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venerdì 29 novembre 2013

Ripresa.

Da dove cominciare? Non saprei. Ho lasciato in sospeso tanta di quella roba. Non scrivo da due mesi! Record. In questi due mesi però di cose ne sono successe moltissime.

Ottobre è stato schifoso, per esempio, nel senso che la vita mi ha dato camion di limoni, così a caso. Tra serate fallite, litigi (ancora litigi, sì) in nome dei quali ho fatto le due di notte, tentativi di comunicare con mio padre (?) (non ci proverò mai più, lo prometto, è stato un disastro) per fargli capire quanto ero disperata, leggings nuovi fiammanti che non mi entravano (con conseguente disistima di me stessa), verifiche di chimica andate nel complesso bene ma inspiegabilmente valutate come rasenti la sufficienza, scioperi dei treni, sensazione di solitudine perenne e un compito di matematica bello tosto il giorno di Halloween, diciamo che non me la sono esattamente spassata.

Però non tutto ciò che è successo in ottobre è stato negativo (degna di nota è stata la serata di Halloween), e, incredibilmente, nel corso di novembre tante cose sono successe e tante cose sono migliorate. Tanto per cominciare, adesso come adesso mi posso sognare di andare a letto alle dieci e mezza la sera. Potrei anche riuscirci, con impegno, ma dovrei suonare di pomeriggio. Sono sei anni che suono la sera dopo cena. E' una tradizione (?). E non finisco mai, mai prima delle undici. Mai. La conseguenza diretta è che il mio inizio novembre è stato un trauma, perché prima di riprendere con il conservatorio suonavo una sera su cinque o giù di lì, mentre dalla prima lezione di chitarra ho iniziato a suonare tutti i giorni. Non a caso ho messo su cinque studi di Sor in un mese o poco meno. Di solito cinque era il numero medio di pezzi che guardavo nell'arco di metà anno. Sono fiera di me, davvero, mettermi a lavorare sul serio per qualcosa mi entusiasma. Vero è che ormai è difficile che io riesca ad alzarmi dal letto prima delle sette, o peggio sette e mezza. E quindi di essere pronta per andare a scuola alle otto meno un quarto me lo sogno. E quindi sto ricominciando a correre, correre, correre, per non perdere punti da nessuna parte. Tra chitarra, solfeggio e un inizio novembre particolarmente pieno di verifiche, ad un certo punto sono andata in crisi e mi sono detta: "io non ci arrivo viva, a giugno". Ebbene, incredibile ma vero, da allora ho preso ancora più impegni. Adesso il lunedì e il giovedì (più a volte il sabato) sono quasi sempre fuori. Stiamo organizzando un concerto, bitches. Siamo dei fighi. Ho conosciuto gente nuova, messo in piedi progetti nuovissimi, trovato probabilmente il senso della vita parlando un martedì sera con un tizio appena conosciuto. Se non sono bazze queste. Sto ricominciando ad uscire e tra poco meno di tre settimane avrò 17 anni, quindi i miei stanno zitti se sono le sei e mezza e io dalla stazione torno a casa a piedi. E mio padre non mi viene più a prendere al conservatorio, anche se finisco lezione che è buio pesto e nell'intero tragitto da Piazza Rossini alla stazione capita che sia totalmente sola. ERA ORA, DIAMINE. Ma soprattutto sto ricominciando ad uscire. Spesso e molto volentieri. Certe settimane (come ad esempio questa) anche tutti i giorni. Domani gran giornatina al cinema e poi gran crescentinata da amici di famiglia.
Perché l'altro evento eclatante è questo: i miei genitori, finalmente, non si sa per quale astruso meraviglioso miracolo, sono riusciti ad intrattenere rapporti con un'altra famiglia. E tra una settimana questa altra famiglia è stata capace di farci promettere che sloggeremo e ce ne andremo tutti assieme a vedere i mercatini di Natale in qualche città a random. Sono entusiasticamente allibita e piacevolmente sorpresa. I miei che si spostano in città sconosciute per più di un giorno? Erano anni che non si vedeva una roba del genere. Probabilmente una decina d'anni, sì - ho vaghe reminiscenze di un viaggio alle Eolie fatto quando avevo quattro o cinque anni.

E comunque, concludendo. Se non fosse per la mia fantomatica storia a distanza (sì, stiamo ancora insieme e no, non ci vedremo per Natale), potrei dirmi al 100% felice. Siccome sto spingendo la suddetta storia a distanza ai limiti del parossismo (cercate di stare un anno senza vedere una persona per poi affermare che state insieme), direi che la percentuale si abbassa ad 80, su per giù. Che comunque non è per niente male. Quindi, lezione imparata: bisogna rompere i circoli viziosi. Stai al pc? Questo non ti aiuterà a conoscere gente. Non conosci gente nuova? Difficilmente troverai amici. Non hai balotta? Sicuramente non è bello vedere che tutti gli altri ce l'hanno eccome. In più non hai nulla da fare tutto il giorno e nessuno con cui uscire. Per cui cosa farai? Starai al pc e ti deprimerai.
Eppure basta così poco. Cose del tipo imparare a giocare a tennis, organizzare un fighissimo concerto, mettere impegno serio in qualcosa, qualunque cosa. E soprattutto, sto imparando a non fare più caso al fatto che con le ragazze mi rapporto difficilmente e con i ragazzi faccio balotta subito. A parte quelli della mia classe, che fanno gruppo classe e io da questo gruppo sono ancora un po' fuori.
Piano piano mi sono ripresa, adesso vediamo quanto durerà. E volendo anche andare a dormire non sarebbe male xD

venerdì 20 settembre 2013

Scoperte delle dieci di sera che ti ravvivano l'anima.

"Tra l'altro se vuoi mi compero le calze lunghe che arrivano veramente fino alle ginocchia, tempo fa ne avevo"
    "Awwww would you?"
"Sì mi piacciono un sacco quindi sarei felice pure io di comprarmele"
    "Anche a righe? (proprio quelle che mi piacciono)"
"Dude... ti stavo per chiedere se ti andavano bene a righe. Let's get married now xD"*
E improvvisamente la teoria dei mattoncini lego separati alla nascita si fa strada con prepotenza, dopo tanto tempo che praticamente andava tutto male o comunque non bene. Dopo che credevamo di esserci raccontati completamente e di non aver niente altro su cui confrontarci, nessuna somiglianza di cui gioire, nessuna differenza in base alla quale darci addosso; dopo che tutti i tentativi di vederci quest'estate sono falliti praticamente per colpa mia e stavo già iniziando ad arrendermi all'idea che tutto questo fosse insostenibile; dopo un numero immane di serate tristi e piene di frasi che non andavano a parare da nessuna parte... ecco che salta fuori questo.

Alla fine non è che il culmine di un periodo abbastanza felice che è iniziato insieme con la scuola. Cosa che, per lo studente medio, ha assolutamente del paradossale. Eppure per me adesso è proprio così. La calma che avevo addosso al ritorno dalle vacanze ce l'ho ancora praticamente intatta, e ne sto facendo un uso perfetto direi, dal momento che non ho ancora voluto tirar dei nomi a nessuno ed ero psicologicamente preparata a un incubo o a un contesto dove non mi sarei mai trovata bene... e invece i primi cinque giorni sono stati tranquilli. Sono proprio contenta. Mi sono iscritta in palestra, a un corso di tennis e forse forse riesco anche a procurarmi un paio di roller e imparo ad andarci. Finalmente. Dopo due anni che dico che devo comprarli e i miei non me li comprano. E ogni tanto al pomeriggio faccio persino - udite udite - i compiti! E sto passando delle giornate che, anche se non riempio mai del tutto (anzi direi che il margine di tempo passato ad oziare al pc è ancora troppo alto, ma ci sto lavorando) arrivo alla sera con la voglia che sia già il giorno dopo, per sapere cosa succederà. Direi che per adesso le mie aspettative non mi hanno portato nessuna delusione fortissima, a differenza di quanto succede di solito. Boh, sarà il karma che mi premia perché mi sono riappacificata con il mondo (?)


*Io e il mio ragazzo ci scriviamo mezzo in italiano e mezzo in inglese, perché di sì. Siamo troppo fighi.

domenica 15 settembre 2013

Un pizzico di aspettative.

Appena il bel tempo ha cominciato a cedere (cosa successa più o meno definitivamente qualche giorno fa), tutti quanti hanno iniziato a disperarsi al grido di "l'estate è finita, l'estate è finita!". Sciocchi babbani. L'estate finisce il 21 settembre (21? 23? Non mi ricordo ora e la mia esistenza non dipende strettamente dal saperlo o meno). In realtà io, insieme a pochi altri, un bel pomeriggio piovoso lo aspettavo con ansia. Ma resta comunque ancora estate. Anche se la scuola inizia il 16 quest'anno. Il che vorrebbe dire tipo... domani. Yeah. Però gli ultimi giorni di vacanza me li sono proprio goduti. Ho fatto quello che volevo. Non niente: quello che volevo. Sono andata a correre, in palestra, ho iniziato a fare qualche esercizio stupido anche a casa nella speranza che possa fare qualcosa, ho letto libri, registrato cover, guardato cover di altri, conosciuto gente, ascoltato musica vecchia, nuova, pezzi che non ascoltavo da tanto, pezzi che non avevo mai ascoltato anche se scritti ere fa. Perfino un po' di vita sociale, ho fatto. Cose tipo riallacciare vecchi rapporti troncati così per gradire, e conoscere qualche persona nuova. Ci sono stati momenti tristi, ma non tanto da compromettere il tutto. Se non altro adesso posso dire di essere pronta a ripartire e caricata a molla.

