Cerca

martedì 23 aprile 2013

Uno scherzo. (Andiamo, se non ridete sembrerà crudele.)

Se spiegassi a una qualunque persona il motivo per cui sono stata a casa da scuola oggi, verrei presa sicuramente per pazza. Ma molto pazza. Ancora, a parte mia madre e i miei fratelli, non lo sa nessuno. Potranno saperlo potenzialmente tutti nel giro di qualche paragrafo, comunque.

Ieri sera sono andata a dormire intorno alle undici e venti, giubilante nella consapevolezza che stamattina avrei potuto gubbiarmela per tipo mezzora in più del solito. Tra l'altro non ho nemmeno dormito male, devo dire.

Ad un certo punto, una breve scrausa suoneria di telefono non mio, che si ripete incessantemente a intervalli di 5 o 10 secondi, mi porta lentamente fuori dal sonno, ed è così incessante e fastidiosa che il mio risveglio è praticamente definitivo. Nell'arco di tempo che serve al mio cervello per riportarmi totalmente alla realtà, mi sorge il dubbio che possa essere una sveglia altrui programmata tipo alle sette e mezza, e che quindi io sia in irreparabile ritardo. Mi alzo e metto mano al telefono che sta sulla mia scrivania per controllarlo: spento. E quando il mio telefono è spento, la sveglia non suona a prescindere. Cerco freneticamente un dannato orologio, per controllare che ore siano, nel panico che possa essere già tardi. Non ne trovo, e mi tocca mettere il telefono in carica per controllare.
Ora, il caricabatterie del mio telefono l'ho rotto del tutto non so quanti giorni fa, e da allora l'unico modo che ho per caricare il cellulare è collegarlo al pc, che però è un portatile e quindi deve essere a sua volta acceso e collegato alla corrente. Quindi, dopo aver inserito la spina, acceso il computer, collegato il telefono e aspettato che si accendesse, finalmente vedo l'ora: le sei e mezza.
Con un misto di sollievo per il mancato ritardo e di rammarico per il sonno interrotto, me ne torno sotto al piumone ancora caldo,
ma
la misteriosa suoneria, la cui provenienza mi è del tutto ignota, continua a tormentarmi, abbastanza bassa da non essere udita fuori dalla mia camera, ma alta più che abbastanza per impedirmi di riprendere sonno nei tre quarti d'ora di tempo che mi rimangono per tentare di dormire. Alle sette e un quarto, alla fine, mi alzo, con un senso di frastornamento nella testa e una fottutissima ora di sonno arretrato. Racconto a mia madre, che nel frattempo si era già svegliata insieme al più piccolo dei miei fratelli, tutto quanto sopra già citato, e lei ipotizza che possa essere stata qualche suoneria proveniente da fuori. Ma, obietto io, per un'ora di fila? Alla fine, smetto di pensarci e inizio a fare colazione. E' solo dopo aver finito la mia tazza di latte e cereali, che si sveglia anche l'altro mio fratello, e lì mi sorge un dubbio: che questa fantomatica suoneria possa provenire dal suo telefono? (Perché, per la cronaca, mio fratello ha 9 anni e mezzo e ha un cellulare. Però non lo usa mai, e quando lo fa, lo fa in modi altamente stupidi, come potrete constatare tra poco. Potrei maledire mia zia per averglielo regalato, quel merda di telefono).
Appena lo vedo alzarsi dal letto, mi avvicino e comincio ad indagare.
io: "Lori."
Lori: "asdsibgosdf... sì?" (per la cronaca, sì, mio fratello è l'unica persona che conosco che quando si alza la mattina è più in coma di me)
io: "Dov'è il tuo telefono? Me lo prenderesti per favore?"
