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martedì 28 ottobre 2014

Metà.

Certe volte sembra che tutto anneghi in quella colata di imperturbabile grigiore che è la routine e il dare le cose per scontate.
Ci anneghiamo anche noi. Non io e te fisicamente, ma il "noi". Come se l'idea di noi che siamo uniti e connessi fosse un filo sottilissimo e quasi invisibile, lungo come la distanza che ci separa, e che ormai a volte pensiamo che si sia già spezzato da chissà quanto.
Però succedono tante cose, e nel marasma solo una certezza rimane costante: quando soffri tu, soffro anche io. E non è la semplice empatia che si potrebbe avere anche verso uno sconosciuto, c'è qualcosa di più. C'è che ti capisco al volo, che una qualunque frase che per chiunque potrebbe essere una frase fatta, se la dici tu e la dici a me significa tante cose.
Ed è in momenti come questi che sento il bisogno fisico di tornarti vicino, anche solo per un istante. Ma torna anche la sicurezza del fatto che io e te siamo ancora noi.

domenica 26 ottobre 2014

Delle battute sull'ebola.

Adesso però anche basta, veramente. Mi riferisco a uscite del tipo "Meglio l'ebola che il nuovo pezzo di Tizio", oppure "Caio è assente da una settimana... magari c'ha l'ebola".
Non sono allarmista. Non mi agito se sento parlare di un nuovo caso al tg (a parte che comunque cerco di non fidarmi troppo dei mass media per principio), non mi chiudo in casa in preda al terrore o cose del genere, magari ogni tanto mi preoccupo ma per il 99% del tempo non ci penso.
Penso che anche gli altri intorno a me percepiscano le notizie che arrivano in questo modo, o comunque in modo simile. Non ci sono situazioni di panico.
Però rimane che beccarsi l'ebola non è una cosa divertente, anzi, e allora com'è che vedo tanta di quella gente che ne parla con una leggerezza quasi parossistica e decisamente irritante?
{Stesso discorso, già che sono in vena di dire la mia su qualcosa, per questa tendenza che c'è su diverse pagine Facebook di chiamare "cancro" un oggetto di consumo particolarmente di moda tra determinate categorie di persone (per esempio le Crocs o le felpe a fiori che sembrano delle tende o il nuovo pezzo di qualche cantante pop). Non è male come immagine, che un oggetto di consumo possa essere definito come il cancro della società, anzi direi che è una metafora piuttosto potente. Però l'utente medio non fa questo tipo di ragionamento e pensa solo a commentare con una frase alla moda.}
Tornando al discorso iniziale, le cose che mi vengono in mente sono:

  1. non c'è una gran sensibilizzazione sugli effetti del virus (o se c'è non arriva a destinazione);
  2. la sensibilizzazione c'è, arriva, ma le persone mettono la parola "ebola" in qualunque frase o post per suonare più irriverenti e spaccone (e per attirare l'attenzione in generale);
  3. è semplicemente un meccanismo per sminuire inconsciamente una cosa che è palesemente preoccupante.
Ai posteri l'ardua sentenza, insomma. Nel dubbio, la prossima volta che sento una battuta sull'ebola sparo a zero su chiunque.

giovedì 23 ottobre 2014

Paranoie in-line #2 (Murphy's law strikes again)

Erano diversi giorni che, vedendo le belle giornate di sole che ci sono state, avevo avuto la bella pensata di trovare un po' di tempo per andare a pattinare. E oggi no perché devi fare questo, e oggi no perché devi fare quest'altro, tra una cosa e l'altra ieri mi sono decisa e ho detto "domani se c'è il sole come oggi ci vado".
Stamattina il sole c'era, giuro. Di pomeriggio nuvoloni, ma sembravano già scemare. Alle quattro e mezza la situazione sembrava così promettente che io, appena finito di caricare un po' di musica nel cellulare, borsa coi pattini alla mano, leggings e mega felpa, ero pronta ad uscire. E proprio in quell'istante, vuoi che non arrivi il nuvolone più grande e grigio che io avessi mai visto a coprire il sole? Ho posato i pattini in preda alla disperazione e ho pensato che probabilmente, se non è bel tempo domani, rimarranno lì dentro almeno fino a marzo/aprile.
Salvo poi ripensare a tutte le meravigliose giornate di sole che ho testardamente speso nelle quattro mura della mia stanza a perdere tempo in nulla.
Beh, che mi serva da lezione.

