è una storia lunga che forse un giorno pubblicherò, o forse mi terrò dentro per l'eternità, per il gusto di dire "c'è qualcosa di me che non sa nessuno". Le persone a cui raccontavo tutto in proposito, non ricordano più niente. Che buffo, pare sia destino che mi tenga questa storia per me :3
Riguardando le immagini viste e riviste del film con il mio occhio cresciuto e critico, mi sono resa conto di quanto sia strafotomontato (del resto, stiamo parlando di un film vecchiiiiiiissimo, e gli effetti speciali erano quello che erano). Strano. Il prendere coscienza di questo mi ha dato un po' la nausea. Una volta i contorni ritagliati erano avvolti da un alone di magia e di sonno, e non me ne accorgevo. O non avevo voglia di farci caso.

Credo di aver scritto abbastanza sciocchezze, per adesso. Da domani sarò di nuovo a casa mia, sul mio pc, e con tutto il tempo che voglio a disposizione, quindi tornerò a curare il blog regolarmente. Ma ora ho voglia di rintanarmi in un mondo dove ci sono ancora Pangea e Panthalassa, l'aereo è un mezzo di trasporto comune e accessibile quanto il treno, i dolci non fanno ingrassare e non c'è bisogno di abbracciare degli stupidi cuscini.

domenica 1 luglio 2012

Nostalgia precoce.

Di nuovo, come ogni anno, come ogni estate, devo partire. Almeno stavolta, la destinazione sarà diversa. Inghilterra. Per quanto tempo ho sognato di andarci? Eppure, a undici ore dalla partenza, ancora non riesco a realizzare davvero che ci andrò, che domani mi sveglierò alle quattro del mattino per essere in aeroporto in tempo, che bene o male, per due settimane, starò lontana da Vergato, dai miei, da quei mostriciattoli dei miei fratelli, dai miei amici, insomma dalla mia vita sociale in generale. Non riesco a realizzare che, anche se non lo ammetterò o non lo dirò a nessuno, mi mancheranno. Volevo salutare tutti, ma alla fine non ho fatto in tempo. Non tutti. Non a modo.
E sono assalita dalla costante paura che qualcosa possa andare storto. Non è una paura manifesta, che prende il sopravvento sul resto. E' più come un'ansia in sordina. E se la sveglia non suona? E se c'è traffico sulla strada per l'aeroporto? E se, e se, e se...?
Non riesco veramente a credere che ci andrò. E in aereo, per giunta! Una parte di me pensa "Ganzo, quindi domani mattina mi alzerò presto, prenderò due aerei in un giorno e nel giro di mezza giornata metterò piede sul suolo inglese". L'altra la guarda con una faccia del tipo "are you fucking kidding me?" e prosegue nella sua inerziale convinzione che ad un giorno passato a poltrire ne seguirà un altro passato a poltrire e poi un altro un altro un altro, fino alla fine dell'estate. Così, non posso nemmeno dire di essere seriamente eccitata all'idea di andarmene all'estero per due settimane. Due settimane... non sono mai stata fuori casa da sola per così tanto tempo. Okay, non sarò sola, c'è tutta l'organizzazione e la gente del college e gli altri ragazzi, però... Non conoscerò nessuno. Non che la cosa mi spaventi. Sono un animale sociale, io. Tempo un'ora e mi farò amici tutti i passeggeri dell'aereo. A meno che non mi prenda una crisi di sono-del-tutto-sola-al-mondo. Cosa altamente improbabile, ma se sono persino riuscita a far in modo di andare in Inghilterra, può accadere veramente di tutto.

Ok, ora basta cazzeggiare. Devo finire di controllare se i bagagli sono pronti, e poi comincia la finale degli Europei, che non ho voglia di perdermi. Quindi, se non riuscirò a scrivere altro mentre sarò via, tornerò tra due settimane! :)

lunedì 25 giugno 2012

Tempesta. (Quando la giornata CONTINUA col piede sbagliato)

Va bene. Va bene!
Mondo, hai deciso di voltarmi le spalle tutto in una volta? Ma proprio tutto? Qualche strana coincidenza astrale ha stabilito che devo perdere la mia intera vita sociale tutta in un giorno? Mi va benissimo!

Toglietemi pure tutti la parola, fate in modo che il posto migliore dove io possa rimanere sia questa maledetta stanzina, tanto qua dentro ho vagonate di musica, libri e sto bene anche senza di voi, fanculo tutto, senza nessuno di voi, io sto bene. Benissimo. Sono ammirata dalle coincidenze del destino. Tutte oggi. TUTTE! E tutte a me!

