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mercoledì 29 febbraio 2012

Primavera metereologica.

Oggi il prof di matematica entra in classe, apre il registro, e se ne esce con "oggi è l'ultimo giorno di febbraio. Due dodicesimi dell'anno sono già passati. *rivolgendosi al ragazzo che sta al primo banco* Due dodicesimi corrispondono a...?" "un sesto!" "Molto bene, un sesto di quest'anno se n'è già andato via." Mm, 29 febbraio oggi. Un giorno del genere ricapiterà tra quattro anni. Una volta dicevano "Anno bisesto, anno funesto", non mi ricordo nemmeno perché. Boh.
Alla fine della lezione, al momento di dare i compiti, si è accorto che domani è il primo di marzo (beh, se oggi è l'ultimo giorno di febbraio, certo domani non sarà il quindici maggio, no?). E ha fatto tutto un discorso sul fatto che il primo di marzo inizia la primavera metereologica. Quindi tecnicamente da domani è primavera. Bene! In effetti in questi giorni il sole non è certo mancato. Si sta così bene. Oh beh, le mezze maniche a febbraio sono un tantino parossistiche, ok... ma tanto la primavera metereologica inizia domani +_+ e in effetti non mi spiego neanche la persistenza dei pochi cumuli di neve sopravvissuti al caldo di questi giorni. Contemporaneamente, nell'ultima settimana sono stata un giorno più stesa dell'altro. Dico delle cavolate assurde, dall'affermare che 4+9 fa 15 al dire "physical aspect" al posto di "physical appearance" (e per inciso, "aspect" non è una parola esistente in inglese). Sarà una sorta di stesaggine pre-primaverile? Stesaggine da caldo improvviso? Bah. So solo che se vado avanti così, potrei svegliarmi una mattina e non saper rispondere alla domanda "come ti chiami?".
Sarà un marzo a dir poco spumeggiante. Mi aspettano due gite (entrambe di tre giorni e due notti) (gran balotta!), il festeggiamento del mio primo anno di fidanzamento (ammesso che riuscirò ad organizzare qualcosa per festeggiare), le olimpiadi della grammatica, tante figure retoriche e poesie strampalate, centinaia di occasioni di aiutare gli altri, qualche ulteriore riscatto sociale, forse qualche forma di ribellione e svariati primi giorni del resto della mia vita.
Ma ora, dato che penso al presente, penso proprio che andrò a mangiare una bella pizza :D

lunedì 27 febbraio 2012

Confronto.


E' un po' di giorni che mi pongo questo quesito esistenziale, che è una cosa tremenda, cioè: ha senso confrontarsi con gli altri?

