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giovedì 20 dicembre 2012

E se...

Premessa: non credo all'imminente fine del mondo.

Tuttavia, cado nel cliché del post dedicato, nonché nel circolo vizioso del bombardamento mediatico in proposito. Del resto, se ci avessi creduto oggi avrebbe potuto essere il mio ultimo giorno. Il mio secondo giorno da sedicenne, centosessantottesimo giorno da ragazza-in-una-storia-a-distanza, il mio ultimo giorno.

In quanto giorno ordinario, non ho fatto nulla di straordinario: scuola, pranzo, letto un buon libro, cena, acceso il computer, suonato un po'. Se la vedessi dal punto di vista "oddio oddio questo è il mio ultimo giorno" potrei dire di averlo deliberatamente spinto in mezzo alla strada e lasciato che venisse investito da quel grande rullo compressore che è la mia stupida routine. Buttato via così. In casa a fare niente.

Un po' di rimpianti ce li ho, ma non tanti, per fortuna, per via delle mie convinzioni.

Rimane comunque che, se di punto in bianco mi si annunciasse una mattina che quello che vado a cominciare è il mio ultimo giorno, o l'ultimo giorno del mondo, o quello che è, morirei miseramente schiacciata dal mio copione di settimane sempre uguali. Non che in questo ci sia niente di così drammatico, ora che ci penso. Manie di protagonismo di noi esseri umani che verso la morte vogliamo andare in una corsa sfrenata e fulgida. A me non importa. Forse giusto salutare tutti sarebbe buono, poi se ci fosse un aldilà ci si ritroverebbe lì, e se no non sarebbe problema nostro perché non esisteremmo. Il pensare all'annullamento della mia mente è sempre stato inquietante. Immaginare che un giorno non avrò più raziocinio in quanto non avrò più vita. E' buffo pensare tipo "chissà cosa si prova a non esistere più", e rendersi conto che non esistere implica che non puoi provare niente. Più che altro mi domando dove si vada a finire. Un aldilà? Un nuovo corpo? Il nulla? E se divento nulla, non io in generale, ma il mio io attuale, la mia identità e i miei ricordi, allora qui cosa ci sto a fare? E il bello è che mi pongo queste domande da una vita (sia pure relativamente breve), ma solo adesso le sto mettendo per iscritto per la prima volta. Quando invece dovrei essere già a letto da almeno una mezz'ora.

Infatti adesso è meglio che io smetta di parlare a vanvera e vada a dormire. Poi tanto domani è l'ultimo giorno di trantran, e poi alla mia routine le vacanze daranno un bel calcio nel sedere.

Quindi, chissenefrega :3

venerdì 14 dicembre 2012

Noia.

La mia mente si dondola avanti e indietro appesa al tedioso filo dell'attesa.

Attesa che tu ritorni per poter parlare almeno un po', per poterti dire buonanotte, per stare con te, per quanto in modo estremamente a-fisico.
Attesa che questi 19 giorni diventino 18 e poi 17 e poi 16 e poi finiscano, finalmente, e che tutta questa tensione e impressione di non arrivare viva e psicologicamente stabile a gennaio si liberi di colpo rivedendoti.
Stupida concezione soggettiva del tempo: Appena ho cominciato a tenere il conto di quanti giorni mancavano (e se mi ci mettessi potrei contare anche le ore) da settimane brevi come giorni che mi volavano sotto il naso sono passata a percepire minuti viscosi e statici lunghi come ore.

Lo vedi, il mio tempo è unicamente per te. E se non ci sei tu, sì, faccio finta di fare qualcos'altro, ma in realtà anche questo è finalizzato solo e soltanto a te. Mi racconto la piccola bugia di avere la capacità di coltivare altri interessi in tua assenza, scrivo canzoni, poesie, deliri strani che diventano post di blog, suono, faccio i compiti a volte, persino. Sono riuscita a infilarti in mezzo ai miei compiti d'italiano. Scrivere una quartina di endecasillabi rimata AABB, con tema il tempo.

L'angoscia dilagava nel mio cuore,
mentre minuti lunghi come ore
avrei aspettato e avevo da aspettare
per poterti di nuovo rincontrare.