A questo punto, il marmocchio è già in piedi, e con la fronte tutta corrugata e gli occhi semichiusi, cerca il suo cellulare nella propria cameretta (che ha ereditato da me tra l'altro. Pff). Non trovandolo, con espressione profondamente confusa, fa un rapido giro di ricognizione sui vari mobiletti del soggiorno, ma non è nemmeno lì. Ma non appena esce dal soggiorno e va nel corridoio, verso la mia stanza, un sorrisino idiota gli si dipinge in faccia. Entra dentro, sposta il letto superiore (dato che ho due messi uno sopra l'altro che possono scorrere, anche se quello di sotto lo uso più per appoggiarci le mie cianfrusaglie che come letto vero e proprio), ed ecco comparire sul materasso il suo cellulare, che proprio in quel momento inizia a trillare di nuovo. Nel momento in cui lui, sempre con quel sorriso da droghino stampato in faccia, mi dice "era uno scherzetto", io lo spingo via e gli urlo di tenerseli per lui, i suoi scherzetti. Lui mi corre dietro e mi assesta un colpo nella schiena, che da quanto sono incavolata non mi fa nemmeno il solletico, al che io urlo ancora di più e mi chiudo in bagno. Si arrabbia e piange fortissimo. E sì che non è lui che si è sorbito un'ora di suoneria strana. Quando esco dal bagno, ha smesso di mugolare. Entro in cucina, e ha ancora le lacrime agli occhi. Senza nemmeno guardarlo, gli grido, "Preparati perché domani mattina ti faccio svegliare alle CINQUE!, e fino alle sette sentirai il mio telefono che suona!". "ZITTA, ZITTA, ZITTA!" mi urla lui scoppiando di nuovo a piangere. Dice anche qualcos'altro che non riesco a capire, probabilmente mi sta ribadendo che era uno scherzo, ma non me ne sbatte proprio il cazzo, ho perso un'ora della mia vita perché doveva fare lo stupido e non gliela faccio passare di certo liscia. Mentre lui ricomincia a piangere, mia madre mi chiede se voglio un biscotto (che mi aveva specificato in precedenza di non mangiare perché ne erano rimasti pochi e i miei fratelli li avrebbero voluti tutti). Le rispondo che non mi va. Lei tenta di rispiegare a mio fratello che per colpa della sua stronzata ho perso un'ora di sonno (che poi tra una cosa e l'altra mi è venuto anche il mal di testa poco dopo) che magari mi sarebbe piaciuto godermi. Ovviamente non con queste parole. E, altrettanto ovviamente, non manca di dirmi che ho esagerato, e ha tutte le ragioni del mondo, ma in quel momento non ho voglia di ascoltare nessuno. Me ne torno in camera mia urlando a mia madre che sono nervosa, arrabbiata e in premestruo, e che il marmocchio non ha fatto altro che peggiorare il tutto.
Inizio a cercare qualcosa con cui vestirmi senza sembrare un insaccato, e mentre mi preparo lo zaino mi rendo conto che ho la stabilità mentale di un isotopo radioattivo, e che se esco di casa e le cose non vanno tutte esattamente come dovrebbero andare, potrei ferire gravemente o uccidere qualcuno, oppure piangere in modo altamente epocale. Non so quale è peggio.Quindi devo scegliere: usare i 10 minuti di tempo che ho prima di uscire per prepararmi e affrontare la giornata, a rischio e pericolo di chi mi sta attorno, oppure chiedere a mia madre di restare a casa.
Opto per la seconda, e lei mi dice che non le do motivo di dirmi di no, anche se mi ripete e straripete che non è normale saltarsi sei ore di scuola solo perché ho fatto questioni con mio fratello. Conclude con un "Comunque, fai come ti pare", e io, conoscendomi, a casa ci sto eccome. Passo parte della successiva mezzora a lanciare battutine velenose a mio fratello circa il suo simpatico scherzo (e se lui fosse qui ora starei continuando a farlo sentire più in colpa che posso), e un'altra parte a leggere articoli di un giornalino. Prima di andare, mia madre mi lascia cose varie da fare a casa: cercare una ricetta persa in mezzo a un libro, spolverare per terra e sui mobili, sparecchiare la tavola.
Appena tutti vanno via, alla fine, mi ricaccio nel letto per un'ora.