Ma va bene, è tutto a posto in fondo, dato che pare che da oggi in poi resterò relegata qui dentro a vita senza più poter uscire. Con o senza una vita sociale, la mia situazione cambierà ben poco, no? Ce l'avranno tutti con me, diventerò una specie di orso bruno sociopatico, ma chisseneimporta! Tanto se mi stufo di me stessa, mi chiudo dentro e faccio in modo di affogare nelle mie lacrime. Anche se è più probabile che io muoia prima, per asfissia. Ma questi sono dettagli, tanto, cosa importa, e soprattutto, a chi importa, tanto oggi è la giornata mondiale dell'odio incondizionato verso di me. Vero? A chi mi odia di più, in regalo un miliardo di euro, perché no!

Oppure potrei provare a saltare giù dalla finestra di sgamo, e andare a fare un giro, ma tanto ormai in paese, mi odiano tutti! No? Perfino io mi odio, pensa un po'! Perfino io! Sicuramente una giornata iniziata piangendo non poteva finire bene, non è vero? Se il buongiorno si vede dal mattino, mi sembra anche giusto. Sta andando come deve andare! Evidentemente qualche congettura o disegno superiore prevede la mia implosione a mezzanotte di oggi, magari! Ma potesse implodermi questa stanza addosso! Perché, perché non succede? Sono un concentrato umano di negatività, poterei diventare antimateria, spazio vuoto. Potrei sparire! E porre fine ai tremila problemi di oggi! In fondo cos'ho da perdere?

Il futuro, ho da perdere. Ma il futuro prossimo lo vedo così brutto, che non ne vale la pena, di aspettare che arrivi il sole dopo la tempesta. La metà del mondo odia me, e l'altra sono io che non la posso soffrire. Qualcuno venga a spiegarmi che cazzo di prospettiva rosea potrò mai avere in una condizione così. Voglio uscire, voglio uscire da qui! E chi ci rientra più, qui dentro! Casa abitata da squilibrati mentali, a cominciare da me!

E dire che si prospettava una giornata tranquilla. Forse per il resto del mondo lo è, tanto io non sono un problema di nessuno, giusto? Bene. Quindi perché sto a torturarmi, alla fine? Nessuno se ne sbatte, quindi perché io dovrei disperarmi tanto o far implodere una camera o buttarmi giù da un balcone? Far notizia, non è certo un mio obiettivo, far pietà meno che mai. Pietà a chi, poi. Che schifo di giornata. Più amara del succo di pompelmo.

Il mondo reale, quando ci si mette, provoca decisamente la nausea.

Solo io! (Quando la giornata inizia col piede sbagliato)

Solo io posso essere capace di non chiudere occhio per una notte intera e di farmi venire un accumulo di paranoie alle sei e venti del mattino. Alle sei e venti. Del fottutissimo mattino.

Non so com'è successo, a dire il vero. E' stata una serata da sogno seguita da una notte da incubo, prima la partita che dall'inizio alla fine c'era da stare col fiato sospeso, compresi tempi supplementari e calci di rigore, e poi di notte ho fatto l'intelligentissima scelta di tenere gli scuri aperti e la finestra spalancata, con l'adorabile risultato che sentivo tutto quello che succedeva fuori. Il che è un'autentica fregatura! Io pensavo che casa mia fosse in una zona assolutamente silenziosissima.

Per farla breve, per metà della notte il mio sonno è stato disturbato da miagolii di gatti impazziti che passano le loro nottate proprio sotto casa nostra (facevano paura, non sembravano nemmeno gatti), e poi dalle quattro o cinque del mattino è cominciato il celestiale canto degli uccelli, che in quel momento a me sembrava soltanto una clamorosa rottura di scatole. Mi sono decisa a chiudere la finestra solo intorno alle cinque e qualcosa. Solo che poi, dato che la porta della mia stanza è sempre chiusa, morivo di caldo. Senza contare che in estate si sa, fa giorno subito. Così ho aperto la finestra, ma ho chiuso gli scuri, e ho tentato la goliardica impresa di appisolarmi un po', almeno da arrivare a oggi con qualche ora di sonno alle spalle, senza successo.

La mia testa ha iniziato a rimuginare improvvisamente, sfilze di pensieri che avevano per centro di gravità il passato, e in particolare quella parte del passato che fa male. I rimpianti, i fallimenti, quel genere di cose che suscitano immediatamente domande come "e se io invece che fare così avessi fatto colì, sarebbe successo lo stesso?". E' di nuovo tornata quella sensazione di dolore dentro, di male, stavo male. Ho iniziato ad ascoltare la musica. Alle sei e venti del mattino. Ho pianto un po'. Ho buttato fuori il dolore. Ma non so perché. Forse era solo dello stress che aveva bisogno di uscire, forse il mio subconscio tormentato si è svegliato dopo un periodo tutto sommato buono.