C'è chi al pensiero di ricominciare con la scuola è totalmente terrorizzato o atterrito o triste ai livelli massimi, e ho visto gente che invece addirittura non vede l'ora, magari perché è in una scuola nuova ed è esaltata dalle prospettive di ricostruirsi ed affermarsi in un ambiente totalmente nuovo. Io non sono né tra i primi, né tra i secondi. Riprendere con la routine usuale dopo un tempo che, con tutte le cose che ho fatto, mi sembra assolutamente infinito, è qualcosa di sano, ma non più esaltante di quanto non lo sarebbe iniziare una qualsiasi routine.

Vero è che svegliarmi la mattina con davanti a me la finestra che dà su un cielo nuvolo e grigio mi mette in un umore totalmente diverso. Non so perché l'altro giorno mi è venuto da pensare a It Hurts degli AVA. Praticamente io cambio gusti musicali con le stagioni. Più che gusti musicali diciamo che cambio sonorità. I Sonata Arctica d'estate sono qualcosa di improponibile, come anche Dude Ranch dei Blink è qualcosa di diametralmente opposto all'esistenza stessa dell'inverno. E It Hurts degli AVA è esattamente una canzone da mattino nuvolo e piovoso. E anche se è vero che l'autunno ancora non c'è tecnicamente, sono pronta per accoglierlo a braccia aperte a ritmo di Angels and Airwaves.

Torneranno i temporali pazzeschi con tanto di lampi a dir poco pirotecnici da gustare mentre ascolto I Belong To You, piano piano il viale alberato che porta in paese si riempirà di foglie e io inizierò a camminarlo cantando Kaleidoscope invece di Toast and Bananas, torneranno le corse sotto la pioggia mentre Take Cover o November Rain suonano al massimo dagli auricolari. Torneranno le felpe, i plaid, le lenzuola di flanella, il tè tutti i santi pomeriggi, le tazze gigantesche di Ciobar, i pacchi di canestrelli da tocciare nel tè o nel Ciobar, a seconda. Torneremo tutti a litigarci il termo acceso negli intervalli perché ci faccia un po' di caldo. E se proprio non mi trovo bene in classe mia, andrò a cercarmi un termo che posso non dividere con nessuno, oppure qualche amico nuovo. E se continuo ad andare in palestra e forse anche in piscina, magari arriverò a Natale abbastanza in forma. E se non ci riesco, avrò le mie felpe XXL in cui nascondermi ad oltranza. Soprattutto, devo cercare di non farmi trascinare dalle paranoie di nuovo.

Sì, sarà proprio un autunno divertente.

mercoledì 21 agosto 2013

Casa. #2

Che bello, dopo un mese e mezzo di giri parenti mare sole terme cene pub panini panuozzi e pizze, entrare in casa tua, anche se emotivamente senti che è casa tua quanto potrebbe esserlo un palo della luce. Anche se sei in punizione senza causa alcuna e hai addosso sei ore di viaggio e venti tonnellate di stress.
Che bello, dopo quasi due mesi, riabbracciare il tuo migliore amico, oltretutto dopo esserti presentata a casa sua senza nemmeno un minimo di preavviso. E il sapore della granita che avete preso per celebrare ufficialmente il rientro fa un po' schifo, ma è La Granita. E le vie del paese sono tutte vostre, pronte ad essere camminate come se fosse la prima volta, come se il sole che vi spiana la strada fosse stato messo a nuovo, appena scartato, come se tu ti trovassi nella tua nuova casa.
Che bello ritrovare l'espressione "primo giorno del resto della mia vita" in tutto ciò. Svegliarsi il mattino dopo nel tuo letto, che è proprio il tuo letto di sempre (e se non di sempre, degli ultimi 2-3 anni), ma dopo così tanto tempo sembra una novità trovare il tepore del tuo corpo che si sveglia tutto sparso nelle righe viola verdi gialle azzurre di queste lenzuola che non vedevi da luglio.
Che bello non pensare più che le parole "ti amo" siano solo una cosa scontata che si dice ogni tanto.

Da luglio ad ora, ci sono passate in mezzo così tante cose, così tante persone, e così tanti moti di idee che si scontravano l'una con l'altra, di convinzioni che si riformavano. Così tanti pezzetti ritrovati, così tante riconciliazioni con il passato e con il presente. Così tanto, ma così tanto, che quelle lenzuola quasi non te le ricordavi più, che quel contrasto tra gli infissi scuri e i muri bianchi ti è apparso così strano, i soffitti alti ancor di più. Perfino le piastrelle per terra sembravano così estranee, al primo impatto.

Che bello avere ancora un pezzetto d'estate da consumare in questa nuova casa nelle spoglie di questa nuova te, anche se se ne sta volando via velocissimo, tanto che domenica ti sembra proprio ieri e invece, guarda un po', sei già a metà settimana. Ma ora è diverso. Ora hai progetti, hai qualcosa da fare, per quanto a breve termine. Te la puoi vivere, questa estate.

E, ammettilo, non avresti mai, mai immaginato che evadere tanto a lungo avrebbe potuto essere così sano.

mercoledì 14 agosto 2013

Preludio al ritorno a casa.

Sì, è stata una delle vacanze più belle e istruttive di sempre. Non solo sul piano prettamente culturale, ma anche interiore e cazzi vari. Sì, è quasi finita, e sì, non ho fatto tutto quello che avrei voluto come lo avrei voluto, però ho staccato la spina da tutto, e così ho avuto il tempo per raccogliere i pezzi da quel mucchio di cocci che ero e rimetterli un minimo assieme.

Non dico di sentirmi più completa e nemmeno di aver trovato un posto a cui appartengo veramente. Questa bella e grande città di trentamila abitanti migliaio più migliaio meno, pur ospitando un buon 80% dei miei parenti, non mi è familiare, è lontana dal luogo che sono solita chiamare casa, e le cose funzionano tutte in modo estremamente diverso. Se mi trasferissi da mia nonna, ammesso che riuscissi a tagliare definitivamente i ponti con tutto quello che ho a Vergato, e ammesso che fosse fattibile, dovrebbero passare dei mesi prima che io riuscissi ad ambientarmi del tutto. Senza contare che anche qui non sono mancati momenti e giornate in cui mi sentivo così dolorosamente sola. Cioè, andiamo, come fai a sopravvivere senza qualcuno con cui cantare Creep dei Radiohead (o qualunque altra canzone non italiana)?

Se non altro però ho conosciuto gente, imparato cose, visto posti e quant'altro. La gente che ho conosciuto era gran bella gente, le cose che ho imparato sono molto importanti, i posti che ho visto sono bellissimi.
Si dice: vide Napule e po' muor*. E non stento a crederci. Però devi prima vederla tutta, se no non vale. Io ne ho visto un pezzetto proprio piccolo, una mattina per Napoli non è niente. Mi ricordava molto la mia gita a Roma, solo con meno balotta e più vicoli sgangherati. Diciamo che è stato sparaflashante. Più o meno come me l'ero figurato nella mia testa quando ho sentito mia cugina parlarmene. Solo che vederla dal vivo è molto più bello, e soprattutto ti rendi conto perfettamente che una qualunque canzone non italiana non ci azzecca** proprio niente con quel posto. Magari dico anche una scemenza, ma non so perché ho avuto quell'impressione.

Era troppo tempo che non rimanevamo senza papà a casa della nonna. Se fossimo riusciti a fare una cosa del genere tutti gli anni, i miei cugini sarebbero i miei migliori amici. Ora come ora è come se li conoscessi appena, ma pazienza. Non è colpa mia se scrivendogli non si va oltre al "come va?", e tutto questo rende la possibilità di tenerci in contatto in modo decente estremamente difficile. Comunque, mio padre adesso è tornato, e domenica siamo in viaggio un'altra volta, per l'ultima volta quest'anno, e le mie vacanze sono bell'e che finite.

Però sono felice di essere stata qui. E anche di essere stata via tanto tempo da casa, in generale. Penso di essermi ripresa e di essere pronta per tornare a casa senza farmi troppi traumi e paranoie. Ho ripreso persino a scrivere sul diario, pensa un po'. Se riesco a continuare così anche a casa, e a non isolarmi di nuovo, potrò definitivamente dire di essere tornata in me stessa.



*Vedi Napoli e poi muori. Un classico.
**Diciamo che stare qui per tanto tempo ha influenzato anche il mio italiano, dato che il 70% di quello che dico è in dialetto napoletano, il 5% è sangiuseppese maccheronico/sfottò di qualche modo di dire strano, e quindi ci sono fisso aberrazioni verbali in agguato.

sabato 6 luglio 2013

Casa.

I tentativi di riprendermi in mano qualche barlume della persona yeah che ero un po' di tempo fa stanno lentamente facendo effetto, ma penso che l'ostacolo più grosso sarà il rifarmi una vita sociale che includa qualche altra persona oltre al mio migliore amico.
Effettivamente quando anche gente che sai essere asociale per scelta te la vedi attorniata di amici e controamici che organizzano cene a sorpresa a ogni occasione, capisci di essere un po' disperato. Un po' solo, diciamo.

Mi fa veramente paura la solitudine, e anche solo la parola "sola" in sé, e negli ultimi mesi avevo così tanto il cervello in pasta che non mi sono accorta che piano piano ci stavo andando a sbattere il naso dritto contro, tipo come con le porte a vetri o le zanzariere. (Sì, una volta, ai tempi della me che aveva una vita, sono riuscita a camminare e sbattere contro una zanzariera). E non è che dico di essere sola adesso. Ancora un amico che posso vedere o sentire più o meno ogni giorno ce l'ho. Ma se lui partisse, o non fosse più il mio vicino di casa? Sarebbe la stessa cosa? E io che cosa sarei senza quell'unico amico che mi rimane?