Non sono riuscita comunque ad addormentarmi, com'era prevedibile, quindi non è servito a niente e ho perso un'ulteriore ora della mia vita. E per di più dopo essermi alzata ero ancora più triste e arrabbiata di prima, quindi sono ancora qui che me la piango a minuti alterni, e se non piango ho dei lucciconi agli occhi che ci riempiresti un lago. Penso ogni secondo a come architettare la mia crudelissima vendetta. Perché di farlo svegliare alle cinque un giorno o l'altro, ci sto pensando sul serio. Ma non ci riesco. La maggior parte delle idee che mi vengono, implicherebbero che io mi svegli alle cinque insieme con lui, e tra l'altro alle sei c'è mio padre in giro per casa. Ma potrei fare di meglio. Potrei puntare una sveglia con una suoneria spaventosa, ma sempre a volume basso, tipo alle due di notte. E impostare il telefono in modo che suoni ininterrottamente per almeno una dannatissima ora. E chiudere la porta della sua stanza quando lui sta già dormendo (dato che solitamente per paura del buio la tiene aperta), così intanto lui si prende uno spavento bestia, e da fuori nessuno sente niente. Ok, forse questo è crudele. Tra l'altro funzionerebbe per cinque minuti al massimo, perché pur con tutta la sua paura del buio, è di certo capace di camminare fino alla porta e correre fuori in lacrime. La cosa che mi rende ancor più sorprendentemente crudele, è che pensare a come vendicarmi, mi fa persino smettere di piangere. Ma ora devo correre, perché tra un'ora ho il treno e devo andare a canto corale, che a differenza della scuola ho deciso che potevo anche non saltare, e devo ancora pranzare e togliere la polvere in giro. Forse trovo anche il tempo di piangere ancora un po', così, per solleticarmi i bulbi oculari.

Che strana cosa, il premestruo.

venerdì 12 aprile 2013

Ozio.

Ecco cosa mi ci mancava per mettermi a scrivere, in concomitanza con eventi che sballano il subconscio all'ennesima potenza. Un po' di ozio. Un po' di solitudine. Un momento per rimuginare su me stessa e avere tempo sufficiente per trarne dei pensieri coerenti. Magari non di notte, che già sono sempre piena di sonno arretrato, se mi metto a pensare invece che dormire poi è il massimo.

Non che nel resto del tempo io mi prodighi in attività socialmente utili o qualcosa, come facevo lo scorso anno. In realtà sono nove mesi che sto per mia scelta costantemente attaccata al computer. Come se per tutto questo tempo fossi entrata in una specie di letargo, e la primavera ritardataria mi stesse svegliando solo adesso. Finalmente il fottuto bel tempo sta tornando, di quella coltre perenne di nuvole non ne potevo più. Pur di fare qualcosa, mi sono messa a saltare la corda nella striscia di pavimento libero della mia stanza. A livello di spazio, probabilmente è anche meno dello stretto indispensabile, però chi se ne importa, finché i vicini non mi urlano qualche lamentela random (ma tanto salto con i calzini antiscivolo, quindi non mi sentono nemmeno, probabilmente) e i miei non sanno niente (ma sono coperta dalla musica tenuta a volume alto e so bene gli orari in cui posso restare indisturbata), nessuno può fermarmi. Presto potrò tornare a saltare giù in cortile, magari coi miei fratelli. Torneranno i venti gradi della primavera che esplode, torneranno le giornate a ciel sereno, tornerà la stabilità del bel tempo (non come ora che piove poi è nuvolo poi c'è il sole poi grandina poi nevica (?) poi piove poi c'è il sole poi è nuvolo e poi eccetera), torneranno le partite a badminton in cui la traiettoria del volano non sarà continuamente falsata dal vento, torneremo in quel prato verde gigantesco a breve, probabilmente, e faremo bracciali con le margheritine selvatiche. Forse torneremo ad inerpicarci su per il monte Pero a trovare quella vecchina che sta nella canonica di quella chiesetta sperduta. Serio, che impresa è stata quella.

