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lunedì 25 giugno 2012

Tempesta. (Quando la giornata CONTINUA col piede sbagliato)

Va bene. Va bene!
Mondo, hai deciso di voltarmi le spalle tutto in una volta? Ma proprio tutto? Qualche strana coincidenza astrale ha stabilito che devo perdere la mia intera vita sociale tutta in un giorno? Mi va benissimo!

Toglietemi pure tutti la parola, fate in modo che il posto migliore dove io possa rimanere sia questa maledetta stanzina, tanto qua dentro ho vagonate di musica, libri e sto bene anche senza di voi, fanculo tutto, senza nessuno di voi, io sto bene. Benissimo. Sono ammirata dalle coincidenze del destino. Tutte oggi. TUTTE! E tutte a me!

Ma va bene, è tutto a posto in fondo, dato che pare che da oggi in poi resterò relegata qui dentro a vita senza più poter uscire. Con o senza una vita sociale, la mia situazione cambierà ben poco, no? Ce l'avranno tutti con me, diventerò una specie di orso bruno sociopatico, ma chisseneimporta! Tanto se mi stufo di me stessa, mi chiudo dentro e faccio in modo di affogare nelle mie lacrime. Anche se è più probabile che io muoia prima, per asfissia. Ma questi sono dettagli, tanto, cosa importa, e soprattutto, a chi importa, tanto oggi è la giornata mondiale dell'odio incondizionato verso di me. Vero? A chi mi odia di più, in regalo un miliardo di euro, perché no!

Oppure potrei provare a saltare giù dalla finestra di sgamo, e andare a fare un giro, ma tanto ormai in paese, mi odiano tutti! No? Perfino io mi odio, pensa un po'! Perfino io! Sicuramente una giornata iniziata piangendo non poteva finire bene, non è vero? Se il buongiorno si vede dal mattino, mi sembra anche giusto. Sta andando come deve andare! Evidentemente qualche congettura o disegno superiore prevede la mia implosione a mezzanotte di oggi, magari! Ma potesse implodermi questa stanza addosso! Perché, perché non succede? Sono un concentrato umano di negatività, poterei diventare antimateria, spazio vuoto. Potrei sparire! E porre fine ai tremila problemi di oggi! In fondo cos'ho da perdere?

Il futuro, ho da perdere. Ma il futuro prossimo lo vedo così brutto, che non ne vale la pena, di aspettare che arrivi il sole dopo la tempesta. La metà del mondo odia me, e l'altra sono io che non la posso soffrire. Qualcuno venga a spiegarmi che cazzo di prospettiva rosea potrò mai avere in una condizione così. Voglio uscire, voglio uscire da qui! E chi ci rientra più, qui dentro! Casa abitata da squilibrati mentali, a cominciare da me!

E dire che si prospettava una giornata tranquilla. Forse per il resto del mondo lo è, tanto io non sono un problema di nessuno, giusto? Bene. Quindi perché sto a torturarmi, alla fine? Nessuno se ne sbatte, quindi perché io dovrei disperarmi tanto o far implodere una camera o buttarmi giù da un balcone? Far notizia, non è certo un mio obiettivo, far pietà meno che mai. Pietà a chi, poi. Che schifo di giornata. Più amara del succo di pompelmo.

Il mondo reale, quando ci si mette, provoca decisamente la nausea.

Solo io! (Quando la giornata inizia col piede sbagliato)

Solo io posso essere capace di non chiudere occhio per una notte intera e di farmi venire un accumulo di paranoie alle sei e venti del mattino. Alle sei e venti. Del fottutissimo mattino.

Non so com'è successo, a dire il vero. E' stata una serata da sogno seguita da una notte da incubo, prima la partita che dall'inizio alla fine c'era da stare col fiato sospeso, compresi tempi supplementari e calci di rigore, e poi di notte ho fatto l'intelligentissima scelta di tenere gli scuri aperti e la finestra spalancata, con l'adorabile risultato che sentivo tutto quello che succedeva fuori. Il che è un'autentica fregatura! Io pensavo che casa mia fosse in una zona assolutamente silenziosissima.