Considerato che nelle ultime 24 ore ho ricevuto giusto cinque abbracci, di cui uno di arrivederci e gli altri di bentornata, e che la mia media giornaliera di abbracci/momenti di contatto fisico con altre persone è zero, direi che mi rimane ben poco. Una manciata di speranze, un pc che finirebbe per portarmi via da tutto il resto definitivamente. E poi basta. Sarei sola. E dato che sono incredibilmente influenzabile quando non mi oppongo alle idee altrui, non oso minimamente immaginare cosa ne sarebbe della mia personalità, dopo un po'. Insomma diciamo che già in partenza sono un giocattolo rotto che verrebbe poi buttato in una discarica a marcire, marcire, marcire.

Chissà se stare un mese e mezzo (o forse due mesi addirittura) lontana da casa e da internet mi aiuterà a invertire la tendenza a buttarmi via. Almeno un pochettino. Chissà. Sono sempre più stufa e triste di vedere gente insieme che si diverte, gente insieme che va in posti, gente insieme che fa cose, e io da sola davanti al pc, che assimilo, incasso, mi deprimo, per poi tornare di nuovo a scorrere la bacheca delle notizie. Tutto questo da sola. Tutto questo lo realizzano in pochi, e sono tutti lontani da me. Forse è solo qualche abbraccio, ciò di cui ho bisogno. Come lo spieghi altrimenti quel senso di calore, quando dopo sei ore di viaggio soffocante e sonnolento sull'A1 ti ritrovi tra le braccia di zii, nonna e cugini. Quel senso di "bentornata  a casa" mentre assaggi il pane che sa veramente di pane e non di farina annacquata e la mozzarella che sa veramente di mozzarella e non di qualcosa che ci assomiglia ma tutto sommato fa schifo. E quel senso di irrealizzazione profonda quando a casa rimangono solo nonna e mamma, comprensive come il mio piede, e nel frattempo il tuo ragazzo è a cenare con dieci o venti persone che hanno preso l'iniziativa e organizzato qualcosa per il suo compleanno anche se in realtà il suo compleanno era un mese e mezzo fa. Proprio il tuo, di ragazzo, proprio a te doveva capitare, tu che hai passato la vita a sognare che qualcuno iniziasse a tenere a te sul serio e ti organizzasse cose a sorpresa a caso e che ogni volta che ti saresti potuta aspettare forse qualcosa non succedeva mai niente comunque.*

Decisamente, forse quello che mi manca è un po' di affetto. E sì che sono la prima a non mostrarne mai, manco fosse qualcosa di osceno e improponibile. E non ne mostro mai proprio perché o non mi sembra opportuno in funzione alla confidenza che ho con determinate persone, o perché mi stanno tutti sulle scatole, e non poco. Per un motivo o per l'altro. Via, perché non prendo un aereo e non me ne vado a vivere in Russia? Tanto qualche parolina la so, e quale migliore occasione per imparare bene il russo da autodidatta? E no, non ho voglia di aspettare i 18 anni di merda per fare quello che voglio. Manco volessi strafarmi di droghe o spataccarmi contro un muro mentre faccio i 300 all'ora in motorino. (che poi non ce l'ho nemmeno il motorino quindi che cazzo sto dicendo, non lo so). Solo che mi sembra assurdo che a 16 anni una non possa prendersi la libertà di fare un giro la sera e rientrare all'una, o andare in qualche locale dove mettono musica carina anche se il suddetto locale sta in un posto a venti minuti da casa tua. E penso che, oltre alla mia dipendenza-da-ragazzo-a-distanza, proprio queste libertà che non posso prendermi siano la principale ragione per cui non conosco un cane al di fuori di Vergato, della scuola e del conservatorio. Quanto ci scommetti che nella cerchia di amici di una persona, un amico su due se l'è trovato andando in giro in posti a caso. E magari gli altri sono compagni di scuola o gente dello stesso paese. Quanto a me, di Vergato considero abbastanza decenti giusto quelle quattro o cinque persone, e a scuola ho tanti amici quanti brufoli sulle labbra (ho un brufolo proprio vicino a una commessura in questo momento grazie al cielo, anche se mi dà una noia pazzesca).

Se non altro spero di trovare qualcosa o qualcuno che mi faccia sentire a casa, prima o poi, da qualche parte.





*A dire il vero un'eccezione a tutta questa dilusione di diludendo c'è stata al mio ultimo compleanno. E non è che non conti. Solo che se non faccio la vittima sociopatica per guadagnarmi un po' di attenzione da persone sconosciute (che non mi servirà a niente comunque), non son contenta, si sa.

lunedì 1 luglio 2013

Un anno fa.

Un anno fa, era tutto completamente diverso, direi quasi diametralmente opposto ma sarebbe una bugia, qualcosa di me è rimasto, l'ossatura della personalità, ma tutto il resto si è sciolto e riformato e rimodellato continuamente come plastilina così rapidamente e così tante volte, e tutto questo ha reso la mia testa un po' confusa.

Un anno fa, ero stata all'estero soltanto una volta, mentre attualmente il numero di viaggi fuori da questo paese ammonta a ben tre, ma non penso affatto di essere una persona più ricca e cosmopolita da allora, anzi. E guarda caso un anno fa era proprio la vigilia di uno di questi due viaggi fatti.

Un anno fa, scrivevo cose del tipo, "non riesco ancora a credere che domani sarò all'estero", e "quest'estate flirterò dibbrutto", e "non vedo l'ora di andarmene di qui", e non so bene cos'altro. Anche se ero troppo zombie per accorgermene, ero caricata a molla. Chissà se lo sarei stata sapendo quanto e come mi avrebbe cambiata partire.

Un anno fa, non avrei mai e poi mai rinunciato a fare un viaggio da qualche parte. E dico mai. Per nessun motivo e per nessuna persona al mondo.

Un anno fa, anche se non avevo più un ragazzo, avevo ancora una manciata di amici e un po' meno chili addosso. E tutto sommato ero anche decisamente più contenta di me. Ed ero io a fare i lavaggi del cervello agli altri. Ma per tentare di farli stare meglio, non per convincerli di qualcosa.

Un anno fa, facevo molte molte molte molte più cose. Più cose facevo, più cose trovavo il tempo di fare. Manco i vulcani in eruzione erano così attivi. E anche questo blog aveva un andamento abbastanza regolare. I post che ho fatto in un anno non so bene quanti siano perché non li ho contati, ma penso che si contino su due o tre mani.

E adesso?

Sono una specie di relitto, adesso. Mi mancano un sacco i ragazzi di Guildford, anche se ne sento solo uno, che è il mio ragazzo quindi direi che ci sta anche. Poi c'è il mio migliore amico. E di tutti gli altri o non importo abbastanza a loro, o loro non importano abbastanza a me, o in certi casi addirittura la cosa è reciproca, sicché non sento comunque nessuno, e non vedo comunque nessuno, e non ho una vita sociale alla fin fine, e fino adesso c'era la scuola e il conservatorio e pensavo, dai, sono costretta a vederle e a parlarci con quelle venti persone, tutto sommato non sono messa così male, ma guarda adesso che non c'è più niente a costringermi di vedere gente.
Sarò onesta, molte cose della gente che fa "vita sociale" non le capisco, come tipo lo sballarsi e l'andare in posti fighi e ricercati, però essendo ancora più onesta, sarebbe bello essere dentro una compagnia, anche se sono un universo parallelo dal mio. Tutti hanno una compagnia, vicina o lontana che sia, occasionale o fissa a mo' di balotta, ma comunque un insieme di persone con cui ci si trova sufficientemente bene da divertirsi in maniera abbastanza continua finché si è assieme. Non che io mi lamenti dell'unica amicizia solida che mi è rimasta, a cui mi aggrapperei con le unghie e con i denti perché è veramente l'ultimo appiglio che mi garantisca una sorta di sanità mentale. Non che un anno fa fosse molto diverso, i complessi perché non avevo una compagnia me li facevo comunque. E non so nemmeno se è qualcosa che veramente mi manca oppure è solo una scusa e c'è qualcosa di più importante che mi sfugge. Sto cercando di lavorarci su.

Voglio riprendermi la mia vita, se non è ancora troppo tardi.

giovedì 6 giugno 2013

Gentilissimi Innominati,

Con la presente, anche se non la leggerete, o perlomeno non in questa sede, ci tengo a farvi comprendere i livelli della vostra profonda incoerenza e insensatezza. Anche se so già che il mio tentativo andrà a vuoto.

Tanto per cominciare, teoricamente dovreste capirmi, ma non lo fate, e continuerete a non farlo. Non capisco come mai dobbiate continuamente creare problemi su problemi intorno a una piccola semplice classica questione: me.
Qualunque paura possiate avere sul mio conto e su quello che mi potrebbe succedere se mi mandate a ***, è qualcosa di infondato. O per meglio dire, sarebbe dovuto insorgere molto prima nella vostra mente. Ovvero alla primissima occasione, che ora come ora non ricordo, in cui sono rimasta fuori di casa per più di un giorno. E qui i casi che si prospettano sono due. E si applica il principio del terzo escluso, come nei sillogismi aristotelici. O vengo considerata una persona con abbastanza raziocinio da esser lasciata libera di viaggiare in tutti i casi, oppure in altrettanti casi vengo reputata troppo incosciente dei misteriosi pericoli che si aggirano in luoghi diversi da casa mia (?) e lì vengo lasciata fino alla maggiore età. Non c'è una via di mezzo, non c'è un ma, non c'è obiezione che tenga, almeno finché la mia destinazione non diventa tipo il Bronx o un accampamento nomade o qualcosa. Allora forse potrei anche capire.

Ora, fino ad oggi, più o meno, tralasciando eccezioni di varia natura che non ricordo più ma che sicuramente ci sono state, dato il vostro suddetto livello di coerenza, sono stata lasciata abbastanza libera, quando c'era l'occasione, di andare in altri posti, anche relativamente lontani. E la questione riguarda un posto relativamente vicino. Molto più vicino di altri posti in cui sono stata. Sono stata in posti più lontani per più tempo. Che poi la lontananza è una cosa relativa. Dato che avete la simpatica abitudine di non dire mai le cose fuori dai denti (e sì che in teoria, dati i rapporti e i legami che abbiamo, farlo non dovrebbe costituire un problema), e preferite di gran lunga celare le vostre ragioni dietro una cortina di implicitazioni più o meno chiare, allora vi reggerò il gioco.