Nel frattempo, quest'ultima settimana è stata un qualcosa di mirabolante, anche se potrà dirsi conclusa soltanto domani. E' stata ricca di alti e bassi, più che altro, e la cosa mi manda sempre un po' in confusione, in trauma, non so. Ne esco sempre un po' ammaccata anche una volta recuperato il buonumore, in un certo senso. Insomma, come al solito, anche se non faccio mai niente di particolarmente sconvolgente, sulle mie peripezie psicologiche ci si potrebbe scrivere un trattato alla settimana o qualcosa di simile.

Tanto per cominciare, causa litigi di sorta con conseguente veglia fino alle quattro di notte per cercare di venire a capo di qualcosa, domenica mattina ero assolutamente distrutta, fisicamente, moralmente, psicologicamente, sentimentalmente, totalmente insomma. Voglio dire, sono stata una fontana vivente per tipo quindici ore o poco più. Non ricordo di essere mai stata così devastata per qualcosa. Tutto sommato però, il fatto di essere dovuta uscire di casa, causa prove generali di un concerto, mi ha fatto molto bene. Punto primo, perché ho conosciuto un sacco di gente; punto secondo, perché fare musica non può che tirarmi su il morale, a lungo andare, e stare per due ore filate in un posto in cui di musica ce n'era a tronchesini è stato decisivo; e punto terzo, mi sono distratta un po' da tutte quelle che erano le mie preoccupazioni, di cui proprio non riuscivo a liberarmi. Quando sono tornata a casa quindi ero di nuovo decisamente di buonumore.
Poi, il mattino dopo, era il Santo Patrono del mio sperduto paesello, e avevo deciso di approfittare, col mio migliore amico, delle scuole chiuse, per andare a perderci nei meandri di Bologna (?). Sono andata a dormire presto la sera, per svegliarmi a un orario decente senza essere uno zombie, per cui l'improvvisa disdetta capslockata inviatami alle undici e mezza, l'ho vista solo alle sette e mezza del mattino dopo, con grande disappunto. Ora, avrei potuto fregarmene e ricacciarmi nel letto, ma no, il mio umore già instabile di suo ha avuto una ricaduta paurosa, e quindi mi sono alzata contando i minuti che mancavano alla partenza del treno che avremmo dovuto prendere, pensando che magari sarebbe arrivato qualche altro messaggio dicendo che non era vero niente e che potevamo andare lo stesso, e ogni minuto ero più triste. Avevo persino pensato, per un secondo, di fare come se nulla fosse, prendere e andarmene a Bologna da sola. Ma sia per principio sia per successiva esperienza, non mi piace mentire in cotali beffardi modi. Probabilmente in contemporanea col treno che partiva, mia mamma si è alzata e mi ha trovata stesa sul divano. Alla fine mi sono dovuta accontentare della festa patronale, che non è stata malaccio ma non è stata nemmeno un granché, ma era il meglio che mia madre ha potuto fare per consolarmi. E pensare che in origine a Bologna per il Santo Patrono dovevamo andarci io e lei, mi fa un po' rabbia a dire il vero.
Però me ne sono fatta una ragione, e ho tirato avanti fino a ieri, che avevo un'esercitazione di classe al conservatorio. Perché il mio maestro organizza queste cose, che sono delle specie di saggi, però interni alla classe, così ci si abitua a suonare in pubblico senza scomodare il volgo e la burocrazia (?).
Non mi aspettavo sarebbe andata così bene. Invece, complici le corde appena cambiate che avevano un suono fantastico e un po' di sano esercizio nei giorni scorsi, nonostante avessi suonato dei pezzi privi di arzigogoli vari mi sono guadagnata la stima di un po' di gente. Suonare è stato bellissimo. Poi che la sala Bossi quando c'è il sole è fantastica, con la luce che rimbalza sulle canne gigantesche dell'organo e quindi c'è quest'alone dorato che si diffonde tutto intorno al palco. E' molto piena di particolari, la sala Bossi. Suggestiva. Mi ricordo che subito prima di iniziare a suonare avevo un'ansia preoccupante, ma è quello il bello, cominciare il pezzo e cullare se stessi al suono delle proprie note. Ora che ci penso, non sono neanche sicura di aver fatto caso al fatto che il mio corpo e la chitarra erano due cose distinte, dopo un po'. E il finale del Notturno per la prima volta nella vita lo prendevo con la giusta sicurezza! Non mi era mai successo. Sono uscita da lì pensando che tutto sommato valgo ancora qualcosa, artisticamente. Non sono marcita del tutto ancora.
E' stato tanto bello pensarlo, quanto deludente vedere crollare tutta la mia autostima di fronte al compito di matematica di questa mattina. Non che mi sia ammazzata di studio, sarò sincera. Però so per certo che le cose sapevo farle. Solo che se devi calcolare l'intersezione tra l'asse di un segmento e una circonferenza, e ti salta fuori un discriminante di centottantanove quarti (giuro, erano proprio centottantanove quarti, fogli di brutta alla mano) che non puoi neanche estrarre la radice quadrata senza portarti dietro dei radicali a caso, dopo un po' che controlli il tuo sistema e non trovi errori di calcolo, il foglio protocollo ti viene la tentazione di accartocciarlo e lanciarlo in testa al professore. Francamente ho paura di non riuscire neanche ad arrivare al 3 stavolta. E io sono di quelle che vanno bene in matematica. Solo che non puoi fare un compito in classe con cose che non abbiamo mai nemmeno toccato con un bastone, anche e soprattutto perché per colpa di progetti vari abbiamo perso delle ore di matematica. Appena ho dovuto consegnare, sono corsa a piangere sulla spalla della mia ex compagna di banco, in preda alla disperazione. Non è durata molto, ma era una crisi di nervi in piena regola, che se qualcuno mi avesse sentita piangere in quel momento, avrebbe potuto pensare che fosse morto qualcuno. Beh, la mia media di matematica sicuramente non è viva e vegeta. Però era stupido piangere. Infatti il mio sollievo nello scoprire che nessuno da quel compito era riuscito a cavarci i piedi è stato assolutamente indicibile. Prenderemo tutti quanti qualche insufficienza. E chissenefrega.