Però solo io sono capace.

venerdì 22 giugno 2012

Ritorno. (the End)

E così, dopo un periodo di totale apatia, eccomi tornata a scrivere qualcosa a random. Come mio solito. Mi mancava effettivamente il blog. Facciamo un po' il punto della situazione.

Dunque, il 14 di giugno mi sono tolta di mezzo l'esame di solfeggio, finalmente. Passato con otto, che considerato il mio odio verso quella materia, è un voto più che eccellente, e sicuramente oltre ogni mia aspettativa.
Il 15, ultima lezione di solfeggio, che è stata molto conversativa, e durante la quale abbiamo stabilito i compiti delle vacanze da fare. Oh, certo. Studiare il setticlavio sotto l'ombrellone sarà un passatempo straspassoso. Comunque, nonostante questo, la classe di solfeggio mi sta molto a cuore, e lasciandomi alle spalle il vecchio conservatorio con il chiostro ombreggiato e accogliente, ho provato una buona dose di nostalgia.
16 e 17, gran divertimento, in quanto sono andata giù in Campania dalla nonna. Che poi, io dico dalla nonna, ma in realtà ci sono zii, prozii, cugini, amici di famiglia, negozi di fiducia, insomma, è come se lì avessi una seconda vita sociale. E' stata una faticaccia, più che altro il sorbirsi dodici ore di viaggio in due giorni. Ma ne è valsa la pena eccome. Tanto tra meno di un mese ci tornerò. Ah, il 16 sono anche usciti i quadri. Media ancora più alta dell'anno scorso. Eccellente. E poi dal 17, che era domenica, ho cominciato a studiare il russo. Non c'è un motivo particolare, solo, ho trovato questo sito meraviglioso dove puoi imparare un tot di lingue, e i tuoi lavori vengono corretti dai madrelingua, il che è buono. Quindi, dovendo scegliere tra russo, cinese, giapponese, portoghese, finlandese, olandese, polacco e le altre tremila lingue che ho intenzione di studiare o di riprendere, la scelta è caduta proprio sulla prima, sul russo. Il primo giorno è stato assurdo. Non avendo mai letto nemmeno mezzo carattere dell'alfabeto cirillico, non ero minimamente abituata, e facevo una gran confusione. Ma sto facendo progressi, anche se lentamente, molto lentamente. Appena imparerò qualche straccio di verbo, potrò avviarmi verso la costruzione di frasi di senso compiuto *-*
Il 19, sono andata di nuovo al conservatorio, per una simulazione di esame di conferma. Ho suonato tutti i pezzi uno dopo l'altro. Un disastro, un totale disastro. Non so cosa mi era preso, facevo errori che in mesi e mesi di esercizio non mi erano mai capitati. E più andavo avanti, più mi demoralizzavo. Solo i cari vecchi studi di Brouwer mi hanno salvato la reputazione, fornendomi un briciolo di speranza. Sta di fatto che dal 19 alla data dell'esame, cioè oggi, mi sono preoccupata a morte e ho studiato come una dannata.
Ieri sera, sono andata a dormire troppo tardi (come al solito) e così la mia sveglia è stata traumatica, dovendo io prendere il treno presto. Svegliata alle sei e mezza per prendere il treno delle sette, venti minuti per bere un sorso di caffè, infilarsi dei vestiti a caso e partire verso la stazione in tempo. Meno male che mia madre mi ha dato un passaggio.

Tesa, tesa, tesa, sono terribilmente tesa. Il caffè in questo senso non ha contribuito. Ma piuttosto che dormire, meglio così. Ho paura di suonare all'esame come ho suonato martedì. Quella non ero io, a parte negli studi di Brouwer, forse. Non ero decisamente io. Io non suono così. Ma mai nella vita. Non so cosa mi prendeva. Oggi devo vedere di mostrargli questa grinta che ho, di cui tutti vanno parlando. Una chiave di violino mi pende al collo, e dimostrerò che ne sono degna. Ora mi sento più calma. Più che altro, si fa sentire il sonno. Quando arrivo a Bologna, mi compro della gran cioccolata. Del tipo, endorfine, venite a me! Sì, mi farò un bel regalo dolcioso, andrò dai tipi della Lindt. Magari prendo anche un cioccolatino per i ragazzi. Sì, oggi andrà bene. Perché lo dico io, perché Fuffy è con me e perché da martedì a oggi ho studiato come una dannata. Un calo di fiducia in me stessa, in una situazione così, non avrebbe assolutamente senso. Quei pezzi possono venire bene, quindi perché non dovrebbero? Riuscirò a trasformare la tensione in energia. In un'onda di crescendo. In grinta, in sicurezza, in qualcosa di buono. Sarò caricata a molla. Cazzo, ecco cos'ho dimenticato di prendere. Il poggiapiedi. Ma ora calma, niente paranoie né preoccupazioni di sorta. Al conservatorio ne hanno. Almeno uno ce l'hanno. Forse dovevo anche tagliare le unghie nella sinistra. *provando a intaccarle nella speranza almeno di accorciarle un po'* Mi sa che così, però, delle due mi rovino anche quelle della destra. Quindi desisterò, e una volta lì chiederò in giro chi ha un tronchese. O al limite una lima. Buono. Oggi sarà una giornata ricca di esperienze. E devo stare calma. Ora, giusto in tempo prima di arrivare a Bolo, mi dedicherò ad ascoltare The Count Of Tuscany.