Mettiamola così: voi dite che il vostro viaggio ve lo siete fatto (un viaggio mentale, s'intende); qualunque, e ripeto, qualunque cosa sia stata partorita dalle vostre menti contorte, è qualcosa che potrebbe succedere in qualunque luogo, in Australia come a un chilometro da qui. Perché le cose succedono, e non si fanno certo scrupoli se la latitudine in cui devono succedere non corrisponde esattamente a tot. E a dire il vero, per quello che ne sapete, qualunque cosa vi siete immaginati, potrebbe benissimo anche essere già successa: chi può dirlo?
Potrei rispondere io stessa a quest'ultima domanda, ma la scelta di implicitare le cose non è stata lanciata da me.
In sintesi, non abbiate paura di mandarmi in un luogo, solo perché quel luogo ha nome ***: è un luogo come un altro, e il controllo che avete su di me è uguale in quel luogo come dietro l'angolo di casa, come ho dimostrato prima.

So già che, nel momento in cui io dovessi fare davvero questo bizzarro discorso per astrazioni, le casistiche sarebbero:

  1. non verrei ascoltata fino alla fine
  2. verrei interrotta
  3. verrei ascoltata, ma solo per finta, per poi vedermi rifilare una contraddizione di qualche tipo (della serie che non c'è peggior sordo di chi non vuol sentire, e voi pare proprio che vi siate tappati le orecchie con la cera)
Ma ciononostante, non potevo non provare almeno a mettere le mie ragioni su carta.
Sperando che comprendiate, come un pazzo spera nell'impossibile, vi porgo un cordiale saluto.
O potrei forse decidere di togliervelo.

Mio malgrado vostra,
M.S.


Disclaimer di varia natura:
"***" non è una censura di parolaccia, e gli Innominati sono reali, un po' come ha fatto Manzoni nei Promessi Sposi, per non citare certi nomi di posti e di persone.
Non sono a conoscenza dell'effettiva esistenza o meno della parola "implicitazioni"
Se troverò mai il coraggio di ripetere tutto questo a voce alta, mi bacerò i gomiti
Se troverò il coraggio di ripetere tutto questo a voce alta e sarò addirittura ascoltata e compresa almeno in parte, senza che si passi il tempo in cui parlo a cercare una risposta, arriverò in cima all'Everest
Se non si fosse capito, ODIO quando la gente è troppo implicita e criptica
Ho 16 anni, non 6
I destinatari di questa lettera non ne verranno probabilmente mai a conoscenza, viste le ragioni di cui sopra. Proprio non vogliono capire.

lunedì 3 giugno 2013

Claustrofobia.

Incredibile come io possa passare le intere settimane, se non gli interi mesi, senza fare un emerito cazzo, e mettermi a bloggare proprio quando dovrei sfangare per millemila esami, interrogazioni, cosine stupide che spuntano fuori tra maggio e giugno come da copione. Sarà che più sfango più mi viene naturale sfangare, su tutti i fronti, al punto che qualche sprazzo di vita schizza anche qui.
A parte questo, se non fosse che sono effettivamente costretta dalle circostanze a darmi da fare un minimo, mi sentirei del tutto un vegetale. Ho perso un mare di abitudini. Da quelle banali/scarsamente utili, tipo ogni mattina lavarmi la faccia con il sapone fatto apposta e mettere la crema idratante (ed è veramente buona quella crema, è veramente un peccato non metterla perché la pelle dopo ha una consistenza figosa), a quelle più necessarie che utili, tipo studiare ogni tanto, e alla sera suonare fisso subito dopo cena (e poi ci si chiede perché questo anno accademico mi sia andato a scatafascio, comunque sia, ho un esame tra una settimana e mezzo, andiamoci, e che vada come deve andare). Non scrivo più, non esco più, non disegno più, non leggo più (o almeno non come prima), non vado più a correre la domenica pomeriggio (perché la pioggia di merda da marzo a questa parte non sta venendo altro che di domenica), i Samalo sono andati a farsi allegramente friggere e rimane un Malo che è sincero come il ferro ma si sente che è un pochino monco, anche se non lo si vorrebbe ammettere, anche se si sta bene lo stesso e si sopravvive lo stesso e non dobbiamo correre dietro a nessuno, o almeno, questa è la sensazione che ho io. Magari la gente normale se ne frega e guarda avanti. Ma andiamo, vi pare che una nostalgica e paranoica come me debba passarla liscia di fronte a cotanto traumatizzamento?
Quindi così, tiro avanti solo perché ci sono costretta, come dicevo. E siccome ho vissuto per mesi e mesi proprio come un vegetale, e mi sono mossa tardi dal mio stato di semincoscienza generale verso gli importanti-fatti-della-vita (tipo quello che a maggio e giugno l'individuo medio deve sfangare dibbruttissimo per portare a casa un buon risultato sotto qualche punto di vista), sono pericolosamente in bilico tra il farcela e il non farcela, e mi viene paura che qualcosa, qualunque cosa possa andare storta. Poi magari sono io che sono una scimmia ormonale a settimane alterne ed esagero tutto, e magari andrà tutto bene, ma tra me che sono stesa, i miei che sono ancora più stesi, i nervi di tutti che non fanno altro che saltare, saltare e saltare, la pioggia schifosa e maledetta che non se ne va, anche a costo di cadere a minuti alterni, mio padre che sfancula mia madre perché la frittata di zucchine non è venuta perfettamente perfettissima, e altre mille piccole cose che danno costantemente sui nervi, stasera non ce la potevo fare, mi sono dovuta mettere a scrivere volente o nolente. Più che io che scoppio, mi sembra che sia il mondo intorno a me che mi va sempre più stretto e mi soffoca a piccole dosi. Ogni cosa che mi dà noia mi diventa insopportabile, come con le spine, che in sé e per sé sono un pericolo relativo, ma se te ne cravi una in un fianco è un bel divertimento poi starla a sopportare.

Spero almeno di sopravvivere all'implosione.

martedì 23 aprile 2013

Uno scherzo. (Andiamo, se non ridete sembrerà crudele.)

Se spiegassi a una qualunque persona il motivo per cui sono stata a casa da scuola oggi, verrei presa sicuramente per pazza. Ma molto pazza. Ancora, a parte mia madre e i miei fratelli, non lo sa nessuno. Potranno saperlo potenzialmente tutti nel giro di qualche paragrafo, comunque.

Ieri sera sono andata a dormire intorno alle undici e venti, giubilante nella consapevolezza che stamattina avrei potuto gubbiarmela per tipo mezzora in più del solito. Tra l'altro non ho nemmeno dormito male, devo dire.