Che cosa orrida la rima baciata, non trovi? Fa suonare tutto estremamente infantile. Posso capire la musicalità degli endecasillabi e l'importanza di saper scrivere in rima. Ma trovo che la rima alternata e quella incrociata siano di gran lunga meno demenziali. Se non altro non rendono l'intera quartina simile a una filastrocca.
Ho appena deciso. Dato che non sono capace di scrivere canzoni, ti scriverò un sonetto, prima o poi. Tanto il prof d'italiano sicuramente ce ne farà scrivere a badilate, direi che mi allenerò giusto un pochino.

Credo che tu sia un'ottima fonte d'ispirazione. Era un sacco che non scrivevo così tanto in così poco tempo. Non che io abbia scritto poi tantissimo alla fine, eh. Eppure sono solo dieci minuti che sono alla tastiera, ed ecco spuntare dal nulla righe su righe di caratteri allineati e relativamente sensati, senza che io mi sia ripresa una sola volta sul da dirsi. Per la prima volta dopo non so esattamente quanto tempo, riesco a far correre la mente a briglie sciolte e farla divagare dove vuole senza strane citazioni da elaborare o obblighi che la mia coscienza mi impone. Briglie sciolte, poi, si fa per dire.

Curioso come la mia mente, una volta fissata la mia più totale attenzione su qualcosa, diventi simile a un imbuto in cui tutti i pensieri si riversano per gravità. E tu sei quel centro di gravità. I miei pensieri non ci provano nemmeno per sbaglio, a divagare. Per quale motivo dovrebbero mai? E' come se si potesse concepire l'idea che un filo d'erba voli nel cielo o che i fiumi scorrano al contrario. E contemporaneamente faccio molto più caso di prima alle cose che potrebbero anche solo lontanamente centrare con te. Non tanto tempo fa spulciando il libro di biologia avevo letto qualcosa che più o meno diceva che il cervello è in grado di filtrare gli stimoli che per noi sono rilevanti e quelli che non lo sono. Questo spiega tante cose. Le storie che mi raccontava mia madre sul fatto che una madre qualunque poteva avere il sonno pesantissimo e restare dormientemente impassibile a qualunque rumore molesto, ma allo stesso tempo il minimo gemito da parte di un figlio la faceva subito svegliare; il fatto che per quanto si possa essere persi nei propri pensieri, se si è chiamati per nome ci si accorge sempre; questo ammasso di tue citazioni di cui è pieno il mondo, e di cui prima non mi accorgevo perché non conoscevo te.

La mia mente continua a dondolarsi appesa al tedioso filo dell'attesa e alla snervante consapevolezza che non ci sei.

Mi avvinghio strenuamente ai pochi ricordi sempre più sfocati di quella manciata di giorni passati insieme. Così pochi in confronto all'enormità di tempo che è passata e sta passando. Così sfumati e confusi nonostante le foto e il diario che tenevo nei primi giorni, in cui scrivevo tutto. Credo che rileggerò quella parte, e anche tutte le nostre conversazioni. E i tuoi sms in cui ogni tanto tiravi fuori dal nulla parole in spagnolo. Che se non fosse per quelli, e per te che una volta hai scritto "hàblar" sulla pagina di un mio quadernino, non avrei prove tangibili che sono davvero stata in Inghilterra quest'estate e che lì c'eri anche tu. Beh, sì, dall'Inghilterra ho portato pacchi di souvenir, ma avrei voluto essere capace di mantenere i particolari del poco tempo che abbiamo avuto ben fissi in mente. Invece è come se quella porzione della mia vita fosse una magica bolla di sapone cosmico che fluttua nella mia memoria scoppiando e riformandosi a momenti alterni, e io sono sempre a chiedermi perché non ricordo più niente. Poi a un tratto dal nulla sento un odore o vedo qualcosa o ascolto una canzone e mi tornano in mente frammenti di scene vivide come non mai, e divento di nuovo cosciente di quanto fosse bello mangiare cioccolatini per cena, rotolare assieme negli sterminati prati in discesa del campus, scambiarci le felpe, pattinare mano nella mano con tanto di training autogeno per non cadere, raccontarci l'uno all'altra piano piano, un aneddoto dopo l'altro, lavare insieme una felpa XXL e non so quante magliette, assisterci a vicenda tra infezioni e influenze varie, appartarci sull'erba per conto nostro ogni singola volta che ci si trovava al meeting point, le infinite prove di teatro dalle quali tornavamo camminando abbracciati, col passo sincronizzato come fossimo una sola persona, darsi la buonanotte a mezzanotte, dopo lo spuntino serale, e l'accortezza di tornare subito a dormire per evitare i giri di ronda. Tutto questo in meno di due settimane. Anzi, questo è niente. E a maggior ragione mi manca, mi manchi tu.