Ogni volta che ci penso, come sempre quando ci si pone una domanda alla leggera, le possibili risposte appaiono e scompaiono, pallide, e scappano via appena provi ad afferrarle e farne qualcosa di più concreto.
Confrontarsi con gli altri, uhm... Come al solito la chiave di ogni cosa è che tutto è relativo (e ti pareva ._.), sta di fatto che non riesco a fare a meno di notare che sono sempre inferiore a qualcuno sotto qualche aspetto. E, puntualmente, me ne lamento. Con me stessa, con gli altri, col pensiero, per iscritto. E poi appena succede il contrario, cioè quando mi confronto con qualcuno (che magari mi ossessiona per una qualunque caratteristica fisica o intellettuale) e scopro che ci sono uno, due, tre aspetti in cui credo di essere migliore, ecco che prende il via un grande gongolamento interiore, della serie "oh, quella ha bisogno di chili di fondotinta per coprirsi quei brufoli, mentre io no *w* ora mi sento una persona migliore". Insomma, più vado avanti a pensarci più penso di essere una persona decisamente ignobile. Cioè, andiamo, non posso pretendere di essere la migliore di tutti in tutto. E tutte queste paranoie solo perché ho la smania di guardare come sono io, guardare come sono gli altri, tirare le somme e trovare che non siamo tutti uguali a questo mondo. E interpreto il fatto che gli altri siano diversi da me come un'evidente prova che io sono peggiore (o, nei rarissimi momenti in cui il mio subconscio mi dà un po' di tregua facendo emergere la mia parte più egocentrica, migliore) degli altri. Insomma, non ha senso. Bah. Pensandoci bene giungo alla conclusione che, stando a quello che ho scritto, per accettarmi dovrei essere diversa da me stessa. È il pensiero più stupido che io sia mai riuscita a formulare, credo, perché sotto sotto credo che siamo sempre noi stessi, a prescindere. Se cambiamo, anche volontariamente, siamo dei nuovi noi, ma siamo sempre noi stessi. E anche se non capiamo più un cazzo di chi siamo (che è un po' la mia situazione ora), inconsapevolmente in qualche modo siamo sempre noi stessi. Non è che si smette improvvisamente di esistere quando si perde la propria identità. Cioè. Uhh... Avete capito qualcosa? (io no)
Quello che è strano è che non mi confronto mai con le persone a cui mi affeziono seriamente, o almeno, non ne traggo delle paranoie (per dire, sono consapevole del fatto che la mia migliore amica ha i capelli e il fisico che vorrei io, ma non mi sono mai depressa riguardo alla cosa, come invece è capitato che facessi per i capelli e il fisico di altre ragazze di cui ero invidiosa/gelosa) (stesso ragionamento vale per la vita sociale e diverse altre cose). Francamente non so perché succede questo. Oh beh, pensandoci, forse è perché in fondo non è necessario sentirsi migliore di chi ti accetta. Cioè, non ha senso. Se sai di essere accettato per come sei, che tu sia migliore o peggiore in questo o quel campo, smette d'importarti.

Diversi giorni fa il mio prof di fisica, vedendo che continuavo a specchiarmi nella porta a vetri della scuola e sul finestrino di una macchina parcheggiata lì vicino, se n'è uscito con qualcosa tipo "Smettila di essere così narcisista! Continui a specchiarti dappertutto". Ora, il mio cervello, già tartassato da quesiti esistenziali e paranoie varie, di fronte alla porta a vetri della realtà, così trasparente che non la vedi eppure così evidente quando ci vai a sbattere il viso, ha iniziato ad impazzire. Cioè, sono narcisista o no? Avevo pensato di chiedere a qualche amico cosa ne pensasse, ma formulando nella mia testa la domanda "secondo te se una persona si guarda sempre allo specchio vuol dire che è narcisista?", l'unica risposta possibile era "sì". Però non credo di essere narcisista. Oddio... Passo quantità industriali di tempo allo specchio. Appena mi trovo davanti uno specchio o una superficie riflettente ci do un'occhiata per vedere il mio riflesso. Ma non è per narcisismo. Solitamente il pensiero dei narcisisti è "oh ma guardami, sono bello, attraente, fascinoso e carismatico, e stimo il mio aspetto fisico con tutta la mia anima", mentre è di dominio pubblico il fatto che io NON mi sento assolutamente attraente, carismatica e via dicendo. Capita il giorno in cui magari, in un periodo di dieta + attività fisica/autostima che dirompe/buonumore particolare, mi vedo carina, ma non penso francamente di essere un granché, specialmente se comparata a tipo... TUTTE le mie compagne di classe. E non solo (oh, ecco che torna il discorso del confronto. Non uscirò mai da questa spirale di pensieri inconcludenti T_T). Però il punto è: se non mi specchio per narcisismo, PERCHÉ mi specchio? E mettiamo pure il caso che io fossi narcisista. Non voglio essere narcisista. Come faccio a smettere? Bah, forse è una questione di esser sicuri di sé, non lo so. Magari non sentendomi pienamente sicura di me tendo a verificare continuamente di non avere un aspetto mostruoso. Mi sembra molto assurda come ipotesi.