Ad un certo punto, una breve scrausa suoneria di telefono non mio, che si ripete incessantemente a intervalli di 5 o 10 secondi, mi porta lentamente fuori dal sonno, ed è così incessante e fastidiosa che il mio risveglio è praticamente definitivo. Nell'arco di tempo che serve al mio cervello per riportarmi totalmente alla realtà, mi sorge il dubbio che possa essere una sveglia altrui programmata tipo alle sette e mezza, e che quindi io sia in irreparabile ritardo. Mi alzo e metto mano al telefono che sta sulla mia scrivania per controllarlo: spento. E quando il mio telefono è spento, la sveglia non suona a prescindere. Cerco freneticamente un dannato orologio, per controllare che ore siano, nel panico che possa essere già tardi. Non ne trovo, e mi tocca mettere il telefono in carica per controllare.
Ora, il caricabatterie del mio telefono l'ho rotto del tutto non so quanti giorni fa, e da allora l'unico modo che ho per caricare il cellulare è collegarlo al pc, che però è un portatile e quindi deve essere a sua volta acceso e collegato alla corrente. Quindi, dopo aver inserito la spina, acceso il computer, collegato il telefono e aspettato che si accendesse, finalmente vedo l'ora: le sei e mezza.
Con un misto di sollievo per il mancato ritardo e di rammarico per il sonno interrotto, me ne torno sotto al piumone ancora caldo,
ma
la misteriosa suoneria, la cui provenienza mi è del tutto ignota, continua a tormentarmi, abbastanza bassa da non essere udita fuori dalla mia camera, ma alta più che abbastanza per impedirmi di riprendere sonno nei tre quarti d'ora di tempo che mi rimangono per tentare di dormire. Alle sette e un quarto, alla fine, mi alzo, con un senso di frastornamento nella testa e una fottutissima ora di sonno arretrato. Racconto a mia madre, che nel frattempo si era già svegliata insieme al più piccolo dei miei fratelli, tutto quanto sopra già citato, e lei ipotizza che possa essere stata qualche suoneria proveniente da fuori. Ma, obietto io, per un'ora di fila? Alla fine, smetto di pensarci e inizio a fare colazione. E' solo dopo aver finito la mia tazza di latte e cereali, che si sveglia anche l'altro mio fratello, e lì mi sorge un dubbio: che questa fantomatica suoneria possa provenire dal suo telefono? (Perché, per la cronaca, mio fratello ha 9 anni e mezzo e ha un cellulare. Però non lo usa mai, e quando lo fa, lo fa in modi altamente stupidi, come potrete constatare tra poco. Potrei maledire mia zia per averglielo regalato, quel merda di telefono).
Appena lo vedo alzarsi dal letto, mi avvicino e comincio ad indagare.
io: "Lori."
Lori: "asdsibgosdf... sì?" (per la cronaca, sì, mio fratello è l'unica persona che conosco che quando si alza la mattina è più in coma di me)
io: "Dov'è il tuo telefono? Me lo prenderesti per favore?"
A questo punto, il marmocchio è già in piedi, e con la fronte tutta corrugata e gli occhi semichiusi, cerca il suo cellulare nella propria cameretta (che ha ereditato da me tra l'altro. Pff). Non trovandolo, con espressione profondamente confusa, fa un rapido giro di ricognizione sui vari mobiletti del soggiorno, ma non è nemmeno lì. Ma non appena esce dal soggiorno e va nel corridoio, verso la mia stanza, un sorrisino idiota gli si dipinge in faccia. Entra dentro, sposta il letto superiore (dato che ho due messi uno sopra l'altro che possono scorrere, anche se quello di sotto lo uso più per appoggiarci le mie cianfrusaglie che come letto vero e proprio), ed ecco comparire sul materasso il suo cellulare, che proprio in quel momento inizia a trillare di nuovo. Nel momento in cui lui, sempre con quel sorriso da droghino stampato in faccia, mi dice "era uno scherzetto", io lo spingo via e gli urlo di tenerseli per lui, i suoi scherzetti. Lui mi corre dietro e mi assesta un colpo nella schiena, che da quanto sono incavolata non mi fa nemmeno il solletico, al che io urlo ancora di più e mi chiudo in bagno. Si arrabbia e piange fortissimo. E sì che non è lui che si è sorbito un'ora di suoneria strana. Quando esco dal bagno, ha smesso di mugolare. Entro in cucina, e ha ancora le lacrime agli occhi. Senza nemmeno guardarlo, gli grido, "Preparati perché domani mattina ti faccio svegliare alle CINQUE!, e fino alle sette sentirai il mio telefono che suona!". "ZITTA, ZITTA, ZITTA!" mi urla lui scoppiando di nuovo a piangere. Dice anche qualcos'altro che non riesco a capire, probabilmente mi sta ribadendo che era uno scherzo, ma non me ne sbatte proprio il cazzo, ho perso un'ora della mia vita perché doveva fare lo stupido e non gliela faccio passare di certo liscia. Mentre lui ricomincia a piangere, mia madre mi chiede se voglio un biscotto (che mi aveva specificato in precedenza di non mangiare perché ne erano rimasti pochi e i miei fratelli li avrebbero voluti tutti). Le rispondo che non mi va. Lei tenta di rispiegare a mio fratello che per colpa della sua stronzata ho perso un'ora di sonno (che poi tra una cosa e l'altra mi è venuto anche il mal di testa poco dopo) che magari mi sarebbe piaciuto godermi. Ovviamente non con queste parole. E, altrettanto ovviamente, non manca di dirmi che ho esagerato, e ha tutte le ragioni del mondo, ma in quel momento non ho voglia di ascoltare nessuno. Me ne torno in camera mia urlando a mia madre che sono nervosa, arrabbiata e in premestruo, e che il marmocchio non ha fatto altro che peggiorare il tutto.
Inizio a cercare qualcosa con cui vestirmi senza sembrare un insaccato, e mentre mi preparo lo zaino mi rendo conto che ho la stabilità mentale di un isotopo radioattivo, e che se esco di casa e le cose non vanno tutte esattamente come dovrebbero andare, potrei ferire gravemente o uccidere qualcuno, oppure piangere in modo altamente epocale. Non so quale è peggio.Quindi devo scegliere: usare i 10 minuti di tempo che ho prima di uscire per prepararmi e affrontare la giornata, a rischio e pericolo di chi mi sta attorno, oppure chiedere a mia madre di restare a casa.
Opto per la seconda, e lei mi dice che non le do motivo di dirmi di no, anche se mi ripete e straripete che non è normale saltarsi sei ore di scuola solo perché ho fatto questioni con mio fratello. Conclude con un "Comunque, fai come ti pare", e io, conoscendomi, a casa ci sto eccome. Passo parte della successiva mezzora a lanciare battutine velenose a mio fratello circa il suo simpatico scherzo (e se lui fosse qui ora starei continuando a farlo sentire più in colpa che posso), e un'altra parte a leggere articoli di un giornalino. Prima di andare, mia madre mi lascia cose varie da fare a casa: cercare una ricetta persa in mezzo a un libro, spolverare per terra e sui mobili, sparecchiare la tavola.
Appena tutti vanno via, alla fine, mi ricaccio nel letto per un'ora.

Non sono riuscita comunque ad addormentarmi, com'era prevedibile, quindi non è servito a niente e ho perso un'ulteriore ora della mia vita. E per di più dopo essermi alzata ero ancora più triste e arrabbiata di prima, quindi sono ancora qui che me la piango a minuti alterni, e se non piango ho dei lucciconi agli occhi che ci riempiresti un lago. Penso ogni secondo a come architettare la mia crudelissima vendetta. Perché di farlo svegliare alle cinque un giorno o l'altro, ci sto pensando sul serio. Ma non ci riesco. La maggior parte delle idee che mi vengono, implicherebbero che io mi svegli alle cinque insieme con lui, e tra l'altro alle sei c'è mio padre in giro per casa. Ma potrei fare di meglio. Potrei puntare una sveglia con una suoneria spaventosa, ma sempre a volume basso, tipo alle due di notte. E impostare il telefono in modo che suoni ininterrottamente per almeno una dannatissima ora. E chiudere la porta della sua stanza quando lui sta già dormendo (dato che solitamente per paura del buio la tiene aperta), così intanto lui si prende uno spavento bestia, e da fuori nessuno sente niente. Ok, forse questo è crudele. Tra l'altro funzionerebbe per cinque minuti al massimo, perché pur con tutta la sua paura del buio, è di certo capace di camminare fino alla porta e correre fuori in lacrime. La cosa che mi rende ancor più sorprendentemente crudele, è che pensare a come vendicarmi, mi fa persino smettere di piangere. Ma ora devo correre, perché tra un'ora ho il treno e devo andare a canto corale, che a differenza della scuola ho deciso che potevo anche non saltare, e devo ancora pranzare e togliere la polvere in giro. Forse trovo anche il tempo di piangere ancora un po', così, per solleticarmi i bulbi oculari.

Che strana cosa, il premestruo.

venerdì 12 aprile 2013

Ozio.

Ecco cosa mi ci mancava per mettermi a scrivere, in concomitanza con eventi che sballano il subconscio all'ennesima potenza. Un po' di ozio. Un po' di solitudine. Un momento per rimuginare su me stessa e avere tempo sufficiente per trarne dei pensieri coerenti. Magari non di notte, che già sono sempre piena di sonno arretrato, se mi metto a pensare invece che dormire poi è il massimo.

Non che nel resto del tempo io mi prodighi in attività socialmente utili o qualcosa, come facevo lo scorso anno. In realtà sono nove mesi che sto per mia scelta costantemente attaccata al computer. Come se per tutto questo tempo fossi entrata in una specie di letargo, e la primavera ritardataria mi stesse svegliando solo adesso. Finalmente il fottuto bel tempo sta tornando, di quella coltre perenne di nuvole non ne potevo più. Pur di fare qualcosa, mi sono messa a saltare la corda nella striscia di pavimento libero della mia stanza. A livello di spazio, probabilmente è anche meno dello stretto indispensabile, però chi se ne importa, finché i vicini non mi urlano qualche lamentela random (ma tanto salto con i calzini antiscivolo, quindi non mi sentono nemmeno, probabilmente) e i miei non sanno niente (ma sono coperta dalla musica tenuta a volume alto e so bene gli orari in cui posso restare indisturbata), nessuno può fermarmi. Presto potrò tornare a saltare giù in cortile, magari coi miei fratelli. Torneranno i venti gradi della primavera che esplode, torneranno le giornate a ciel sereno, tornerà la stabilità del bel tempo (non come ora che piove poi è nuvolo poi c'è il sole poi grandina poi nevica (?) poi piove poi c'è il sole poi è nuvolo e poi eccetera), torneranno le partite a badminton in cui la traiettoria del volano non sarà continuamente falsata dal vento, torneremo in quel prato verde gigantesco a breve, probabilmente, e faremo bracciali con le margheritine selvatiche. Forse torneremo ad inerpicarci su per il monte Pero a trovare quella vecchina che sta nella canonica di quella chiesetta sperduta. Serio, che impresa è stata quella.

Nel frattempo, quest'ultima settimana è stata un qualcosa di mirabolante, anche se potrà dirsi conclusa soltanto domani. E' stata ricca di alti e bassi, più che altro, e la cosa mi manda sempre un po' in confusione, in trauma, non so. Ne esco sempre un po' ammaccata anche una volta recuperato il buonumore, in un certo senso. Insomma, come al solito, anche se non faccio mai niente di particolarmente sconvolgente, sulle mie peripezie psicologiche ci si potrebbe scrivere un trattato alla settimana o qualcosa di simile.