EDIT (pochi minuti dopo): appena schiaccio il tasto "Pubblica", vuoi che il sole non faccia capolino dal nuvolone grigio? Mi sale quasi la rabbia, ma cerco di non pensarci prima di entrare in uno stato mentale di "fanculo-tutti-voglio-andare-a-pattinare-ma-è-troppo-tardi-per-farlo". Perché il guaio è questo. Adesso è troppo tardi per andarci. Bah. Tempo di merda.

lunedì 20 ottobre 2014

This makes no sense this makes no sense this makes no sense this makes no

La distanza è una brutta cosa.

Qualche volta mi fermo un momento, guardo a tutte le cose perse, dimenticate, logorate, a tutto il tempo che è passato, a quello che c'è ancora da passare, e penso "Ma ne vale la pena?".
Mi sento un po' come in quel racconto di Michael Ende dove c'è quel tipo che deve attraversare una stanza infinita per raggiungere la sua sposa, e più passi fa per raggiungere la porta, più sembra che la porta si allontani, e quando finalmente ci arriva è vecchio, quasi cadaverico, e quando la sua sposa arriva alla porta lui ormai è quasi solo polvere. E così la sposa (che è ancora giovane) si incammina verso la porta opposta per raggiungere il suo futuro marito, e avanti all'infinito.
E io ci sono quasi, se riesco a scavalcare i veti di mio padre in virtù della maggiore età che avrò a dicembre (e finalmente, dannazione!) è fatta. Però, per tutto questo tempo, sento come di aver camminato a vuoto. Sento di aver perso tante cose, ed effettivamente è quello che è successo.
Ci sono quasi, ma sono al centro della stanza. Dietro di me, giorni vuoti passati veloci come sabbia nel vento. Davanti a me, giorni altrettanto vuoti che passeranno ancora più rapidi. E se mollassi tutto? Certe volte ci ho pensato. Però poi mi sono detta che no, non posso.
Devo vederti. Arriverò da te in frantumi. Ma devo vederti.

domenica 19 ottobre 2014

Sfogo.

Quando mi salgono i cinque minuti, non riesco a canalizzare il mio nervoso in niente di costruttivo. Posso solo scegliere di urlare, piangere, prendere a calci qualcosa (tutte cose che NON posso fare nella maggior parte dei casi, perché susciterebbero attenzione, curiosità e domande da parte di chi mi sta attorno), o tenermi tutto dentro. A volte ci sono quelli tutti convinti che ti dicono "Ma sì, sfoga la tua energia! Prendi la chitarra e suona fortissimo! Prendi un pennarello e imbratta tutto!". Io sono tra questi, tra l'altro, il che è buffo, perché sommersa dalla rabbia che mi pulsa nel cervello provo a immaginarmi mentre canto a squarciagola o pacciugo un foglio coi pennarelli... e penso che non funzionerebbe mai. Semplicemente non è il modo giusto. Di solito scrivere o fare un lavoro meccanico mi calma. Cosa ancora più strana, considerato quanto ho detto sopra. Non è tanto uno sfogo quanto una distrazione, e infatti, dopo che è successo una volta, due, e poi tre, arriva sempre un punto di rottura in cui non ce la faccio più ed esplodo alla minima provocazione o cosa che non va come dico io.
Alla fine, quando mi prendono questi momenti qui, l'unica vera valvola di sfogo che ho è distruggere qualcosa. Un pezzo di carta, una porta, i miei occhi a forza di piangere, la mia voce a forza di gridare (e questo l'ho fatto. Il problema è che la sensazione di vuoto e calma successivamente era impagabile, quanto era fastidioso non riuscire a parlare decentemente). Qualunque cosa. Il punto è che io non voglio. Vedo persone che urlano o distruggono cose a caso ogni giorno senza un apparente motivo, solo perché hanno i nervi saltati. Ogni singolo giorno. E io ho deciso che non voglio essere così, mai, per nessuna ragione. Perché? Perché se fai così sembri un nevrotico a tratti anche psicopatico. Perché tutti quelli che ti stanno intorno e assistono allo spettacolo assorbono la rabbia che lasci trasparire.
Per non esplodere, devo trovare un altro modo. Andiamo avanti e vediamo se qualcosa salta fuori.