Il telefono vibra, spezzando il tedioso filo dell'attesa che mi attanagliava fino a poco fa. Finalmente sei tu. Se non altro ho potuto darti la buonanotte più o meno come si deve.

Quando ti rivedrò, una delle cose più importanti che devo fare è imprimere il più possibile nella mente il suono della tua voce.

Ho paura di dimenticare.

domenica 9 dicembre 2012

Pose.

Mi scuso del mio prolungato silenzio, dovuto a boh, non so cosa, e riprendo i miei soliloqui strani e insensati.

Ecco una cosa che non so fare. Mettermi in posa per le foto. Curioso notare come, non a caso, tutte le foto della carta d'identità, del libretto delle giustificazioni e di altri siffatti formalissimi burocratici contesti, mi ritraggono con un'espressione altamente idiota che mi ritrovo a odiare. Io non sono così. Non ho la schiena perennemente dritta, il sorrisino ebete ibernato nei muscoli facciali e lo sguardo perso nel vuoto dove dovrebbe esserci un'ipotetica macchina fotografica. No, direi di no, non credo per niente nelle pose. Non ci rappresentano (almeno non il più delle volte. E se uno è una posa allora è una persona veramente triste). Sono sempre stata fautrice (e autrice) delle foto a sorpresa, quelle che tiri fuori di soppiatto il cellulare mentre i tuoi amici ridono sguaiatamente senza sospetti, e a tradimento catturi espressioni che quando sei in posa non puoi assumere. Catturi la disinvoltura. Quando vedo foto scattate a mia insaputa il più delle volte in fondo mi piacciono, anche se sulle prime rimango pensando "E quando mai la mia faccia mentre parlo ha quella forma? D:". Alla fine sono sicuramente più rappresentative dei tentativi burdi di fototessera fatti in casa da mio padre.
Non sono fatta per stare in posa, non sono fatta per stare negli schemi. Non sono una ragazza immagine, non sono una di quelle che camminano dritte senza mai inciampare in niente e senza mai rovesciare cose a caso. Non sono una che presta attenzione alla discrezione in funzione dei giudizi altrui. Io sono una che gira con felpe logore e larghissime di persone care, e chisseneimporta se gli altri pensano che sono troppo logore e larghe per rasentare la decenza; una che metterebbe enormi fermagli a forma di fiore tra i capelli anche adesso e anche se non siamo alle hawaii, se non continuassi a perderli in giro in continuazione; sono una goffa, imbranata, persa nel proprio mondo dove esistono la Pangea e il teletrasporto; una che inciampa in un gradino o scivola su una lastra di ghiaccio mentre un cilindro umano dai capelli cotonati, spettatore casuale, se la ghigna da sotto la sua maschera di fondotinta. Amore mio, ricordati di metterne un po' di più la prossima volta. Sai, ti si vedono dei brufolini giusto lì sulla fronte... E poi hai visto mai che il tuo naso rimpicciolisca, così facendo.

Sarete belli voi, con le vostre tonnellate di trucco, le vostre schiene burocraticamente dritte, il vostro sguardo burocraticamente perso nella fotocamera e il vostro esser convinti che la perfezione sia un modello (e meno male che non sto a parlare di quell'orda di gente che pubblica autoscatti in cui fa facce strane o mette in mostra il corpo, perfetto o photoshoppato che sia, perché anche lì ne avrei tante da dire). Restate pure nelle vostre pose statiche, che se muove un alito di vento poi passate le successive 3 ore a risistemarvi. Credete pure che sia perfezione, dai. Boiate.

Ognuno di noi può essere perfetto con le persone giuste al proprio fianco, o con una logora felpa XXL addosso e un fiorellino verdeazzurro tra i capelli.