Tanto per cominciare, causa litigi di sorta con conseguente veglia fino alle quattro di notte per cercare di venire a capo di qualcosa, domenica mattina ero assolutamente distrutta, fisicamente, moralmente, psicologicamente, sentimentalmente, totalmente insomma. Voglio dire, sono stata una fontana vivente per tipo quindici ore o poco più. Non ricordo di essere mai stata così devastata per qualcosa. Tutto sommato però, il fatto di essere dovuta uscire di casa, causa prove generali di un concerto, mi ha fatto molto bene. Punto primo, perché ho conosciuto un sacco di gente; punto secondo, perché fare musica non può che tirarmi su il morale, a lungo andare, e stare per due ore filate in un posto in cui di musica ce n'era a tronchesini è stato decisivo; e punto terzo, mi sono distratta un po' da tutte quelle che erano le mie preoccupazioni, di cui proprio non riuscivo a liberarmi. Quando sono tornata a casa quindi ero di nuovo decisamente di buonumore.
Poi, il mattino dopo, era il Santo Patrono del mio sperduto paesello, e avevo deciso di approfittare, col mio migliore amico, delle scuole chiuse, per andare a perderci nei meandri di Bologna (?). Sono andata a dormire presto la sera, per svegliarmi a un orario decente senza essere uno zombie, per cui l'improvvisa disdetta capslockata inviatami alle undici e mezza, l'ho vista solo alle sette e mezza del mattino dopo, con grande disappunto. Ora, avrei potuto fregarmene e ricacciarmi nel letto, ma no, il mio umore già instabile di suo ha avuto una ricaduta paurosa, e quindi mi sono alzata contando i minuti che mancavano alla partenza del treno che avremmo dovuto prendere, pensando che magari sarebbe arrivato qualche altro messaggio dicendo che non era vero niente e che potevamo andare lo stesso, e ogni minuto ero più triste. Avevo persino pensato, per un secondo, di fare come se nulla fosse, prendere e andarmene a Bologna da sola. Ma sia per principio sia per successiva esperienza, non mi piace mentire in cotali beffardi modi. Probabilmente in contemporanea col treno che partiva, mia mamma si è alzata e mi ha trovata stesa sul divano. Alla fine mi sono dovuta accontentare della festa patronale, che non è stata malaccio ma non è stata nemmeno un granché, ma era il meglio che mia madre ha potuto fare per consolarmi. E pensare che in origine a Bologna per il Santo Patrono dovevamo andarci io e lei, mi fa un po' rabbia a dire il vero.
Però me ne sono fatta una ragione, e ho tirato avanti fino a ieri, che avevo un'esercitazione di classe al conservatorio. Perché il mio maestro organizza queste cose, che sono delle specie di saggi, però interni alla classe, così ci si abitua a suonare in pubblico senza scomodare il volgo e la burocrazia (?).
Non mi aspettavo sarebbe andata così bene. Invece, complici le corde appena cambiate che avevano un suono fantastico e un po' di sano esercizio nei giorni scorsi, nonostante avessi suonato dei pezzi privi di arzigogoli vari mi sono guadagnata la stima di un po' di gente. Suonare è stato bellissimo. Poi che la sala Bossi quando c'è il sole è fantastica, con la luce che rimbalza sulle canne gigantesche dell'organo e quindi c'è quest'alone dorato che si diffonde tutto intorno al palco. E' molto piena di particolari, la sala Bossi. Suggestiva. Mi ricordo che subito prima di iniziare a suonare avevo un'ansia preoccupante, ma è quello il bello, cominciare il pezzo e cullare se stessi al suono delle proprie note. Ora che ci penso, non sono neanche sicura di aver fatto caso al fatto che il mio corpo e la chitarra erano due cose distinte, dopo un po'. E il finale del Notturno per la prima volta nella vita lo prendevo con la giusta sicurezza! Non mi era mai successo. Sono uscita da lì pensando che tutto sommato valgo ancora qualcosa, artisticamente. Non sono marcita del tutto ancora.
E' stato tanto bello pensarlo, quanto deludente vedere crollare tutta la mia autostima di fronte al compito di matematica di questa mattina. Non che mi sia ammazzata di studio, sarò sincera. Però so per certo che le cose sapevo farle. Solo che se devi calcolare l'intersezione tra l'asse di un segmento e una circonferenza, e ti salta fuori un discriminante di centottantanove quarti (giuro, erano proprio centottantanove quarti, fogli di brutta alla mano) che non puoi neanche estrarre la radice quadrata senza portarti dietro dei radicali a caso, dopo un po' che controlli il tuo sistema e non trovi errori di calcolo, il foglio protocollo ti viene la tentazione di accartocciarlo e lanciarlo in testa al professore. Francamente ho paura di non riuscire neanche ad arrivare al 3 stavolta. E io sono di quelle che vanno bene in matematica. Solo che non puoi fare un compito in classe con cose che non abbiamo mai nemmeno toccato con un bastone, anche e soprattutto perché per colpa di progetti vari abbiamo perso delle ore di matematica. Appena ho dovuto consegnare, sono corsa a piangere sulla spalla della mia ex compagna di banco, in preda alla disperazione. Non è durata molto, ma era una crisi di nervi in piena regola, che se qualcuno mi avesse sentita piangere in quel momento, avrebbe potuto pensare che fosse morto qualcuno. Beh, la mia media di matematica sicuramente non è viva e vegeta. Però era stupido piangere. Infatti il mio sollievo nello scoprire che nessuno da quel compito era riuscito a cavarci i piedi è stato assolutamente indicibile. Prenderemo tutti quanti qualche insufficienza. E chissenefrega.

Ora, dopo questo fiume di parole sgorgato dal nulla, sono in procinto di iniziare a saltare la corda per sfogarmi un po' dalla scotta di stamattina. Quindi mi scuso se sono stata decisamente logorroica, ma avevo bisogno di parlare, diamine. E spero anche che tutta questa pappardella compensi il fatto che i miei post sono sempre più rari. Spero anche di tornare a postare un po' più spesso. Gli spunti di riflessione alla fine non mi mancano per niente.

Saluti a voi :3

domenica 7 aprile 2013

Poi boh, le poesie migliori sono quelle delle quattro di notte (?)

Il mio cuore hai avvelenato
piano,
dilaniato straziato devastato
con mille e mille acute stilettate,
le tue parole.

Ma nella notte che
silenziosa muore,
il fragore del mio pianto non ha più
lacrime da versare,
tutto marcisce,
marcio è il tempo e il mio viso
contratto,
marcia è quest'assenza di rumore;
decade la speranza, anzi certezza,
ora triste e vana
di essere uno -

perché, come puoi dire
che in lungo e in largo
ho indagato la tua anima,
se davanti a me, impotente,
ho visto chiudersi
corolla nel tramonto,
per irrisolti sbagli,
l'entrata principale? -

e sono consapevole che io
non oltrepasserò mai più quel varco.
E muoio dentro,
come un raggio di sole
che a pennellate d'ira imbratta il cielo.

mercoledì 27 marzo 2013

Elucubrazioni del fantasma di una persona allegra.

Sono un ostacolo o cosa? La gente va via da me. Di continuo. Sono una bomba a orologeria? Un'appestata? Cosa ho fatto? E a chi? Neanche posso dire che la gente mi tratta come ruota di scorta e viene vicino a me per non stare sola, peggio ancora: la gente piuttosto che stare con me sta da sola. Deliberatamente e palesemente, prendono tutti le distanze. E meno male che di loro a me non fregava niente.
La verità è che li invidio tutti, uno per uno. Per quanto possa aver pensato di loro le peggiori cose possibili, tutti quanti dal primo all'ultimo hanno una cosa che a me manca e non saprei neanche dire a parole cos'è. Non è che non ho una vita sociale, ce l'ho, marcia ma ce l'ho. E' che loro legano tutti l'uno con l'altro in un modo così profondo, ma non troppo profondo (?), e quindi alla fine loro sono lì, belli, uniti, splendidi e fulgidi, e poi ci sono io, pallottola vagante, lì sola seduta al primo banco, e loro magari si accorgono anche che non sto bene, ma, pensano, cosa mai potrebbero farci, e del resto, alla fine chi se ne importa.
Tanto per cambiare ci piango sopra, e perché no, per farlo mi chiudo in un bagno, magari. Inizio a piangere perché penso a quanto sarebbe triste piangere. Patetico. Trovatemi qualcuno che si comporti in modo più vanesio e infantile di questo. Probabilmente a risolvere il problema della fame nel mondo ci si metterebbe meno tempo. Quanto può essere stupido, immaginare se stessi mentre si inonda di lacrime la spalla di qualcuno e trovare la scena così potentemente drammatica e toccante da commuoversi per un riflesso immaginario della propria persona? E' tanto tanto stupido.
Ancora lacrime che vanno sulle lacrime che vanno sulle lacrime che spingono i condotti lacrimali come l'acqua spinge una diga. Ma i condotti devono reggere - non è che puoi esplodere in singhiozzi così, dal nulla, mentre qualche tizio di fronte a te spiega a tutti tranne che a te cos'è la maieutica o come si calcola la quantità di moto in un sistema.

Anche all'invisibilità c'è un limite, dopotutto.

domenica 24 marzo 2013

Bang! #2 (la gita non fatta)

Quest'anno ho preferito evitare.

Londra era un posto in cui ero già stata per il triplo del tempo a parità di prezzo, e se dovevo buttare dalla finestra quattrocento e passa euro per tornarci con gente che, detta come va detta, degli sconosciuti sarebbero stati una migliore compagnia, tirando le somme, ho pensato che era meglio non andare.
Sono tornati da una settimana, ma parlano ancora tantissimo della gita - del resto, quella di Roma l'anno scorso non era stata tanto dissimile - e comunque tutto sommato non sono pentita di non esserci andata, anzi.

Se l'anno scorso in una certa misura nella mia classe mi ero iniziata a trovare bene, quest'anno, non si sa bene come, mi sento di nuovo completamente fuori posto, come una timina vicino a una guanina o come un lombrico nella Fossa delle Marianne, proprio non centro niente, niente di niente, con loro.
Mi immagino quanto sarebbe stato frustrante finire coinvolta in balle di gruppo, ritardi al limite dell'umanamente concepibile, avventure nelle fermate sbagliate della metropolitana, giri di shopping in cui tutti avrebbero avuto mete diverse dalla mia e soprattutto una più degna compagnia con cui fare acquisti improbabili, e altre cose di questo tipo, che succedono nelle gite di solito. Tutti erano completamente a proprio agio nei loro pianti alcolici e nel loro sentirsi fratelli e sorelle peace and love. Cosa ci andavo a fare io in quella specie di confraternita? L'accessorio? Il traduttore inglese-italiano/italiano-inglese? Il quattordicesimo incomodo? Un bagno nell'ipocrisia mia e altrui? Che bel divertimento.