Questo il mio delirante flusso di coscienza nei cinquanta minuti di treno che mi separavano dalla stazione a Bologna. Trenta, poi, perché gli ultimi venti sono stati usati per ascoltare quella canzone meravigliosa. Ero preoccupata a morte. Arrivata lì, un'oretta a riscaldarsi, poi intorno alle nove e mezza-dieci meno venti, gli esami sono cominciati. E io ero la prima. Ma perché? Comunque sia, sono uscita da quell'aula bene o male soddisfatta, perché avevo suonato degnamente. Tutt'altro che perfetta, ma comunque musicale, espressiva, viva. Me stessa. Le successive quattro ore, le ho passate ammazzando il tempo con gli altri esaminandi, un po' aspettando che gli esami finissero, un po' aspettando che i prof decidessero i voti da metterci. E sapete com'è andata, alla fine? Sono passata con nove! Un bel riscatto, specialmente considerato il fatto che l'anno scorso, di suonare, non ne volevo sapere mezza. Così, con oggi ho concluso il mio dispendioso e faticoso anno accademico, nonché la sfilza di esami che avevo da fare. E che dire, mi sento libera. La cosa più bella, sarà sicuramente poter suonare qualcosa di DIVERSO dai pezzi dell'esame, su cui sono stata a lavorare almeno un mese. Non ho suonato altro, ne ho fin sopra i capelli, sul serio.

Quindi ora, almeno per un po', passerò in modalità ameba-zombi, e cercherò di godermi al meglio le vacanze, che direi che per quest'anno sono più che meritate *pant*

giovedì 14 giugno 2012

Boh.

Questi primi giorni senza scuola per me sono stati tutto fuorché vacanza. Anche se ci sono stati momenti e giornate in cui mi sono sentita decisamente libera, purtroppo dover ancora sostenere un esame al conservatorio (per prepararmi al quale mi restano ancora una decina di giorni... aiuto! Non lo passerò mai) e averne sostenuti due nei giorni scorsi implica che un tot del mio tempo è stato occupato irrimediabilmente.

Domenica sono stata in montagna, in un posto assolutamente paradisiaco e per i tre quarti incontaminato. C'erano 3 o 4 case, campi sterminati con tanto di balle di fieno, bosco e sentieri ripidi tutto intorno, un bel giardino con un tavolo di pietra e un dondolo cigolante su cui io e i miei amici ci siamo subito stravaccati senza contegno alcuno, un fiumiciattolo, una famiglia e due cani. E molto, moltissimo vento. E' stato assolutamente meraviglioso. La natura incontaminata su di me ha un effetto fantastico, torno in qualche modo completamente rigenerata.