Per farla breve, per metà della notte il mio sonno è stato disturbato da miagolii di gatti impazziti che passano le loro nottate proprio sotto casa nostra (facevano paura, non sembravano nemmeno gatti), e poi dalle quattro o cinque del mattino è cominciato il celestiale canto degli uccelli, che in quel momento a me sembrava soltanto una clamorosa rottura di scatole. Mi sono decisa a chiudere la finestra solo intorno alle cinque e qualcosa. Solo che poi, dato che la porta della mia stanza è sempre chiusa, morivo di caldo. Senza contare che in estate si sa, fa giorno subito. Così ho aperto la finestra, ma ho chiuso gli scuri, e ho tentato la goliardica impresa di appisolarmi un po', almeno da arrivare a oggi con qualche ora di sonno alle spalle, senza successo.

La mia testa ha iniziato a rimuginare improvvisamente, sfilze di pensieri che avevano per centro di gravità il passato, e in particolare quella parte del passato che fa male. I rimpianti, i fallimenti, quel genere di cose che suscitano immediatamente domande come "e se io invece che fare così avessi fatto colì, sarebbe successo lo stesso?". E' di nuovo tornata quella sensazione di dolore dentro, di male, stavo male. Ho iniziato ad ascoltare la musica. Alle sei e venti del mattino. Ho pianto un po'. Ho buttato fuori il dolore. Ma non so perché. Forse era solo dello stress che aveva bisogno di uscire, forse il mio subconscio tormentato si è svegliato dopo un periodo tutto sommato buono.

Però solo io sono capace.

venerdì 22 giugno 2012

Ritorno. (the End)

E così, dopo un periodo di totale apatia, eccomi tornata a scrivere qualcosa a random. Come mio solito. Mi mancava effettivamente il blog. Facciamo un po' il punto della situazione.

Dunque, il 14 di giugno mi sono tolta di mezzo l'esame di solfeggio, finalmente. Passato con otto, che considerato il mio odio verso quella materia, è un voto più che eccellente, e sicuramente oltre ogni mia aspettativa.
Il 15, ultima lezione di solfeggio, che è stata molto conversativa, e durante la quale abbiamo stabilito i compiti delle vacanze da fare. Oh, certo. Studiare il setticlavio sotto l'ombrellone sarà un passatempo straspassoso. Comunque, nonostante questo, la classe di solfeggio mi sta molto a cuore, e lasciandomi alle spalle il vecchio conservatorio con il chiostro ombreggiato e accogliente, ho provato una buona dose di nostalgia.
16 e 17, gran divertimento, in quanto sono andata giù in Campania dalla nonna. Che poi, io dico dalla nonna, ma in realtà ci sono zii, prozii, cugini, amici di famiglia, negozi di fiducia, insomma, è come se lì avessi una seconda vita sociale. E' stata una faticaccia, più che altro il sorbirsi dodici ore di viaggio in due giorni. Ma ne è valsa la pena eccome. Tanto tra meno di un mese ci tornerò. Ah, il 16 sono anche usciti i quadri. Media ancora più alta dell'anno scorso. Eccellente. E poi dal 17, che era domenica, ho cominciato a studiare il russo. Non c'è un motivo particolare, solo, ho trovato questo sito meraviglioso dove puoi imparare un tot di lingue, e i tuoi lavori vengono corretti dai madrelingua, il che è buono. Quindi, dovendo scegliere tra russo, cinese, giapponese, portoghese, finlandese, olandese, polacco e le altre tremila lingue che ho intenzione di studiare o di riprendere, la scelta è caduta proprio sulla prima, sul russo. Il primo giorno è stato assurdo. Non avendo mai letto nemmeno mezzo carattere dell'alfabeto cirillico, non ero minimamente abituata, e facevo una gran confusione. Ma sto facendo progressi, anche se lentamente, molto lentamente. Appena imparerò qualche straccio di verbo, potrò avviarmi verso la costruzione di frasi di senso compiuto *-*
Il 19, sono andata di nuovo al conservatorio, per una simulazione di esame di conferma. Ho suonato tutti i pezzi uno dopo l'altro. Un disastro, un totale disastro. Non so cosa mi era preso, facevo errori che in mesi e mesi di esercizio non mi erano mai capitati. E più andavo avanti, più mi demoralizzavo. Solo i cari vecchi studi di Brouwer mi hanno salvato la reputazione, fornendomi un briciolo di speranza. Sta di fatto che dal 19 alla data dell'esame, cioè oggi, mi sono preoccupata a morte e ho studiato come una dannata.
Ieri sera, sono andata a dormire troppo tardi (come al solito) e così la mia sveglia è stata traumatica, dovendo io prendere il treno presto. Svegliata alle sei e mezza per prendere il treno delle sette, venti minuti per bere un sorso di caffè, infilarsi dei vestiti a caso e partire verso la stazione in tempo. Meno male che mia madre mi ha dato un passaggio.