Per non rischiare di continuare per le prossime tre ere geologiche con queste congetture psicosomatiche, è bene che ora io smetta di scrivere. Uff, avere un subconscio folle è una cosa così difficile D:

venerdì 24 febbraio 2012

Risveglio.

In questi giorni c'è un sole fantastico. Sembra quasi primavera. È tutto così tiepido e luminoso. Quasi frizzante. Diresti che è primavera davvero, se non fosse per mucchietti di neve superstiti, e per il fatto che tutti gli alberi sono ancora spogli. Già mi iniziano a venire a noia i maglioni e i panni di lana, anche solo a pensarci, a quel sole. Fa strano tornare a casa da scuola avvolta in panni pesanti e nell'apatia più totale, con un clima del genere. Quando il tempo è così, in genere ho anche tanta voglia di fare. Divento frizzante anch'io. Dal profondo del mio torpore c'è qualcosa che si fa strada e viene a galla, come se sentissi che devo assolutamente fare qualcosa. Beh, fondamentalmente è un impulso a togliermi la giacca, dato che sotto un sole del genere sicuramente non ho freddo ^^
Però è strano, perché tecnicamente siamo ben lungi dalla primavera. Insomma, tutti sanno che appena inizia marzo spesso arriva un'altra nevicata di quelle pazzesche, e quindi, insomma, c'è da aspettare. Eppure è bello cominciare una giornata sotto una luce diversa da quella filtrata da una coltre di nuvole. Dà la carica, la voglia di muoversi. In una certa misura, ti scordi anche dei tuoi problemi, e parecchio volentieri, per giunta. Un'energia così dirompente che, se fossi capace, farei un salto mortale lì in mezzo alla strada, una piroetta al centro di una stanza, volerei, potendo. E' una delle poche cure veramente efficaci alle mie paranoie croniche. Improvvisare passi goffi sull'asfalto, coi tuoi amici che ti guardano, in mezzo a un tepore che la lana fa sembrare eccessivo. Il sole che picchia sulla testa mi fa sentire come se fossi sospesa in una dimensione parallela, tra un sogno e una scia di profumo, come quando in estate assapori l'aria con gli occhi semichiusi, in preda al caldo che ti dà alla testa.

Mi piace la primavera, nel giro di un mese o due tutto diventerà così verde e rigoglioso che sentirsi tristi o paranoici sarà un crimine. Quindi un ottimo periodo in vista per me +_+ (perché, perché sono così egocentrica? D:) (no, basta paranoie!)

giovedì 23 febbraio 2012

Nessuno ti sopporta.


