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lunedì 15 ottobre 2018

Conclusioni e spunti futuri.

Quando ero al primo anno, dotata di badge da appena tre o quattro mesi, lo persi. E feci senza per tutti i tre lunghi anni che mi separavano dal conseguimento del titolo. Affrontai senza tutti gli esami, temendo di scoprire ogni volta all'ultimo momento che in realtà il badge serviva. Ma non è mai servito davvero, e così, quando questa mattina sono andata a ritirare il badge nuovo che mi accompagnerà nei due anni a venire, ho provato una sensazione decisamente strana.
Come pure è stato strano andare in laboratorio con un vassoio di pasticcini, da mangiare di gusto insieme a tutti gli altri ricercatori, dottorandi, borsisti e tesisti che nei lunghi mesi di tirocinio e scrittura della tesi erano sempre lì, tutti i giorni, a scambiare con me saluti, battute e stralci di vita quotidiana. Tante volte in pausa pranzo ci ritrovavamo nel cucinotto gli avanzi di qualche vassoio di pasticcini portato da qualcun altro. Oggi in qualche modo sentivo che era il mio turno. E mentre fare le considerazioni conclusive tra un bigné e l'altro e ripercorrere un po' quella che è stata la mia seduta di laurea con tutti i suoi momenti salienti e ridicoli è stato divertente, riprendermi una volta per tutte le mie posate personali, che erano rimaste nell'armadietto per sei lunghissimi mesi, mi ha lasciato un senso di vuoto. La firma all'uscita dal dipartimento, che fino alla scorsa settimana era una cosa quotidiana, oggi, sapendo di farla per l'ultima volta, era improvvisamente la firma più importante della mia vita.
E altrettanto strano è ritrovarmi a pensare che i tre lunghi anni trascorsi a fare lezione e sessioni intense di studio in via della Beverara siano finiti lo scorso venerdì nel momento in cui, discussa la tesi, ce ne siamo andati a fare il rinfresco.

In tutto ciò ancora fatico a rendermi conto di essere riuscita ad arrivare alla fine della triennale. E per quanto i miei giorni liberi prima dell'inizio della magistrale siano pochi, si tratta comunque di un'intera settimana, che sto usando per mettere a posto tutte quelle piccole cose che per anni non ho mai avuto il tempo di curare. Specialmente nella mia stanza. Ad oggi, i vestiti con cui mi sono laureata sono ancora buttati sulla sedia, ma al tempo stesso tutto il mio arsenale di gioielli è stato preso accuratamente in rassegna, scremato dalle chincaglierie e ridisposto sullo scaffale in un ordine intellegibile. Ed erano tantissimi. Così come pure la vasta popolazione di scontrini, biglietti, abbonamenti e promemoria che da dicembre 2017 ad oggi si era accumulata in ben due portafogli diversi. Arriverà anche il turno dei vestiti ammucchiati sulla sedia. Sono di quelle cose che semplicemente in periodo di lezioni o di esami uno pensa "le farò quando ho un momento di calma, magari il prossimo weekend". Poi succede che in settimana non studi niente, rimani indietro, e il weekend ti serve per recuperare tutto, e tutte quelle piccole cose un po' insignificanti rimangono lì in attesa di essere razionalizzate e metabolizzate. In questo senso, l'università è una realtà che impegna tutte, ma proprio tutte le energie. Ed essere arrivata in fondo adesso mi permette di tornare in possesso di tutto il tempo e la concentrazione che fino alla settimana prima erano esclusivamente finalizzate, appunto, ad arrivare in fondo.

Non che mi sia dispiaciuto immergermi in questo percorso e lasciare che per me diventasse totalizzante. Non è obbligatorio che l'università comporti l'abnegazione completa, e tante persone me l'hanno insegnato e dimostrato. E per me l'università non è stata abnegazione: per quanto io abbia dovuto comunque sacrificare delle attività che richiedevano da parte mia un impegno costante e ingente, e per quanto io abbia dato in tempo tutti gli esami e per questo mi sia disperata, fuori dall'università c'era un mondo di tante realtà diverse con cui ho interagito di continuo, e che mi ha dato tantissimo a livello personale. Forse è per questo che sono così tante le persone a cui sento di dovere un ringraziamento per essere arrivata fino a qui così come sono. E quindi, a tutti coloro che seguono va la mia più sentita gratitudine.