Tesa, tesa, tesa, sono terribilmente tesa. Il caffè in questo senso non ha contribuito. Ma piuttosto che dormire, meglio così. Ho paura di suonare all'esame come ho suonato martedì. Quella non ero io, a parte negli studi di Brouwer, forse. Non ero decisamente io. Io non suono così. Ma mai nella vita. Non so cosa mi prendeva. Oggi devo vedere di mostrargli questa grinta che ho, di cui tutti vanno parlando. Una chiave di violino mi pende al collo, e dimostrerò che ne sono degna. Ora mi sento più calma. Più che altro, si fa sentire il sonno. Quando arrivo a Bologna, mi compro della gran cioccolata. Del tipo, endorfine, venite a me! Sì, mi farò un bel regalo dolcioso, andrò dai tipi della Lindt. Magari prendo anche un cioccolatino per i ragazzi. Sì, oggi andrà bene. Perché lo dico io, perché Fuffy è con me e perché da martedì a oggi ho studiato come una dannata. Un calo di fiducia in me stessa, in una situazione così, non avrebbe assolutamente senso. Quei pezzi possono venire bene, quindi perché non dovrebbero? Riuscirò a trasformare la tensione in energia. In un'onda di crescendo. In grinta, in sicurezza, in qualcosa di buono. Sarò caricata a molla. Cazzo, ecco cos'ho dimenticato di prendere. Il poggiapiedi. Ma ora calma, niente paranoie né preoccupazioni di sorta. Al conservatorio ne hanno. Almeno uno ce l'hanno. Forse dovevo anche tagliare le unghie nella sinistra. *provando a intaccarle nella speranza almeno di accorciarle un po'* Mi sa che così, però, delle due mi rovino anche quelle della destra. Quindi desisterò, e una volta lì chiederò in giro chi ha un tronchese. O al limite una lima. Buono. Oggi sarà una giornata ricca di esperienze. E devo stare calma. Ora, giusto in tempo prima di arrivare a Bolo, mi dedicherò ad ascoltare The Count Of Tuscany.

Questo il mio delirante flusso di coscienza nei cinquanta minuti di treno che mi separavano dalla stazione a Bologna. Trenta, poi, perché gli ultimi venti sono stati usati per ascoltare quella canzone meravigliosa. Ero preoccupata a morte. Arrivata lì, un'oretta a riscaldarsi, poi intorno alle nove e mezza-dieci meno venti, gli esami sono cominciati. E io ero la prima. Ma perché? Comunque sia, sono uscita da quell'aula bene o male soddisfatta, perché avevo suonato degnamente. Tutt'altro che perfetta, ma comunque musicale, espressiva, viva. Me stessa. Le successive quattro ore, le ho passate ammazzando il tempo con gli altri esaminandi, un po' aspettando che gli esami finissero, un po' aspettando che i prof decidessero i voti da metterci. E sapete com'è andata, alla fine? Sono passata con nove! Un bel riscatto, specialmente considerato il fatto che l'anno scorso, di suonare, non ne volevo sapere mezza. Così, con oggi ho concluso il mio dispendioso e faticoso anno accademico, nonché la sfilza di esami che avevo da fare. E che dire, mi sento libera. La cosa più bella, sarà sicuramente poter suonare qualcosa di DIVERSO dai pezzi dell'esame, su cui sono stata a lavorare almeno un mese. Non ho suonato altro, ne ho fin sopra i capelli, sul serio.

Quindi ora, almeno per un po', passerò in modalità ameba-zombi, e cercherò di godermi al meglio le vacanze, che direi che per quest'anno sono più che meritate *pant*

giovedì 14 giugno 2012

Boh.