Lunedì scorso, la cosa più traumatica e per certi versi anche abbastanza dolorosa e disillusoria è stata il rendersi conto che se in 7, tra cui io, erano rimasti a casa, mentre io mi ero fatta mille complessi e avevo finito con il distaccarmi definitivamente, gli altri 6 del loro non essere a Londra con gli altri non hanno risentito minimamente. Loro sono ancora nella classe, probabilmente anche più fratelli-e-sorelle-peace-and-love di prima. Io no.
Non so nemmeno io se di essere una parte di quel gruppo mi importa, mi fa piacere, o non me ne frega un emerito nulla. La cosa che sa di barzelletta è che tratto di merda tutti quanti e poi mi aspetto anche di essere considerata, compatita, acclamata, cercata. No ma dico, è giusto così. Quindi nel dubbio, mi sto distaccando e chiudendo tipo come un riccio, senza neanche volerlo.

Quindi alla fine sono messa così. Che ogni tanto faccio finta di essere anche solo minimamente legata a una, due, tre persone. Faccio finta d'andarci d'accordo, quel tanto che basta per non essere proprio un'eremita completa catapultata in una confraternita. Anche se alla fine in realtà sono sola.

Devo solo farci l'abitudine. Credo.

lunedì 18 marzo 2013

Errare.

Avevo dimenticato quanto fosse sciocco e distruttivo tenersi le proprie beghe per sé, completamente per sé. Per quanto stupide, per quanto insensate, avevo dimenticato quanto fosse un errore tenersele dentro.
Perché nel momento in cui fai la pazza scelta di tenerti dentro qualcosa, è come andare a camminare di punto in bianco su un filo di nylon sospeso su un precipizio, sapete, di quelli che nei film se ci buttano i sassi non sentono il tonfo.
Ed è come, mentre si cammina, avere la lucidità dei pazzi, ed essere tranquilli, come se per tutta la vita si fosse stati dei funamboli di mirabolante abilità.
Però in realtà qualunque cosa, qualunque, può buttarti di sotto, in ogni istante, senza motivo apparente. Un alito di vento, una cicogna che sta migrando verso i cieli africani (?), un'onda sonora, un aereo che passa, te stesso.
Te stesso, soprattutto.

martedì 12 marzo 2013

Riflessioni stupide di turno.

Di questa non mi piace che se la tira troppo,
di quello non sopporto il parlare sofisticato,
di quest'altra che si crede una dea scesa in terra,
di lui là che fa il fenomeno delle conoscenze scientifiche;
quella lì la odio perché fa fisso la troia,
e quanto a lei qua, guarda la gente che frequenta,
ma vuoi vedere che alla fine la peggiore delle persone,

quella che se la tira come una dea scesa in terra parlando sofisticatamente di mirabili conoscenze scientifiche e troieggiando per il mondo con la gente meno raccomandabile,

vuoi vedere che quella persona,
che alla fine si troverà sola,
sono proprio io?

mercoledì 6 marzo 2013

6-7-'12//6-3-'13

Che poi, chissà perché in questo genere di cose si dà sempre tanta importanza al tempo. Conta davvero così tanto se stiamo insieme da cinque giorni o un millennio o otto mesi?

Che poi, sono tutte grandezze così relative. Perché le contiamo? Per farci dire che è molto tempo dai tredicenni e che è una bazzecola dai nostri nonni? Per trovare pretesti per dirci cose augurose ogni tot tempo? La percezione reale del nostro tempo è qualcosa di così sfuggevole, tra l'altro. Eppure io stessa trovo che sia molto carino sapere che stiamo insieme e lo siamo stati finora proprio per quella quantità di tempo lì, né più né meno. Non so perché. Forse il non saperlo, il non averne un'idea nemmeno vaga, vorrebbe dire non avere coscienza di quanto in quel lasso di tempo si potrebbe essere cambiati. E anche lì, è tutto molto relativo, alle volte si può cambiare più in un'ora che in anni e anni. Ma un motivo a questo mio contare il tempo ci dev'essere, per forza.


Se Marte fosse abitato, magari dall'uomo, e a un qualunque marziano dicessi "otto mesi", per lui o lei non significherebbe niente, dato che i giorni e gli anni avrebbero durate diverse. Tutt'al più potrebbe fraintendermi.


Che poi, contare il tempo è una cosa che fanno tutti. Almeno a livello di mesi o di anni. Non so e non mi sarà probabilmente mai chiaro il perché lo si faccia. Per confrontarsi e reclamare, in funzione di una maggiore quantità di tempo, una maggiore serietà, una storia migliore? Chi dice che, di due coppie, la migliore sia quella che si è formata al liceo oppure quella che è spuntata per caso sei mesi fa? Come definisci, tra l'altro, che una coppia è migliore di un'altra? Posto che ci siano amore e rispetto (e sì che entrambe non sono cose tanto scontate, di questi tempi), ogni confronto è inutile.

Che poi, cosa può il tempo contro l'amore? Chiamatemi sognatrice, sdolcinata, come volete, ma nell'amore-che-dura-per-sempre io ci credo. A parte che i concetti di sempre, eterno, infinito, sono troppo vasti per rientrare nella nostra cognizione e siamo esseri finiti e mortali, quindi il persempre non è poi questa quantità di tempo così esponenziale. Ma comunque, sono fermamente convinta che sia possibile trovare una persona, quella persona con cui passare il resto della propria vita. Intendo, con cui si vuole passare il resto della propria vita. Magari prima di trovarla se ne possono incontrare altre mille che danno quell'impressione e in realtà non lo sono, ma ce n'è una che arriva e stravolge tutto, e il suo effimero relativo persempre vuole trascorrerlo e lo trascorre con te, sul serio.

Forse non è che sia così importante sapere che questa fetta di persempre finora ha occupato otto mesi tondi tondi della mia vita, ma ha un che di piacevole possedere il numero esatto.

sabato 23 febbraio 2013

Disgregazione.

Che prima o poi sarebbe successo, era sospettabile. A dirla tutta, era probabile. Credo che evitarlo sarebbe stato addirittura impossibile.

Non che nessuno abbia fatto niente di specifico. E forse il problema principale è stato proprio questo: che se da una parte c'erano sforzi infiniti per tentare strenuamente di mantenere vivo un rapporto che andava sfasciandosi, dall'altra c'era un distacco sempre più grande, sempre più enorme, dovuto a tante cose.

Il tempo, le scuse, le bugie, la fretta. Stanno alle amicizie come la ruggine sta al ferro.

Si può anche tentare di raccontare a se stessi qualche storia non vera: è la distanza, è l'ambiente, è la scuola, torneranno le vacanze e sarà tutto come prima, come quell'estate che uscivamo tutti i pomeriggi, facevamo pizzate i sabati sera e intasavamo le conversazioni a tre su Skype con faccine stupide che nessuna persona sana di mente mai userebbe.

Ma lentamente Skype passa di moda, la voglia di organizzare pizzate al gusto d'ipocrisia dissolve al nero, nei pomeriggi c'è sempre altro, anche durante le vacanze. La sensazione di star perdendo qualcosa si fa sì strada, dentro, ma è coperta da tante cose. Sbadataggine, anche, volendo.

E' quando le crepe vengono a galla che ci si rende conto di quanto si ha perso effettivamente. Delle cose che c'erano e che sono sparite senza controllo, una per una, poco per volta.

E' quando le cose finiscono che ci si chiede che senso ha avuto tutto.

Siamo davvero tutti destinati ad essere così soli?

giovedì 31 gennaio 2013

Masochismo.

Il momento in cui sento una canzone per la prima volta dopo sette mesi e mi salgono le lacrime agli occhi. Non me lo aspettavo, il tempo di dezippare una cartella, controllarne il contenuto e poi...
Apparentemente si tratta di una canzone qualunque, un pezzo di musica simil-classica e parecchio commerciale suonata tutta al pianoforte da qualche "artista" praticamente anonimo.
Ciononostante nel momento preciso in cui premo il tasto play la melodia familiare mi fulmina. La melodia della nostra sveglia, che nei momenti meno opportuni iniziava a suonare per avvertirci che eravamo potenzialmente in ritardo per il meeting delle 2 per le attività pomeridiane. O per il biscottino digestivo delle 10 e mezza (sì, perché alle 10 e mezza di sera loro ci davano i biscottini, certi con pezzi di frutti di bosco dentro, certi alla vaniglia, certi al cioccolato, ma i digestivi erano assolutamente i più buoni). O per i giri di ronda della mezzanotte.
Fiotti di ricordi e lacrime mi sommergono piano piano mentre finalmente mi ricordo il dannato motivetto che per mesi e mesi è sfuggito alla mia memoria. Ecco come faceva! Dal flusso dei miei pensieri emergono immagini di una stanza da universitario, una valigia per terra, una bacheca piena di puntine e testi di canzoni, giornate scandite da quella sveglia. Le due settimane più belle della mia vita.
Mi ricordo improvvisamente di quante cose mi mancano, di allora. Dai nostri alloggi che puzzavano di polvere intrappolata perennemente nelle moquette verdognole ai compagni di classe sfrattati che chiedevano di scroccare un posticino nella tua camera, dalle quattro stagioni che si scagliavano sul campus nel giro di una sola giornata alla cioccolata da Starbucks, dai group leader le cui ronde ci apparivano tanto inutili alla direttrice, oh mio Dio la direttrice, come dimenticarla, e quel coro che avevamo fatto dopo esserci prese una sgridata collettiva, e la caccia al tesoro sotto l'acquazzone con gli indizi tutti macchiati e zuppi d'acqua, e la volta che ho perso le chiavi e i cibi strani che galleggiavano in paludi di sughi iperspeziati, non so se mi dà più nausea il pensare a quanto mi davano spavento o a quanto mi manca tutto ciò.
Tutto perché ho premuto il tasto play.
E mi rendo conto che forse avevano ragione a dirmi che, da quel posto, non sono mai tornata davvero.

mercoledì 30 gennaio 2013

Disprezzo. (Memorie del passato anno solare)

Ricreazione. Entro nella mia classe dopo essere stata al bar, cantando e semi-ballando con i MUSE a palla negli auricolari. Sprizzo felicità da buona parte dei miei pori - del resto, sta nevicando, e manca solo qualche ora all'inizio delle vacanze di Natale.
Nel mio esprimere questo grande giubilo, incontro il profondo disprezzo di una nanerottola ossigenatissima di simil-snelle proporzioni cilindriche (?) con gli occhi da panda/pugile ferito e il viso fatto di pigmenti che, vista la sua palese aria di puzza sotto al naso, non devono fare un gran bell'odore.
Dall'alto del suo un-metro-e-una-coca-cola di altezza, mentre io faccio air-guitar in ginocchio al centro della classe, credendosi molto offensiva e spiritosa, si esibisce in un facepalm e mi esprime il suo disappunto. Invano.
"Chi è il tuo spacciatore?"
"Mah, dipende da chi è il tuo fornitore di fondotinta." (E deve essere uno che praticamente vive grazie a lei, eh.)