Era il relativamente lontano 2008 (sì, sono molto in una fase del tipo facciamo-un-tuffo-nel-passato). Seconda media. L'anno più bello sotto alcuni aspetti, decisamente il peggiore sotto altri. A cominciare dalla compagna di banco che ho avuto per un periodo considerevole. Sì, alle medie iniziavi l'anno vicino a chi volevi tu, e poi la coordinatrice di classe (che da noi era fondamentalmente la prof di italiano) ti metteva vicino a chi decideva lei. Potevi capitare con la tua migliore amica (e ora che ci penso, proprio quell'anno capitò), oppure con la vipera più velenosa della classe, come mi era capitato all'inizio del secondo quadrimestre. Era una vera tortura. Non era piacevole, ogni giorno, venire tartassata da frasi del tipo "sei una cinna", "fai schifo come persona", "smettila di fare scena", "non sai ammettere che gli altri sono meglio di te" (frase, quest'ultima, devo darne atto alla mia simpatica ex compagna, purtroppo vera), "nessuno ti sopporta". La cosa bella è che questa era solo una piccola parte di quello che mi si diceva. Humpf. Solo perché ero intonata e mi piacevano le ore di musica. Ci mettevo il mio entusiasmo, cosa che altri fingevano solo di fare, per poi proferire con aria di sufficienza "le ore di musica sono una rottura". Mettendoci entusiasmo, mi accaparravo sempre le parti da solista e gli elogi della prof. Contemporaneamente, il resto della classe mi sputava veleno addosso, disprezzandomi, dichiarando che facevo scena e mi davo delle arie, e lanciandomi occhiate di fuoco e frasi estranee al concetto di rispetto ogni volta che provavo ad emettere una nota. Qualcuno che mi sopportava c'era, in realtà, ma non avevo davvero degli amici. Cioè, magari ne avevo anche, ma tuttora non sento più nemmeno una di quelle persone, a meno che non sia necessario. Con loro ne ho passate di tutti i colori, ho pianto, sofferto, avuto momenti difficili. Peccato che fossero proprio loro la causa del mio star male. E quella che ebbi come compagna di banco, seppure solo per un paio di mesi, probabilmente era la peggiore. Non so perché mi attaccasse continuamente, molti dicono che era per invidia, ma veramente, non avevano da invidiare proprio niente a me. Uno sarebbe portato a pensare "hai dei voti che più alti non si può, tutti i prof dalla tua parte, stare bene è facile". Effettivamente la scuola cercavo di viverla nel modo più positivo possibile. Non so perché, ne ho un ricordo relativamente positivo, ma appena inizio a pensarci e ad analizzare pragmaticamente la cosa, mi accorgo che stavo nel mezzo di un ambiente ignobile, dove nessuno mi sopportava per davvero, altrimenti perché avrebbero tutti smesso di cercarmi?
Chissà come sarebbe riprendere, in qualche modo, i contatti con loro, e iniziare a parlarci. Oppure far sapere loro come sono adesso. Logicamente ai loro occhi sarei sempre una sfigata ("Ma daaai, non sei mai ancora andata in Buca?!" "Ma coooome, non vai a pattinare alla meridiana!?" "Ma, e in piscina col moroso non ci vai?!"), ma sarebbe figo, specialmente di fronte a quella simpatica attaccabrighe, parlare allegramente della mia vita sociale.
Eppure in un certo senso sono loro decisamente grata, perché se non fosse stato per loro scoppierei in lacrime ad ogni minima critica o offesa. Sai com'è, dopo due-tre anni in cui un gruppo di persone ti dimostra il proprio disprezzo in modo continuo, ci fai leggermente l'abitudine. E io, come persona, non so incassare il colpo senza reagire. Per quello molte volte arrivo a piangere anche per una parola o qualcosa. O controbatto, o piango. Se sto zitta e mi tengo dentro tutto, appena mi trovo in un luogo in cui so per certo che nessuno mi vede inizio a piangere come una disperata. La cosa strana è che mi è capitato deliberatamente di piangere in palestra, durante una partita di calcetto in cui ero spettatrice, e anche in auditorium, durante l'assemblea d'istituto. Insomma in mezzo alla gente, e nessuno se n'era accorto. Ma questa è un'altra storia. Ahh, la modalità invisibile a volte fa miracoli :3

lunedì 20 febbraio 2012

Due anni fa.