Questi primi giorni senza scuola per me sono stati tutto fuorché vacanza. Anche se ci sono stati momenti e giornate in cui mi sono sentita decisamente libera, purtroppo dover ancora sostenere un esame al conservatorio (per prepararmi al quale mi restano ancora una decina di giorni... aiuto! Non lo passerò mai) e averne sostenuti due nei giorni scorsi implica che un tot del mio tempo è stato occupato irrimediabilmente.

Domenica sono stata in montagna, in un posto assolutamente paradisiaco e per i tre quarti incontaminato. C'erano 3 o 4 case, campi sterminati con tanto di balle di fieno, bosco e sentieri ripidi tutto intorno, un bel giardino con un tavolo di pietra e un dondolo cigolante su cui io e i miei amici ci siamo subito stravaccati senza contegno alcuno, un fiumiciattolo, una famiglia e due cani. E molto, moltissimo vento. E' stato assolutamente meraviglioso. La natura incontaminata su di me ha un effetto fantastico, torno in qualche modo completamente rigenerata.

Martedì, tra l'esame del First Certificate e la penultima lezione di solfeggio, stavo impazzendo. Sono tornata a casa morta di stanchezza. Ed è degna di nota la mia avventura metropolitana alla scoperta del tragitto della navetta C.
Ero a bordo, aspettando la fermata del conservatorio. Ero tranquilla, non pensavo a nulla, avevo lo sguardo perso nel vuoto, quando a un tratto mi accorgo di non sapere dove mi trovo. Dapprima ho pensato a una deviazione del tragitto, poi al fatto che forse ero saltata sul bus sbagliato. Ho chiesto all'autista se fermava al teatro comunale. E il momento in cui mi ha risposto "Veramente era quella prima", rimarrà impresso nella storia per sempre. Lentamente ho realizzato di essere così persa nel mio mondo anglofono, in quel momento, da scordarmi completamente di scendere. Non mi ero minimamente posta il problema. Così, spaurita come sono e con il mio senso dell'orientamento pari alla reattività di un bradipo, mentalmente avevo pianificato di restare a bordo del bus fino a quando non fosse ripassato dal conservatorio, dato che fa un percorso circolare. Ero completamente in panico. Avevo paura che, una volta arrivata alla fermata di Cestello, la navetta per qualche ragione astrusa non sarebbe tornata indietro, e guardavo una Bologna a me completamente ignota scorrermi davanti agli occhi, senza la più pallida idea di dove io fossi. A volte mi sembrava di vedere vie familiari, ma è solo il simpatico effetto che danno le città con i porticati tutti uguali. Pensi di non esserti perso. In realtà sei in tutt'altro posto rispetto a quel che credi. Il sollievo è arrivato quando la voce stridula tra una fermata e l'altra ha smesso di dire "Linea C - via Castiglione Cestello" sostituendolo con un più rassicurante "Linea C - Stazione Centrale", che mi garantiva che in fondo in fondo, anche se non sapevo dove mi trovassi, ero in una botte di ferro. La fermata del conservatorio è arrivata, appena è stata annunciata l'ho prenotata istantaneamente, e mi sono sentita molto turista quando, scendendo dalla navetta, ho salutato l'autista con la mano. Alla fine, anche se ci ho scambiato due parole in croce, era come se lo conoscessi.
E mentre mi incamminavo dal chiostro ai piani superiori, con il sole che filtrava illuminando tutto e stralci di musica che provenivano da tutte le aule, non ho potuto fare a meno di sentirmi felice, perché, nonostante tutto, ero viva. E ce l'avevo fatta da SOLA.

Stamattina, invece, esame di solfeggio. Non è andato male, ma la giornata in sé è stata alquanto strana. Tanto per cominciare, l'esame è cominciato un'ora e mezza più tardi del previsto. Poi, ho fatto meglio i parlati che i cantati, cosa per me fuori dal mondo (ma aveva anche senso perché i cantati li ho presi sottogamba e completamente ignorati, sicché non li sapevo affatto bene). Ed è saltato, di conseguenza, anche il giro di shopping che avevo programmato subito dopo l'esame. Ci sono state tante cose che non mi aspettavo. Quindi una volta arrivata a casa, sono crollata sul letto a sonnecchiare. Però, il senso di libertà che ho provato dopo essermi liberata dell'ennesimo esame è stato meraviglioso. Ora devo solo fare la conferma di chitarra. E poi avrò finito tutto, tutto! Non ne posso veramente più.