A tutti quelli che hanno ripassato con me per gli esami, anche subito prima, e che mi hanno fatto ricordare all'ultimo momento di cose mai studiate che puntualmente mi venivano chieste. I miei risultati senza di voi non sarebbero stati certo così brillanti, checché se ne dica (in questo senso ritengo che anche la fortuna abbia giocato un ruolo determinante, e vorrei che ciò fosse ben chiaro).
Ai miei compagni di corso ed amici, coi quali ho condiviso a tuttotondo questo percorso di apprendimento e crescita, e ai quali auguro buona fortuna per tutto.
A Bonny, che è stato il mio primo grande amico dell'università e ha assistito e partecipato con veemenza alla disperazione per i primi esami.
A Fra, per essere stato sempre rassicurante e sereno mantenendo allo stesso tempo un senso dell'umorismo inossidabile.
A Shavs per le sue strane poesie, indovinelli e riflessioni, e per spargere sempre positività, indipendentemente da tutto.
A Ted, con cui condivido l'amarezza dell'essere pendolare, e che si spende sempre disinteressatamente per essere d'aiuto.
A Ida, per aver preso parte insieme a me a grandi ondate di disagio, panico, tristezza, esuberanza, e per non aver mai mancato, per esigenze o per piacere, di essere pronta a disposizione con una stanza degli ospiti, una cucina da mettere sottosopra e un buon tè caldo.
A Marta, perché i nostri cuori vibrano insieme al ritmo della stessa musica, e per il sostegno vicendevole e l'ospitalità che ho sempre trovato in lei ogni volta che ne ho avuto bisogno.
A Vanessa, perché c'è sempre stata per una chiacchiera, un abbraccio, una parola di conforto, una pedalata o un caffè, fin da quando ci siamo sedute vicine e strette la mano al Welcome Day in aula magna.
A Davide, per tutto il supporto nello studio, i dilemmi teorici, i dank memes, gli apprezzamenti per Ratboy Genius e la sua amicizia.
A Gabri, per avermi ricordato nei momenti in cui tutto sembrava irrecuperabile che non ero l'unica ad essere disperata e bisognosa di fare altro, e per essere stato un compagno di studi spensierato ma immancabilmente affidabile.
A Emilia, che è stata mia compagna di corso solo per un semestre, ma è stata un'amica sincera e una finestra sul mondo, che ha condiviso con me il suo mate e la sua bombilla, il suo tavolo e la sua casa, i suoi spazi ed il suo tempo.
Ad Alessandra R., con cui ho condiviso birre e tè bevuti sempre al volo, lunghe giornate di studio, ansie e progetti, e più in generale la consapevolezza reciproca di avere entrambe una vita frenetica.
A Stefano A., per aver creato con me un'amicizia così bella a partire da una circostanza così strampalata come può essere una complicanza burocratica durante un esame di fisiologia.

Alle dott.sse Enza e Alessandra B., validissime tutor, impeccabili relatrici, compagne di laboratorio e persone amiche. Alla prof.ssa Marini, prima e ultima docente ad assistere a una mia esposizione: l'esame di biologia cellulare al primo anno, la tesi di laurea alla fine.
A tutti coloro che ho incontrato e conosciuto al DIMES durante il tirocinio, chi di passaggio come me, chi come membro del dipartimento in pianta stabile.
A tutti i professori che ho incontrato durante la laurea triennale, perché ciascuno di loro mi ha lasciato qualcosa, a livello didattico e a livello umano.
A tutti i docenti i cui percorsi si sono incrociati con il mio a Vergato, che fosse alle medie o al Fantini. Devo tantissimo di ciò che sono oggi alla mia formazione in quegli anni e agli stimoli che ho ricevuto proprio dai prof. Una speciale menzione va ai docenti di musica, i cui insegnamenti non andranno mai dimenticati, alla professoressa Manicardi, colonna portante delle scuole medie, e alla professoressa Santi, che con la meritata pensione ha nondimeno fatto mancare al Fantini uno dei suoi pilastri più solidi.
Ai miei primi maestri, Aldo, Beatrice, Emanuela. Le mie personali fondamenta sono i loro insegnamenti.