Era tutto cominciato così, con quel pazzo sogno, mio e del mio maestro di chitarra, di provare ad entrare in Conservatorio. E a dire il vero, era cominciato tutto molto prima. Aveva tutto avuto inizio un giorno, mi sembrano passate intere ere geologiche da allora, anche se magari nell'ottica di una qualunque persona sarebbe solo qualche anno, cinque o sei anni, ero in quinta elementare quando per la prima volta sentii dal vivo strimpellare una chitarra classica. Giorni relativamente felici, quelli di quinta elementare. Già sotto il profilo sociale iniziavo a delinearmi mezza sfigata, ma era qualcosa che dipendeva solo da me. Sotto certi punti di vista ero stupida, col senno di poi non avrei fatto determinate scelte, ma dopotutto non si nasce imparati, e del senno di poi son pieni i fossi, come si suol dire. E non dimentichiamo, ovviamente, che l'anno dopo avrei iniziato le medie, e la cosa mi faceva sentire alquanto grande. All'epoca avevo un concetto abbastanza relativo del sentirsi grandi, forse perché ero la più piccola della classe, per mese di nascita, o non so per quale astruso motivo, ma in qualunque contesto io fossi mi sentivo sempre piccola relativamente a qualcun altro. Insomma, già alle elementari il mio subconscio era folle. Vi lascio immaginare come sia adesso. Ma sto divagando. Le medie del mio paesucolo di montagna hanno la meravigliosa caratteristica di essere a indirizzo musicale. Vale a dire che ci sono dei professori che insegnano i ragazzi a suonare uno strumento oltre al flauto dolce di ordinaria amministrazione. E io, non so perché, ero profondamente affascinata dal pianoforte. Ero determinata a suonare il piano, a dispetto di ogni lato negativo o complicazione che potesse sorgere in seguito. Casa mia era piccolissima, lo spazio per un piano dove lo trovavi? Ma non mi importava, ero pienamente determinata. Finché una mattina ci piombò in classe questo professore di chitarra, un metro e mezzo di puro carisma ed espressione, e appena iniziò a suonare fu qualcosa di incredibile. Non ricordo esattamente la sensazione, o comunque non la so descrivere a parole in questo momento, l'unica cosa che ricordo è che qualche ora dopo ero pienamente decisa a suonare, per i successivi tre anni, la chitarra. Così, quel chitarrista diventò il mio professore, e mi fornì l'ancora di salvezza, forma d'espressione, arte e linguaggio a cui tengo di più: la musica. Non riuscirei a stare senza per un solo giorno. Se non avessi modo di ascoltarla, suonerei. Se non avessi modo di suonare, canterei. Canto sempre anche in condizioni normali, quindi posso affermare che canterei 25 ore su 24, in mancanza di altre risorse. Suonare era fantastico, qualcosa di nuovo e mai sperimentato. Ricordo che in prima media l'attaccamento che avevo nel mio strumento, in senso prettamente materiale, era parossistico (traduzione: tendevo ad abbracciare/baciare continuamente la mia prima chitarra, e non mi biasimo, penso che allora fosse la mia unica vera amica). Ma dopo la terza media, l'esame e le vacanze, poco meno di due anni fa, beh, non so cos'è successo. Penso che la mia voglia di suonare abbia complottato in segreto di costruirsi una bella villa sulla Luna, e vi si sia trasferita uscendo in punta di piedi. Probabilmente organizza grandi feste ogni sabato sera, insieme a tutte le altre voglie di suonare perdute. Un giorno la rapirò e me la riprenderò, ma per ora ne sono sprovvista. Da allora non so perché ho continuato a suonare. E ora che mia madre è uscita dalla mia camera, dopo una ramanzina lunga interi minuti, in cui mi ribadiva di nuovo tutti i sacrifici che avevamo fatto come famiglia, anche solo per farmici entrare, in quel benedetto Conservatorio, e dopo essere passata alle minacce, dato che è la terza sera di seguito che non suono, ho iniziato a farmi delle domande. Tipo. Perché ho continuato comunque ad andare avanti? Nonostante per un anno io non abbia quasi suonato? Nonostante la prima persona che non crede in me sono io? Perché ho scelto di arrancare ancora un anno? Perché ho deciso di iscrivermi, due anni fa? Perché ho scelto di suonare uno strumento, in quinta elementare? E probabilmente la risposta è: tutta colpa della musica, che continua a spingermi, tirarmi, mandarmi avanti. Mi manda avanti da un anno, mi porterà a duettare con un violoncellista, mi manderà all'esame di conferma, dentro fino in fondo o fuori per sempre, e ormai i giorni che mancano sono sempre di meno, e se passerò avrò di nuovo la facoltà di scegliere, il diritto di scegliere, l'onore di scegliere ma anche l'onere di scegliere. Mica una scelta facile. Si tratterebbe di dire, di nuovo, dentro fino in fondo, o fuori per sempre. I professori, al Conservatorio, potranno stabilire se accogliermi nella cerchia dei musicisti di professione, o sbattermi fuori a calci nel culo. Ma nel caso in cui io avessi la possibilità di diventare musicista, l'ultima parola spetterebbe sempre a me. Sì o no. Sembrerebbe così semplice, e invece, nella sostanza, andrei a decidere che fare nei prossimi otto, nove anni della mia vita. E l'altra cosa che mi spinge a non rinunciare, è quel fuori per sempre. Essere preclusi dal poter raggiungere qualcosa per il resto della propria vita, questo sì che mi sembra un dramma. Insomma, temo proprio che andrò avanti finché di me non ne avranno abbastanza. Oltretutto, anche avere una bellissima laurea in musica, non sarebbe male. Ma ora come ora non so nemmeno se arriverò all'anno prossimo.