Domani di nuovo a Bologna, ma almeno la mattina potrò dormire un po', perché parto di pomeriggio. Ma starò via fino alla sera. E sarà anche bene che io trovi la voglia, dalla via che sono sotto esame. Poi, starò via due giorni, che vado a trovare i parenti di giù. E se non fossi partita, probabilmente sarei stata sabato in piscina e domenica alla festa nazionale dell'ANPI. Ma perché mi riempio sempre di impegni anche quando non c'è scuola, io mi chiedo!

Sigh, essere me è decisamente sfiancante.

venerdì 8 giugno 2012

La fine dell'inizio, o l'inizio della fine, o una fine che è diventata un inizio. Non lo so.

Quanto detesto gli addii. In quest'ultimo periodo ce ne sono stati veramente troppi. Forse sarà per questo che mi sembra di sentirmi così svuotata.

Oggi per parecchi, tra cui me, è stato l'ultimo giorno di scuola, e in molti ne parlano con grida di giubilo, commenti goliardici e godimento profondo nel sapere di poter restare a letto domani mattina. Beh, l'aspettativa di un'estate tranquilla e di mattinate all'insegna del dolce far niente è molto allettante, devo dire. E anche disattivare la sveglia perennemente puntata ad orari strambi è stato un momento che entrerà nella storia. Però oggi, mentre voltavo le spalle alla scuola, dopo averle lanciato un ultimo sguardo nostalgico, lì sola in cima ai gradini, mi rendevo conto che stavo voltando le spalle ad un anno di passato, un passato a cui ero molto, troppo attaccata. Sul momento è stata dura, sarei voluta restare lì con i miei compagni a festeggiare in eterno. Sono momenti che vorresti non finissero mai, mai. E invece la campanella ci ha colti di sorpresa, mentre eravamo intenti a scattare una foto di gruppo. E così, finite le foto e salutato tutti, mi sono avviata verso casa. E mi sono lasciata alle spalle tutto. Ma dagli abbracci che ho dato in lungo e in largo, deve essermi rimasta addosso qualche reminiscenza di profumo di marca. L'odore delicato che ogni tanto mi arrivava alle narici mi sembrava vischioso come tutti i ricordi che non riesco a lasciare andare.

Ora come ora inizio a rendermi conto di quanto io sia dannatamente legata al mio passato. Conservo tutto, scrivo tutto, e tutto quello che conservo e che scrivo ha la sua data di fianco, e ha il suo perché. Ho paura di dimenticarmi qualcosa per strada, di non poter rivivere mentalmente queste giornate, nemmeno con il ricordo. Così archivio, ammucchio, raccatto. Brandelli di passato che si accumulano ovunque, nei cassetti, sugli scaffali, negli interstizi, un po' come la polvere. Devo avere la sicurezza mentale che, se anche dovessi dimenticare, tra diari, biglietti usati e mille altre forme di archiviazione dei ricordi, potrei ricostruire tutte le emozioni vissute e le cose successe. Il problema è che poi non dimentico. Anche quando vorrei o dovrei. Potrei buttarmi tutto alle spalle, tanto avrei la sicurezza di poterlo recuperare quando voglio. Eppure non ci riesco, il ricordo in sé mi resta più attaccato addosso di quanto non riesca a fare quel ciondolo, quel quadernino o quella massa di biglietti usati. Stanno diventando veramente tanti. E' come un circolo vizioso. Prima ho paura di perdere i ricordi, e quindi li collego a degli oggetti; poi, ho voglia di dimenticare ma non ci riesco, perché ci tengo troppo; e poi, quando finalmente la mia mente trova la forza o la distrazione sufficiente per mettere da parte quei ricordi, saltano fuori gli oggetti, ed ecco che quello a cui tengo diventa anche quello che odio di più. (vi starete chiedendo se ho idea di quello che ho appena scritto. Ebbene no, non ci ho capito niente nemmeno io).