Martedì, tra l'esame del First Certificate e la penultima lezione di solfeggio, stavo impazzendo. Sono tornata a casa morta di stanchezza. Ed è degna di nota la mia avventura metropolitana alla scoperta del tragitto della navetta C.
Ero a bordo, aspettando la fermata del conservatorio. Ero tranquilla, non pensavo a nulla, avevo lo sguardo perso nel vuoto, quando a un tratto mi accorgo di non sapere dove mi trovo. Dapprima ho pensato a una deviazione del tragitto, poi al fatto che forse ero saltata sul bus sbagliato. Ho chiesto all'autista se fermava al teatro comunale. E il momento in cui mi ha risposto "Veramente era quella prima", rimarrà impresso nella storia per sempre. Lentamente ho realizzato di essere così persa nel mio mondo anglofono, in quel momento, da scordarmi completamente di scendere. Non mi ero minimamente posta il problema. Così, spaurita come sono e con il mio senso dell'orientamento pari alla reattività di un bradipo, mentalmente avevo pianificato di restare a bordo del bus fino a quando non fosse ripassato dal conservatorio, dato che fa un percorso circolare. Ero completamente in panico. Avevo paura che, una volta arrivata alla fermata di Cestello, la navetta per qualche ragione astrusa non sarebbe tornata indietro, e guardavo una Bologna a me completamente ignota scorrermi davanti agli occhi, senza la più pallida idea di dove io fossi. A volte mi sembrava di vedere vie familiari, ma è solo il simpatico effetto che danno le città con i porticati tutti uguali. Pensi di non esserti perso. In realtà sei in tutt'altro posto rispetto a quel che credi. Il sollievo è arrivato quando la voce stridula tra una fermata e l'altra ha smesso di dire "Linea C - via Castiglione Cestello" sostituendolo con un più rassicurante "Linea C - Stazione Centrale", che mi garantiva che in fondo in fondo, anche se non sapevo dove mi trovassi, ero in una botte di ferro. La fermata del conservatorio è arrivata, appena è stata annunciata l'ho prenotata istantaneamente, e mi sono sentita molto turista quando, scendendo dalla navetta, ho salutato l'autista con la mano. Alla fine, anche se ci ho scambiato due parole in croce, era come se lo conoscessi.
E mentre mi incamminavo dal chiostro ai piani superiori, con il sole che filtrava illuminando tutto e stralci di musica che provenivano da tutte le aule, non ho potuto fare a meno di sentirmi felice, perché, nonostante tutto, ero viva. E ce l'avevo fatta da SOLA.

Stamattina, invece, esame di solfeggio. Non è andato male, ma la giornata in sé è stata alquanto strana. Tanto per cominciare, l'esame è cominciato un'ora e mezza più tardi del previsto. Poi, ho fatto meglio i parlati che i cantati, cosa per me fuori dal mondo (ma aveva anche senso perché i cantati li ho presi sottogamba e completamente ignorati, sicché non li sapevo affatto bene). Ed è saltato, di conseguenza, anche il giro di shopping che avevo programmato subito dopo l'esame. Ci sono state tante cose che non mi aspettavo. Quindi una volta arrivata a casa, sono crollata sul letto a sonnecchiare. Però, il senso di libertà che ho provato dopo essermi liberata dell'ennesimo esame è stato meraviglioso. Ora devo solo fare la conferma di chitarra. E poi avrò finito tutto, tutto! Non ne posso veramente più.

Domani di nuovo a Bologna, ma almeno la mattina potrò dormire un po', perché parto di pomeriggio. Ma starò via fino alla sera. E sarà anche bene che io trovi la voglia, dalla via che sono sotto esame. Poi, starò via due giorni, che vado a trovare i parenti di giù. E se non fossi partita, probabilmente sarei stata sabato in piscina e domenica alla festa nazionale dell'ANPI. Ma perché mi riempio sempre di impegni anche quando non c'è scuola, io mi chiedo!

Sigh, essere me è decisamente sfiancante.

venerdì 8 giugno 2012

La fine dell'inizio, o l'inizio della fine, o una fine che è diventata un inizio. Non lo so.

Quanto detesto gli addii. In quest'ultimo periodo ce ne sono stati veramente troppi. Forse sarà per questo che mi sembra di sentirmi così svuotata.

Oggi per parecchi, tra cui me, è stato l'ultimo giorno di scuola, e in molti ne parlano con grida di giubilo, commenti goliardici e godimento profondo nel sapere di poter restare a letto domani mattina. Beh, l'aspettativa di un'estate tranquilla e di mattinate all'insegna del dolce far niente è molto allettante, devo dire. E anche disattivare la sveglia perennemente puntata ad orari strambi è stato un momento che entrerà nella storia. Però oggi, mentre voltavo le spalle alla scuola, dopo averle lanciato un ultimo sguardo nostalgico, lì sola in cima ai gradini, mi rendevo conto che stavo voltando le spalle ad un anno di passato, un passato a cui ero molto, troppo attaccata. Sul momento è stata dura, sarei voluta restare lì con i miei compagni a festeggiare in eterno. Sono momenti che vorresti non finissero mai, mai. E invece la campanella ci ha colti di sorpresa, mentre eravamo intenti a scattare una foto di gruppo. E così, finite le foto e salutato tutti, mi sono avviata verso casa. E mi sono lasciata alle spalle tutto. Ma dagli abbracci che ho dato in lungo e in largo, deve essermi rimasta addosso qualche reminiscenza di profumo di marca. L'odore delicato che ogni tanto mi arrivava alle narici mi sembrava vischioso come tutti i ricordi che non riesco a lasciare andare.