Se avessi saputo che a dieci anni avevo praticamente in mano il mio destino, se avessi potuto vedere cosa sarebbe successo, cosa sarebbe cambiato nel dire un sì o un no, ora non so se sarei qui. Se potessi vedere ora come sarò tra 10 anni, forse tacerei. Ma come sarò tra 10 anni, fondamentalmente, lo sto decidendo anche adesso, alla luce del fatto che la vita è piena di sì e di no. Mia madre mi ha chiesto: "Hai intenzione di suonare, domani?". E io le ho risposto di sì. Non so ancora se l'ho fatto per poter andare al corso di teatro, o per intenzione sincera. Forse entrambe o forse nessuna delle due. Chi può dirlo. E quindi ora non mi resta che smettere di ciarlare, chiudere il pc, e vedere un po' dove mi porta la mia scelta.

domenica 19 febbraio 2012

Insonnia.

*scribble scribble scribble*, fa la mia matita correndo su un foglio a righe, alla luce pallida e stanca di una lampadina a neon accesa nel cuore della notte.
Ho voglia di scrivere, non so nemmeno cosa. C'è un che di inespresso in me, nel mio stato d'animo. C'è un'ombra nel petto che non mi fa dormire, il mio cuore in sommossa contro i miei pensieri, e i miei pensieri che vorticano gli uni sugli altri in un'accozzaglia di vapore, indistinguibili e ineffabili. E quel vociare indefinito, quella guerriglia di punti di vista che mi appartengono, echeggia e rimbalza in tutti gli angoli della mia anima poliedrica. E io non sento più niente.
Mi sento in combutta con me stessa, per distinguere un pensiero, accettare un mio modo di essere o di apparire, o anche solo carpire qualcosa di sensato in quel groviglio di pensieri.
Ricordo di dediche che, con tutta la buona volontà del mondo, recitavano "Non cambiare!". Perché? Come si fa? Che vuol dire? Credo significhi qualcosa come "buona parte del mondo ti accetta per come sei ora, quindi non fare la fatica di diventare qualcun altro". E' un messaggio molto positivo. Oppure molto ipocrita. Il problema è che la maggior parte del mio mondo sono io, sono le mie mille facce, la mia anima centellinata in cui ogni briciola ha un punto di vista. E nessuna di quelle gocce di me mi accetta del tutto. Quindi ho bisogno costantemente di cambiare. Stupido mondo incentrato su di me, il mio. Persona egocentrica che parla sempre di sé, che cerca ciò che è agli occhi degli altri, io. Non so cosa sono, chi sono, se troverò mai una risposta al mio quesito esistenziale. Non mi resta che raccogliere opinioni dal profondo di me stessa, ma ne viene fuori una massa confusa di pensieri contrastanti. Cerco di capire chi sono, allora, per gli altri, ma tra chi mi ama e chi mi detesta, non concludo comunque niente. Potrei anche segnare tutto quello che evinco su un foglio, per poi provare a tirare le somme, ma rimarrebbe tutto così, indicato, come un polinomio. Non puoi sommare a e b se non sai quanto valgono, non puoi ridurre una persona a un aggettivo o a una caratteristica, secondo la sua identità, perché tutto ciò che noi siamo è concettualmente astratto. Sentimenti, modi di essere, relazioni, opinioni. Non puoi riassumere una complessità simile in una parola, cosa che puoi invece fare con l'apparenza. Apparenza, pare che al mondo non conti altro. Purtroppo è una condizione che ci è imposta dal nostro subconscio, ed è più forte di noi, a volte. Io, stereotipata come ragazza sfigata, non ho la minima voglia di indagare oltre l'apparenza di una che magari a colpo d'occhio etichetto come fighetta sofisticata e moralmente inconsistente. Né magari lei ha la minima voglia di fare altrettanto con me. Ma questo è un altro paio di maniche.
E per l'ennesima volta, non ricordo più dove volevo arrivare. Ma almeno mi è venuto un po' di sonno.