Non faccio che ripetermi da ore "coraggio, coraggio, hai un'intera estate davanti a te e tutto il tempo che vuoi". I ricordi di questi giorni verranno sopraffatti da altri. Spero che sia così. Perché altrimenti potrei morirne.

E perché continuo a fare la parte della donna vissuta schiacciata dal peso del proprio passato, quando ancora di anni ne ho solo quindici e tutto sommato non sto neanche tanto male nella mia situazione attuale?

Bah. Intanto, avevo cominciato a parlare di numerosi addii. Come tanti racconti che giungono a una fine. La fine è sempre qualcosa che lascia l'amaro in bocca, perché ti aspettavi un seguito. Come seguire una serie a fumetti e scoprire un bel giorno che sei arrivato all'ultimo numero. Però, a differenza dei fumetti, gli addii e le fini, almeno nella maggior parte dei casi, non corrispondono ad altro che a nuovi inizi. Come dicono i Linkin Park, the hardest part of end is starting again (il fatto che queste parole siano inserite in una canzone che fa parte dell'ultimo album e si discosta notevolmente dalle sonorità nu metal a cui i LP si attenevano all'inizio è meramente un dettaglio. E' una canzone meravigliosa in ogni caso, e le parole si adattano perfettamente alla situazione). E queste vacanze sono appena cominciate. Quindi domani ho seriamente intenzione di svegliarmi con la mente del tutto libera da tutti questi ricordi opprimenti. Forse ce la farò, o forse no. Ma un'estate come quella che è appena cominciata, non posso certo bruciarmela con le lacrime :)

martedì 5 giugno 2012

Quasi alla fine.

Inizia sempre durante le ore dei prof meno rigidi, quelle ore in cui sai che anche se ti allarghi a fare una gag, non ti succede niente e non rischi di finire in presidenza. Inizia quasi in sordina, parlato, una voce sola:
"Il corpo nazionale dei vigili del fuoco..."
Nel giro di frazioni di secondo, si aggiungono altri due, tre, quattro, ragazzi e ragazze, via via sempre più convinti, le voci sempre più alte, che esplodono, ormai irrefrenabili, con grande disappunto del prof, e se sbagli le note chissenefrega, se sbagli le parole basta seguire il resto del gruppo.
"Il pompiere paura non ne ha, il pompiere paura non ne ha!"
Ovviamente, nel grande coro di massa, come potrei mancare io? In gita a Roma, eravamo alle prese con i cori da stadio. Che ricordi. Quando saremo nella curva nord, come una bomba il tifo esploderà. Poi, non so da chi è partita l'idea dell'inno dei pompieri, ma quel che è certo è che mi è rimasta fissa in testa, in questi giorni. In questo periodo è un motivetto che si sente in parecchie classi, chissà come mai.

Sono dei momenti che adoro. Anche se non è, diciamo, esattamente ortodosso, per una studentessa modello come me (u.u), iniziare a cantare cori a squarciagola. Mi piace l'idea di avere una classe in cui mi trovo così bene da poter aggregarmi addirittura ad un coro.
L'anno scorso era del tutto diverso. Se c'erano dei cori, spesso la parola principale era "Buffona!", e la destinataria ero io. A dire il vero non è che succedesse spesso, e io ero parecchio suscettibile, sicché credevo di essere detestata da tutti, mentre in realtà mi si stava soltanto prendendo in giro in maniera più o meno amichevole. Che odio che avrei, verso quella che ero l'anno scorso. La liceale rigida e frigida, che fa finta di essere socievole e poi invece si rintana in un angolino a piangersi addosso. Mi sentivo una tessera inserita nel puzzle sbagliato, totalmente estranea.
Poi, il tempo è passato, alcune persone sono rimaste, altre sono andate via, altre sono intervenute affinché altre ancora cambiassero, io sono cresciuta ed eccomi qui a pensare che durante le vacanze la mia classe mi mancherà. Una cosa inaudita.