Ora come ora inizio a rendermi conto di quanto io sia dannatamente legata al mio passato. Conservo tutto, scrivo tutto, e tutto quello che conservo e che scrivo ha la sua data di fianco, e ha il suo perché. Ho paura di dimenticarmi qualcosa per strada, di non poter rivivere mentalmente queste giornate, nemmeno con il ricordo. Così archivio, ammucchio, raccatto. Brandelli di passato che si accumulano ovunque, nei cassetti, sugli scaffali, negli interstizi, un po' come la polvere. Devo avere la sicurezza mentale che, se anche dovessi dimenticare, tra diari, biglietti usati e mille altre forme di archiviazione dei ricordi, potrei ricostruire tutte le emozioni vissute e le cose successe. Il problema è che poi non dimentico. Anche quando vorrei o dovrei. Potrei buttarmi tutto alle spalle, tanto avrei la sicurezza di poterlo recuperare quando voglio. Eppure non ci riesco, il ricordo in sé mi resta più attaccato addosso di quanto non riesca a fare quel ciondolo, quel quadernino o quella massa di biglietti usati. Stanno diventando veramente tanti. E' come un circolo vizioso. Prima ho paura di perdere i ricordi, e quindi li collego a degli oggetti; poi, ho voglia di dimenticare ma non ci riesco, perché ci tengo troppo; e poi, quando finalmente la mia mente trova la forza o la distrazione sufficiente per mettere da parte quei ricordi, saltano fuori gli oggetti, ed ecco che quello a cui tengo diventa anche quello che odio di più. (vi starete chiedendo se ho idea di quello che ho appena scritto. Ebbene no, non ci ho capito niente nemmeno io).

Non faccio che ripetermi da ore "coraggio, coraggio, hai un'intera estate davanti a te e tutto il tempo che vuoi". I ricordi di questi giorni verranno sopraffatti da altri. Spero che sia così. Perché altrimenti potrei morirne.

E perché continuo a fare la parte della donna vissuta schiacciata dal peso del proprio passato, quando ancora di anni ne ho solo quindici e tutto sommato non sto neanche tanto male nella mia situazione attuale?

Bah. Intanto, avevo cominciato a parlare di numerosi addii. Come tanti racconti che giungono a una fine. La fine è sempre qualcosa che lascia l'amaro in bocca, perché ti aspettavi un seguito. Come seguire una serie a fumetti e scoprire un bel giorno che sei arrivato all'ultimo numero. Però, a differenza dei fumetti, gli addii e le fini, almeno nella maggior parte dei casi, non corrispondono ad altro che a nuovi inizi. Come dicono i Linkin Park, the hardest part of end is starting again (il fatto che queste parole siano inserite in una canzone che fa parte dell'ultimo album e si discosta notevolmente dalle sonorità nu metal a cui i LP si attenevano all'inizio è meramente un dettaglio. E' una canzone meravigliosa in ogni caso, e le parole si adattano perfettamente alla situazione). E queste vacanze sono appena cominciate. Quindi domani ho seriamente intenzione di svegliarmi con la mente del tutto libera da tutti questi ricordi opprimenti. Forse ce la farò, o forse no. Ma un'estate come quella che è appena cominciata, non posso certo bruciarmela con le lacrime :)

martedì 5 giugno 2012

Quasi alla fine.

Inizia sempre durante le ore dei prof meno rigidi, quelle ore in cui sai che anche se ti allarghi a fare una gag, non ti succede niente e non rischi di finire in presidenza. Inizia quasi in sordina, parlato, una voce sola:
"Il corpo nazionale dei vigili del fuoco..."
Nel giro di frazioni di secondo, si aggiungono altri due, tre, quattro, ragazzi e ragazze, via via sempre più convinti, le voci sempre più alte, che esplodono, ormai irrefrenabili, con grande disappunto del prof, e se sbagli le note chissenefrega, se sbagli le parole basta seguire il resto del gruppo.
"Il pompiere paura non ne ha, il pompiere paura non ne ha!"
Ovviamente, nel grande coro di massa, come potrei mancare io? In gita a Roma, eravamo alle prese con i cori da stadio. Che ricordi. Quando saremo nella curva nord, come una bomba il tifo esploderà. Poi, non so da chi è partita l'idea dell'inno dei pompieri, ma quel che è certo è che mi è rimasta fissa in testa, in questi giorni. In questo periodo è un motivetto che si sente in parecchie classi, chissà come mai.