A Stefano B., per aver mantenuto sempre con me, a prescindere da tutto, un rapporto di stima reciproca.
A Pablo, per avermi fatto scoprire che inaspettatamente lontano da casa mia vivono persone inaspettatamente affini a me.
A Christopher, che dall'Inghilterra ha seguito pedissequamente i miei progressi e non ha mai mancato di ribadirmi che il mio duro lavoro avrebbe dato i suoi frutti.
A Ilaria, per non aver mai lasciato davvero la presa anche se le circostanze ci hanno allontanate. Confido che, per quanto le nostre vite possano divergere in futuro, sapremo sempre trovare un punto di contatto.
A Eleonora, Monica, Elisa, Debora, per aver condiviso con me le uscite spicciole del venerdì sera, che prima di conoscerci erano un'abitudine a me completamente estranea. Grazie per aver riso e pianto con me, confidato a me e in me, litigato con me, quando fino a pochi anni fa ci conoscevamo appena.
A Nicola, per tutte quelle cose peculiari che accomunano noi e nessun altro, e allo stesso tempo ci rendono così radicalmente diversi. Nell'impronta che lascerò sul mio operato futuro, ci sarà anche qualcosa di tuo.
A Gogi e Berna, due animali totem e fratelloni acquisiti, che hanno arricchito il mio percorso di musica, spunti creativi, progetti, persone, serate tanto belle quanto rocambolesche, esperienze completamente nuove. Quando in un periodo un po' triste ho detto loro che mi sembrava di non avere intorno nessuno su cui contare, e loro mi hanno risposto "Hai noi", non lo dicevano per dire.
A Giuseppe, quintessenza del pendolarismo in quanto lavoratore a tempo pieno sui treni, conosciuto per caso, incontrato quasi sempre per caso, ma nondimeno uno dei miei più cari amici.
A Damiano, amicizia tra le più longeve, che non ha sofferto di alcuni anni di allontanamento perché nel cuore siamo sempre rimasti legati.
Ad Antonio, Noemi, Victon, Ciro, Nicole, e tutte le amicizie nate in forma virtuale, ma che davvero non potrebbero essere più reali di così.

All'ANPI di Sasso Marconi, che per me è stata come una famiglia acquisita, alla quale ho fatto mancare un po' di sostegno quando le scadenze accademiche stringevano, e per la quale ho messo in secondo piano altre scadenze accademiche quando c'era bisogno di me. A ciascun componente del direttivo va un pensiero diverso e speciale.
A tutte le realtà associative che intorno all'ANPI gravitano e con essa collaborano: il Campanile dei Ragazzi, le Donne di Sasso, le Voci della Luna, il gruppo Marija Gimbutas.
In ciascuno di questi gruppi ho conosciuto persone ricche di umanità e cultura, che negli anni dell'università hanno sempre confidato in me, al tempo stesso dandomi un'occasione, partecipando ai loro progetti, di coltivare il lato umanistico della mia persona - che studiando così duramente in una facoltà scientifica mi sarebbe altrimenti venuto a mancare.

A Yeasin, che mi ha fortuitamente recuperata per i capelli quando il giorno prima della discussione ero sul punto di perdere del tutto il senno e la forza di volontà.

A tutte le persone conosciute negli ultimi tempi perché legate a Torino o a Genova. Le circostanze dei nostri incontri sono sempre state fugaci, ma sono il motivo per cui in queste città mi sento un po' più a casa.
Ad Alessandro, per aver avuto con me tanta, troppa pazienza quando i miei modi sono stati resi bruschi dalle incombenze. Per avermi sempre incoraggiata, restando al mio fianco senza mai arretrare da quando ci siamo conosciuti. Per non aver perso la lucidità nemmeno per un attimo, supplendo così ai momenti in cui la perdevo io. Per essere la fonte del mio equilibrio, senza chiedere mai niente in cambio.