Si sente un sacco l'atmosfera degli ultimi giorni. La voglia di fare è pressoché zero, il caldo è esponenziale, i prof pare che più ci si avvicini alla fine dell'anno più siano determinati a lavorare, fare verifiche e interrogarci... Ieri l'altro ho ripescato, circa dal nulla, i panni estivi. Che ricordi. Alcune magliette le avevo del tutto rimosse dalla mia memoria, altre invece, le avevo inconsciamente cercate per mesi, dato che anche in primavera si sarebbero tranquillamente potute mettere. La maggior parte sono acquisti dell'anno scorso, o, al massimo, di due anni fa. Ed è meraviglioso metterle per andare a scuola. Sanno tanto di estate, di fine.

Credo che sarà l'estate più impegnata di tutta la mia vita, 3-4 esami e ben due viaggi. E il mio primo volo in aereo. Io!!! Su un aereo!!! Quando mai si è vista una cosa del genere? Sono così emozionata, e felice, anche. Molto felice. E da tutta questa apatia estiva mista a impegni vari e tanta felicità mi separano soltanto tre giorni. Solo tre.

Gli ultimi tre giorni di scuola. Cavolo, è finito anche quest'anno e io come al solito stento a rendermene conto. Cosa c'è di tanto difficile? L'anno scolastico è finito. Finita l'epica collaborazione con la mia compagna di banco, finite le verifiche, le interrogazioni, le cose da studiare, finita la sveglia quotidiana ad orari random (non so il perché, ma mi piace puntarla ad orari strambi, come 6.57, 7.11, 7.04), finite le attese costanti per la campanella successiva, e per gli intervalli, soprattutto; e finiti gli intervalli, che a dire il vero sono piuttosto vuoti (anche se oggi in quinta geometri si sono tutti vestiti in modi stravaganti. Ce n'era uno con un pareo, uno vestito da pirata, con tanto di petto scoperto e occhiali tondi, uno con una parrucca arancione, e via dicendo. Ho riso come una forsennata. Quando sarò in quinta, lo farò anche io); e fine dei cori da stadio, dell'inno dei vigili, delle urla del prof di ginnastica durante le lezioni...
Insomma, l'insofferenza verso la scuola c'è sempre. Però l'atmosfera è del tutto diversa. Mi aggiro per i corridoi, o mi guardo attorno in classe, pensando "tutto questo mi mancherà".

Mai più un anno così, è da maggio che mi sono resa conto che prendere così tanti impegni è un vero e proprio suicidio. Assolutamente. Ho fatto tante esperienze, mi sono divertita, e ho sperimentato l'orribile sensazione di un'imminente crisi di nervi. La cosa che mi sorprende è che io sia ancora viva, dopo tutto questo correre in giro per mesi consecutivi. Però, sotto il punto di vista della scuola, credo che sia stato il mio anno migliore. A livello sociale, soprattutto. Sono in una classe dove la gente mi considera. Chi l'avrebbe mai detto? E pensare che l'anno prossimo, in tre o quattro andranno via. Tre o quattro tra i più simpatici, per di più... Mi mancheranno anche loro, a maggior ragione.

Voglio bene alla mia classe, a tutti, anche se quelli che leggeranno questo post saranno due a dire tanto. Quest'anno è stato veramente pieno di tutto, di cose positive e negative, gente che è arrivata, gente che è andata via. Alcuni il prossimo anno li rivedrò, alcuni no. E intanto anche questi pochi ultimi giorni di scuola passeranno, e mi aspetta un'estate oltre ogni previsione, ricca di incognite, anche sentimentali, volendo.

E dato che, come al solito, ora devo correre alle prove per l'ennesimo spettacolo teatrale, direi che con i discorsi-di-fine-anno la posso anche piantare qui :)

domenica 3 giugno 2012

Wonderful life.

Sono stati 449 giorni lunghissimi e intensi. E' passato un sacco di tempo. Ho vissuto dei momenti meravigliosi. Imparato cose, fatto esperienze. L'anno-e-quasi-tre-mesi più bello della mia vita. La mia prima storia. Forse potrei anche piantarla con i discorsi sdolcinati da film zuccheroso, ma non ne ho voglia. Fa troppo scena. Una storia che è cominciata in una mattina di fine inverno, ed è finita alle undici di sera di un primo giugno ricco di tensione, divertimento, vittorie personali e non, festeggiamenti di sorta, corse ovunque (come mio solito), tic nervosi, canzoni dei Sonata Arctica, abbracci e lacrime.