Sono dei momenti che adoro. Anche se non è, diciamo, esattamente ortodosso, per una studentessa modello come me (u.u), iniziare a cantare cori a squarciagola. Mi piace l'idea di avere una classe in cui mi trovo così bene da poter aggregarmi addirittura ad un coro.
L'anno scorso era del tutto diverso. Se c'erano dei cori, spesso la parola principale era "Buffona!", e la destinataria ero io. A dire il vero non è che succedesse spesso, e io ero parecchio suscettibile, sicché credevo di essere detestata da tutti, mentre in realtà mi si stava soltanto prendendo in giro in maniera più o meno amichevole. Che odio che avrei, verso quella che ero l'anno scorso. La liceale rigida e frigida, che fa finta di essere socievole e poi invece si rintana in un angolino a piangersi addosso. Mi sentivo una tessera inserita nel puzzle sbagliato, totalmente estranea.
Poi, il tempo è passato, alcune persone sono rimaste, altre sono andate via, altre sono intervenute affinché altre ancora cambiassero, io sono cresciuta ed eccomi qui a pensare che durante le vacanze la mia classe mi mancherà. Una cosa inaudita.

Si sente un sacco l'atmosfera degli ultimi giorni. La voglia di fare è pressoché zero, il caldo è esponenziale, i prof pare che più ci si avvicini alla fine dell'anno più siano determinati a lavorare, fare verifiche e interrogarci... Ieri l'altro ho ripescato, circa dal nulla, i panni estivi. Che ricordi. Alcune magliette le avevo del tutto rimosse dalla mia memoria, altre invece, le avevo inconsciamente cercate per mesi, dato che anche in primavera si sarebbero tranquillamente potute mettere. La maggior parte sono acquisti dell'anno scorso, o, al massimo, di due anni fa. Ed è meraviglioso metterle per andare a scuola. Sanno tanto di estate, di fine.

Credo che sarà l'estate più impegnata di tutta la mia vita, 3-4 esami e ben due viaggi. E il mio primo volo in aereo. Io!!! Su un aereo!!! Quando mai si è vista una cosa del genere? Sono così emozionata, e felice, anche. Molto felice. E da tutta questa apatia estiva mista a impegni vari e tanta felicità mi separano soltanto tre giorni. Solo tre.

Gli ultimi tre giorni di scuola. Cavolo, è finito anche quest'anno e io come al solito stento a rendermene conto. Cosa c'è di tanto difficile? L'anno scolastico è finito. Finita l'epica collaborazione con la mia compagna di banco, finite le verifiche, le interrogazioni, le cose da studiare, finita la sveglia quotidiana ad orari random (non so il perché, ma mi piace puntarla ad orari strambi, come 6.57, 7.11, 7.04), finite le attese costanti per la campanella successiva, e per gli intervalli, soprattutto; e finiti gli intervalli, che a dire il vero sono piuttosto vuoti (anche se oggi in quinta geometri si sono tutti vestiti in modi stravaganti. Ce n'era uno con un pareo, uno vestito da pirata, con tanto di petto scoperto e occhiali tondi, uno con una parrucca arancione, e via dicendo. Ho riso come una forsennata. Quando sarò in quinta, lo farò anche io); e fine dei cori da stadio, dell'inno dei vigili, delle urla del prof di ginnastica durante le lezioni...
Insomma, l'insofferenza verso la scuola c'è sempre. Però l'atmosfera è del tutto diversa. Mi aggiro per i corridoi, o mi guardo attorno in classe, pensando "tutto questo mi mancherà".

Mai più un anno così, è da maggio che mi sono resa conto che prendere così tanti impegni è un vero e proprio suicidio. Assolutamente. Ho fatto tante esperienze, mi sono divertita, e ho sperimentato l'orribile sensazione di un'imminente crisi di nervi. La cosa che mi sorprende è che io sia ancora viva, dopo tutto questo correre in giro per mesi consecutivi. Però, sotto il punto di vista della scuola, credo che sia stato il mio anno migliore. A livello sociale, soprattutto. Sono in una classe dove la gente mi considera. Chi l'avrebbe mai detto? E pensare che l'anno prossimo, in tre o quattro andranno via. Tre o quattro tra i più simpatici, per di più... Mi mancheranno anche loro, a maggior ragione.

Voglio bene alla mia classe, a tutti, anche se quelli che leggeranno questo post saranno due a dire tanto. Quest'anno è stato veramente pieno di tutto, di cose positive e negative, gente che è arrivata, gente che è andata via. Alcuni il prossimo anno li rivedrò, alcuni no. E intanto anche questi pochi ultimi giorni di scuola passeranno, e mi aspetta un'estate oltre ogni previsione, ricca di incognite, anche sentimentali, volendo.

E dato che, come al solito, ora devo correre alle prove per l'ennesimo spettacolo teatrale, direi che con i discorsi-di-fine-anno la posso anche piantare qui :)

domenica 3 giugno 2012

Wonderful life.