Irritare una persona non è mai stato così divertente :3

venerdì 25 gennaio 2013

Crash.

Sono costantemente ossessionata dall'esistenziale questione di cosa sto esattamente diventando.
Di me agli altri non resta più un'impressione, un ricordo, niente. Ogni tanto penso e mi comporto come se me ne importasse alcunché, cerco un posto vuoto dove piangere in pace, ma almeno le mie lacrime sono ragionevoli e non si sprecano in cotali stupidi modi. Così puntualmente arriva qualcuno e mi coglie in flagrante col mio muso lungo. Ancor più puntualmente e spudoratamente pensa e si comporta come se gliene importasse. Non ne capisco onestamente il motivo. Se una faccia da funerale passa inosservata per cinque ore, non arrivo a comprendere come salti agli occhi nei due fottuti minuti in cui uno si allontana dalla gente che gli dà tanto voltastomaco. Scappi dalla realtà e quella ti insegue come un cane dietro alla sua pallina da tennis, e allora perché anche solo tentare la fuga, perché non abbandonarsi e arrendersi a questa realtà, giusta e gradevole quanto del pesce cotto nel latte rancido?
In qualunque cosa che faccio o posto in cui vado sono sempre costantemente di passaggio, dalla mia inutile vita scolastica al pranzo e alla cena, come se non ci fossi, come se gli altri non ci fossero.
Guardo i miei compagni di classe lottare per il contatto con una porzione bollente di termo, la mia prof di solfeggio che mi squadra con aria inquisitoria dinanzi alla mia ennesima dimostrazione di scarsa preparazione, i miei fratelli incantati davanti ai loro videogiochi, guardo e passo, nessuno mi ferma, dinanzi a loro, dinanzi a tutti sono come invisibile. Tutte le persone mi appaiono così lontane, così diverse. Al punto che quando sono loro a rivolgersi a me, io le respingo bellamente.
Diversa, diversa, diversa. Sono io quella diversa in tutto questo, quella sbagliata. Sospesa a metà tra ingenuità e spirito critico, appesa al flebile irrazionale filo spinato dell'incoerenza. Ibernata per interessi scientifici del destino a metà di una metamorfosi, non mi adatto più ad alcuna situazione. E tuttavia ancora insisto a scivolare cadere annegare nella mia presunzione di essere, nella mia diversità, migliore, e mentre scivolo cado annego vorticosamente avvicinandomi al fondo la consapevolezza profonda di non esserlo lentamente crea nella mia testa un conflitto. Esplodo come un'equazione che contiene l'infinito. Prendo a calci le cose, imitando involontariamente persone a cui non vorrò mai somigliare. Urlo, urlo, urlo più forte che posso soffocando la voce nelle coperte. Perdo la voce, la rabbia e la belligeranza, svuotata come un fiume in secca.
Nessuno, ecco cosa sono, chi sono, un nessuno che vaga invano e le cui azioni sono in funzione di decisioni prese prima, prima di perdere quella matassa ingarbugliata che era la mia identità. Eppure ancora ho le mie manie di protagonismo, le ipotetiche scenate ad effetto dipinte nella mia mente, che se ci dovessero poi mai essere davvero, mi toglierebbero semplicemente la reputazione che ancora mi resta, e che non è mai stata tanta.
Un senso, datemi un senso, io il mio l'ho smarrito per strada o forse non l'ho mai davvero avuto, se non quello di essere meramente utile all'altra gente, sfruttata dall'altra gente, invisibile all'altra gente.



E adesso?

venerdì 11 gennaio 2013

Distacco.

Sta tornando a farsi vivo in me il senso di essere un tassello in più in un puzzle già completo e se ne sta andando via la grinta e ricchezza di obiettivi (seppur tutti a breve scadenza) che mi animava fino a qualche mese fa.

Ho perso il senso di chi sono, ho smesso di informarmi su alcunché, le mie opinioni? Tutte riferite a eventi passati, dunque andate anche quelle. Non so cosa pensare di me, degli altri, non capisco le mie reazioni alla presenza di alcune persone. E per contro mi accanisco a dare prova delle poche convinzioni che ho, che riguardano tutte quel che io non voglio essere e consistono tutte nell'attaccare determinate categorie di persone con correnti di pensiero decisamente irritanti. Va da sé che mi isolo ancora di più così facendo.

Insomma sono praticamente confinata nel mio ego, che, per quanto sterminato, non sostituisce quello che ero prima.

Sì, ok, c'è la voglia di fare cose e tendere a diventare una persona di cui più o meno so già le caratteristiche, e ci sono progetti, molti e meravigliosi, ma mi sembrano tanto a lungo termine che ogni tanto mi assale il dubbio che il momento di uscire dalla bambagia non arriverà mai. E come se non bastasse, sono pigra e inerte. La seconda specialmente. Non ricordo l'ultima volta, fatte salve le mie amate registrazioni e poco altro, che ho fatto qualcosa mettendoci seriamente passione.

Dato che è l'undicesimo giorno dell'anno ancora (cavolo, da Capodanno è passato così poco tempo? le vacanze di Natale mi sembrano finite da secoli çwç), direi che sono in tempo per ripartire e combinare qualcosa di umanamente/personalmente utile nei mesi a venire. Ho già delle idee, a dire il vero.

Spero che non siano tutte vane, dato che sono più che consapevole di una cruda, amara verità.

Il mio puzzle è altrove.

domenica 6 gennaio 2013

Compiti delle vacanze di italiano.

Cose che possono saltare fuori quando per compito ti assegnano proprio quello che ti piace: scrivere poesie. Sonetti, per la precisione. Non so se ha senso questa cosa però era figosa quindi la pubblico. Non sapevo neanche come intitolarla xD

Nel suo nascere impavida dal nulla,
la vita con la musica va a tempo;
non si cura di noi, che senza scampo
arranchiamo, frammenti di una stella.

Nell'etere vibrante, taci e ascolta:
Vi son echi di emozioni sulla Terra,
come inviti a porre fine a questa guerra
d'interessi dell'umanità più stolta.

Ad occhi chiusi un tuffo dentro l'aria
ricolma di riverberi sonori
facciamo, senza più pensare a ieri;

Riempiti e completati dentro e fuori
saremo, dalla musica del mondo,
che può lenire i nostri aspri dolori.

martedì 1 gennaio 2013

Isole di pensieri in un mare di dolce far niente.

Hmm, non so proprio cosa mi sia preso. Niente post autocelebrativo per i miei 16 anni (non che sia cambiato poi granché da quando ne avevo 15), niente auguri di Natale, niente descrizione accurata dell'assenza di atmosfera, niente paranoie, niente di niente. Ma due paroline per l'anno nuovo non potevo non scriverle.

Che dire. Non saprei. Mi sento molto riposata, queste vacanze ci volevano proprio. Il fatto che le mie giornate siano altamente inconcludenti è abbastanza un dettaglio, fisicamente e mentalmente avevo proprio bisogno di staccare totalmente, di fregarmene. E poi non sono stata proprio del tutto inattiva, dato che ho portato avanti il mio pallino per le registrazioni.
Quanto mi diverto a registrare. Sforno cover come un tempo sfornavo dolcetti (un tempo poi... fino a un annetto fa) (oddio, quindi tra una cosa e l'altra qualcosa è cambiato sul serio!!). E ogni tanto scrivo e registro anche qualcosa di mio. E' troppo bello. E dato che i lavori che escono fuori sono di tutto rispetto, spesso me li riascolto. Comprendetemi, sono una povera melomane affetta da narcisismo cronico che per la prima volta riesce a riascoltare la propria voce registrata senza correre mille miglia lontano con le mani sulle orecchie per l'orrore. Anzi. A volte il risultato è quasi gradevole, quasi.

Altra cosa rilevante (e non poco). Credo di avere lo stomaco del tutto chiuso. Chiuso! Credo che se proverò anche solo ad addentare un tramezzino mi colpirà una nausea immediata. E lo so perché ci ho provato. So anche che non dormirò stanotte. Ho contato a rovescio i giorni e dopo un po' anche le ore. Avrei potuto anche cimentarmi coi minuti, ma sarebbe stata una stima troppo approssimativa. Interiormente però ho contato pure quelli. E ora siamo agli sgoccioli. Meno di 13 ore. Ho le dita che mi tremano, la cassa toracica che mi implode e lo stomaco pieno di farfalle (da qui lo scarso appetito di cui sopra). A cosa sarà dovuta tutta questa fibrillazione?, vi chiederete. Beh, dirò solo una cosa: non ho lottato invano.

Ora, dato che questa sensazione di implosione interiore mi sta dilaniando le viscere, vado a distrarmi che è meglio. Premetto, non ci sarò per nessuno ancora per 5 o 6 giorni, quindi il mio mutismo si dilungherà. Ma, come ho detto, due paroline per l'anno nuovo non potevo non scriverle.

Buon 2013!