Non posso dire che mi sia crollato davvero il mondo addosso. Non tutto il mondo. Invece di collassare tutto in una volta, si è smantellato per gradi, giorno dopo giorno, mentre la consapevolezza che sarei rimasta single entro la fine della settimana si faceva avanti. Però ho versato lo stesso delle lacrime, più che altro per sfogarmi dello stress accumulato. E realizzare la mia nuova situazione è stato abbastanza difficile, mi sembrava di vivere in un sogno, con le lacrime che mi sbavavano il trucco, lo stordimento, l'adrenalina, i neon. Il nostro termo. Quanti intervalli ci abbiamo passato? Quello stesso termo davanti a cui l'altra sera ci siamo appartati per "fare due chiacchiere". Ironia della sorte.

Forse c'è il caso che sia davvero meglio così. Provavo davvero ancora qualcosa? O ero solo una ninfomane orgogliosa e attaccata alle proprie abitudini? Non lo so. So solo che, una volta realizzato che veramente non c'era modo di tornare indietro, e non era una cosa che dipendesse da me, ma esclusivamente da lui, e lui era ormai già radicato nella sua idea, una volta resami conto di questo, la ragione del mio pianto, che fosse essa un residuo di amore e speranza o una paura di spezzare la routine, è sparita. Nel giro di 24 ore, con un'ottima pizza e una fetta di tiramisù tutte da digerire, e tante risate fatte con i miei migliori amici, che non smetterò mai di ringraziare, potevo già dire di esserne uscita. Sicuramente, dal suo punto di vista, ha fatto bene a fare così. Se dice che non voleva mentirmi, e se tutto il suo discorso è davvero sentito e non è una scusa, allora a continuare a stare con me avrebbe sofferto e basta.

Non so se e quanto essere contenta del fatto che siamo rimasti ancora amici. E forse, mi servirebbe dello spazio per pensare, per abituarmi, prima di tornare a parlarci regolarmente. Invece ieri, nostro primo giorno da single dopo oltre un anno, mi ha cercata più volte di quanto non avrebbe fatto in un nostro qualunque giorno insieme. Sono passati solo due giorni. Ma dai. Mi sembra che siano già successe un mucchio di cose, e il ricordo di quella scena, il termo, lui e io che gli piangevo sulla spalla mentre lui mi forniva ogni ragione che trovava perché io smettessi, è lontano e annebbiato, come un sogno interrotto dal trillo della sveglia. La festa della scuola? Ma quand'è stata? Solo l'altro ieri? Davvero, sembrano passati secoli. Troppe lacrime, troppa confusione, troppi pensieri e troppi ricordi che sto cercando di rimuovere, mi separano emotivamente da quel giorno.

Già, credo che rimuovere i ricordi più belli, per adesso, sia l'unica strada. Sono troppo nostalgica. Niente più andare a rileggere il diario, niente più rispulciare le foto, e quella collana con i due ciondoli del cuore spezzato e dello yin e lo yang deve sparire dalla mia vista per un po'. Perché pensare alle altre metà e a tutto quello che significavano è inevitabile. Non mi causa più lacrime, solo tanto fastidio. Non capisco perché le cose siano cambiate così repentinamente. Dalla mattina alla sera. Prima baci tanto appassionati da essere quasi furiosi, dopo settimane di apatia totale, e poi la sera stessa, il periodo di pausa. Quanto è strano tutto ciò.

Animo, animo, sono single e ho il sorriso sulle labbra. Anche se la ferita che ho dentro si sta ancora, molto lentamente, rimarginando. Sto dimagrendo. Sono forte e carismatica. E ho persino un ex. Non sono terribilmente affascinante?

E ad ogni modo, indipendentemente dai miei discorsi, e dal fatto che io fossi illusa che sarebbe andata avanti per sempre, la vita va avanti. La terra continua ancora a girare, la radio continua a trasmettere programmi satirici e parodie, la scuola ancora non è finita, gli esami e le verifiche sono sempre lì che mi aspettano, e alla fin fine, io sono ancora viva, e questi sono gli anni migliori della mia vita. Tutto sommato, quindi, direi che devo stare bene.