Ai miei genitori, per aver sopportato la mia sostanziale assenza nelle fasi più totalizzanti di questo percorso e per avermi sempre saputo assistere e consigliare, per quanto ancora le biotech non abbiano ben capito che cosa siano.
A mia madre, per essere sempre stata, fino all'ultimo brindisi, una figura di mediazione, di interazione, di coesione, anche nei momenti in cui questo ruolo si è dimostrato estremamente difficile da ricoprire.
Ai miei fratelli, che mi hanno aiutato a staccare dallo studio quando era il momento e mi hanno lasciato studiare quando ce n'era bisogno, e che mi hanno vista ridere, piangere e diventare di tutti i colori quotidianamente, ma che alla fine di questo percorso sento più vicini a me che mai.
A tutta la mia famiglia, chi al nord, chi al sud. La distanza con questi ultimi sarà sempre e solo fisica, perché un grande pezzo del mio cuore vive a Somma Vesuviana e vi appartiene.
A mio zio, che non ha potuto fisicamente vedermi raggiungere questo traguardo, ma gli sarebbe piaciuto molto. Ha avuto un ruolo determinante nel definire ciò che sono oggi.

Grazie.

mercoledì 7 febbraio 2018

Horror vacui

Ci sono ancora tutte le carte con gli ultimi appunti presi per organizzare i mille eventi che incombevano, il pranzo di tesseramento, la riunione di bilancio del centro anziani, l'assemblea degli iscritti. Sarebbero ancora appoggiate sulla tavola così come erano state lasciate, se non avessimo dovuto, ad un certo punto, e solo dopo giorni, arrenderci e spostarle per apparecchiare. La straziante necessità del gesto quotidiano che frantuma il fermo immagine della tragedia. C'erano un blocco note, ricavato artigianalmente da una molletta e un certo numero di volantini inutilizzati, un portamine, sempre lo stesso da anni e anni, una gomma per cancellare, altri fogli con appunti, stampe di comunicati, documenti da leggere, i due computer, la memoria esterna. Sul calendario, molte date contrassegnate da appuntamenti, annotati con un pennarello indelebile rosso. Di fianco, sul muro, una tabella stampata, meticolosamente ritagliata e fissata con lo scotch, che riporta tutti gli orari dei treni in partenza dalla stazione sotto casa, per una rapida consultazione in caso di dubbi. Treni che continuano ogni mezz'ora a passare, chiaro messaggio da parte dell'universo che lì fuori tutto sta andando avanti, anche se io sto ferma, seduta sulla sedia e riversa sul tavolo dalle ore tre, nella stessa identica posizione o quasi, a pensare, o forse a non pensare più, ogni tanto a piangere, ma a che pro? Intorno a me quello che rimane della famiglia, dopo che tutti hanno fatto ritorno alle proprie città. Ce ne stiamo sparsi per la stanza a parlare delle persone che c'erano, di quanto fosse stata bella e adeguata l'omelia del parroco, ogni tanto cade il silenzio, rotto da qualche sospiro. Così tanti spazi vuoti. Una intera casa vuota, ora. Lui la riempiva tutta, sapeva sempre trovare l'aneddoto giusto per strappare una risata, oppure un filosofo da citare, una vecchia serie di foto da far vedere e di cui sapeva raccontare ogni singolo particolare, una parola dimenticata in dialetto di cui sottolineava l'etimologia. Crisòmmola, per esempio. Significa albicocca. E deriva dal greco. L'unica parola napoletana che mi ricordo delle tante che mi raccontava. Quando ero molto piccola, mi ricordo anche che mi spiegò il significato della parola "evitare", perché io ancora non lo sapevo. Fece rotolare un rotolo di scotch oltre il margine della tavola e acchiappandolo al volo disse: "Ecco, io ho evitato che lo scotch cadesse". Ci sono un'infinità di cose che mi ha raccontato, insegnato, lasciato in eredità. Ora più che mai ho una paura infinita di perdermele per strada.