Ora, dopo questo fiume di parole sgorgato dal nulla, sono in procinto di iniziare a saltare la corda per sfogarmi un po' dalla scotta di stamattina. Quindi mi scuso se sono stata decisamente logorroica, ma avevo bisogno di parlare, diamine. E spero anche che tutta questa pappardella compensi il fatto che i miei post sono sempre più rari. Spero anche di tornare a postare un po' più spesso. Gli spunti di riflessione alla fine non mi mancano per niente.

Saluti a voi :3

domenica 7 aprile 2013

Poi boh, le poesie migliori sono quelle delle quattro di notte (?)

Il mio cuore hai avvelenato
piano,
dilaniato straziato devastato
con mille e mille acute stilettate,
le tue parole.

Ma nella notte che
silenziosa muore,
il fragore del mio pianto non ha più
lacrime da versare,
tutto marcisce,
marcio è il tempo e il mio viso
contratto,
marcia è quest'assenza di rumore;
decade la speranza, anzi certezza,
ora triste e vana
di essere uno -

perché, come puoi dire
che in lungo e in largo
ho indagato la tua anima,
se davanti a me, impotente,
ho visto chiudersi
corolla nel tramonto,
per irrisolti sbagli,
l'entrata principale? -

e sono consapevole che io
non oltrepasserò mai più quel varco.
E muoio dentro,
come un raggio di sole
che a pennellate d'ira imbratta il cielo.