Sono stati 449 giorni lunghissimi e intensi. E' passato un sacco di tempo. Ho vissuto dei momenti meravigliosi. Imparato cose, fatto esperienze. L'anno-e-quasi-tre-mesi più bello della mia vita. La mia prima storia. Forse potrei anche piantarla con i discorsi sdolcinati da film zuccheroso, ma non ne ho voglia. Fa troppo scena. Una storia che è cominciata in una mattina di fine inverno, ed è finita alle undici di sera di un primo giugno ricco di tensione, divertimento, vittorie personali e non, festeggiamenti di sorta, corse ovunque (come mio solito), tic nervosi, canzoni dei Sonata Arctica, abbracci e lacrime.

Non posso dire che mi sia crollato davvero il mondo addosso. Non tutto il mondo. Invece di collassare tutto in una volta, si è smantellato per gradi, giorno dopo giorno, mentre la consapevolezza che sarei rimasta single entro la fine della settimana si faceva avanti. Però ho versato lo stesso delle lacrime, più che altro per sfogarmi dello stress accumulato. E realizzare la mia nuova situazione è stato abbastanza difficile, mi sembrava di vivere in un sogno, con le lacrime che mi sbavavano il trucco, lo stordimento, l'adrenalina, i neon. Il nostro termo. Quanti intervalli ci abbiamo passato? Quello stesso termo davanti a cui l'altra sera ci siamo appartati per "fare due chiacchiere". Ironia della sorte.

Forse c'è il caso che sia davvero meglio così. Provavo davvero ancora qualcosa? O ero solo una ninfomane orgogliosa e attaccata alle proprie abitudini? Non lo so. So solo che, una volta realizzato che veramente non c'era modo di tornare indietro, e non era una cosa che dipendesse da me, ma esclusivamente da lui, e lui era ormai già radicato nella sua idea, una volta resami conto di questo, la ragione del mio pianto, che fosse essa un residuo di amore e speranza o una paura di spezzare la routine, è sparita. Nel giro di 24 ore, con un'ottima pizza e una fetta di tiramisù tutte da digerire, e tante risate fatte con i miei migliori amici, che non smetterò mai di ringraziare, potevo già dire di esserne uscita. Sicuramente, dal suo punto di vista, ha fatto bene a fare così. Se dice che non voleva mentirmi, e se tutto il suo discorso è davvero sentito e non è una scusa, allora a continuare a stare con me avrebbe sofferto e basta.

Non so se e quanto essere contenta del fatto che siamo rimasti ancora amici. E forse, mi servirebbe dello spazio per pensare, per abituarmi, prima di tornare a parlarci regolarmente. Invece ieri, nostro primo giorno da single dopo oltre un anno, mi ha cercata più volte di quanto non avrebbe fatto in un nostro qualunque giorno insieme. Sono passati solo due giorni. Ma dai. Mi sembra che siano già successe un mucchio di cose, e il ricordo di quella scena, il termo, lui e io che gli piangevo sulla spalla mentre lui mi forniva ogni ragione che trovava perché io smettessi, è lontano e annebbiato, come un sogno interrotto dal trillo della sveglia. La festa della scuola? Ma quand'è stata? Solo l'altro ieri? Davvero, sembrano passati secoli. Troppe lacrime, troppa confusione, troppi pensieri e troppi ricordi che sto cercando di rimuovere, mi separano emotivamente da quel giorno.

Già, credo che rimuovere i ricordi più belli, per adesso, sia l'unica strada. Sono troppo nostalgica. Niente più andare a rileggere il diario, niente più rispulciare le foto, e quella collana con i due ciondoli del cuore spezzato e dello yin e lo yang deve sparire dalla mia vista per un po'. Perché pensare alle altre metà e a tutto quello che significavano è inevitabile. Non mi causa più lacrime, solo tanto fastidio. Non capisco perché le cose siano cambiate così repentinamente. Dalla mattina alla sera. Prima baci tanto appassionati da essere quasi furiosi, dopo settimane di apatia totale, e poi la sera stessa, il periodo di pausa. Quanto è strano tutto ciò.

Animo, animo, sono single e ho il sorriso sulle labbra. Anche se la ferita che ho dentro si sta ancora, molto lentamente, rimarginando. Sto dimagrendo. Sono forte e carismatica. E ho persino un ex. Non sono terribilmente affascinante?

E ad ogni modo, indipendentemente dai miei discorsi, e dal fatto che io fossi illusa che sarebbe andata avanti per sempre, la vita va avanti. La terra continua ancora a girare, la radio continua a trasmettere programmi satirici e parodie, la scuola ancora non è finita, gli esami e le verifiche sono sempre lì che mi aspettano, e alla fin fine, io sono ancora viva, e questi sono gli anni migliori della mia vita. Tutto sommato, quindi, direi che devo stare bene.