sabato 18 febbraio 2012

Alone In Sorrow

Come avevo detto che avrei fatto 5345343 ere geologiche fa, eccomi a pubblicare il testo di quella famosa canzone depressa e tagliavene che avevo scritto, ai tempi della depressione cronica del venerdì. Beh, anche ieri, tra la cervicale, le cadute sui pattini, le prese in giro, le battute sagaci del prof di ginnastica e le compagne di classe che sprizzano felicità da tutti i pori e ti sbolognano il registro solo perché sei rappresentante di classe mentre invece saresti sull'orlo delle lacrime e della crisi di nervi, non ero certo messa bene. Ma basta parlarne, è un capitolo chiuso, potevo parlarne subito e non l'ho fatto, potevo piangere di nuovo a dirotto sola nella mia stanza, ma non l'ho fatto, e quindi va bene così. Ecco a voi il testo più depresso del mondo, ecco a voi quello che la mia anima canta quando sono sola e sperduta in un mare di pensieri scuri e fumosi.


Music of teardrops
Falling on nothing
Inside the crowd
I cry alone

No-one notices
Sadness on my face
If they noticed
They wouldn't care

It feels like I'm
Fading away
In a nightmare
Drowning into
Sorrow and pain
Dancing with my
Sick wicked fears
Losing my grip
On reality

I can't help being sad
About myself
I can't face my fears
I can't let them go

I want to change
The shapes I'm in
I'm trapped in my body
I'm trapped in my pain

They won't see my face
Wasting in sorrow
They will not stop my
Falling tears

Hatred surrounds me
I am defenseless
But what they care about
Is just themselves

It feels like I'm
Fading away
In a nightmare
Drowning into
Sorrow and pain
Dancing with my
Sick wicked fears
Losing my grip
On reality

They won't help me
From falling to pieces
My heart's laying shattered
They won't mend it, no

My soul's worn out
Alone in the dark
I'm tired and hopeless
But I can't get out

My life seemed perfect
I had found my place
My smile was shining, beaming

But rain started falling
Down from my eyes
Into my soul

Now I am nothing
Now I have no place
Now I have shadows
All over my face

Now I feel sorry
Paranoid, jealous
And I start crying
Without a reason

Can't you see
The pain that's
Flowing
Out of
Me?

It feels like I'm
Dying.

mercoledì 15 febbraio 2012

Warmness On The Soul.


Tepore nell'anima. Quanti ricordi, quante lezioni di vita che girano intorno a questa canzone.
Era l'anno scorso. Era San Valentino. Ed ero terribilmente ed inguaribilmente innamorata. Eravamo vicini, e c'era questa canzone. E mi ricordo che ero totalmente esagitata, perché ero ben consapevole che avrei potuto fare qualunque cosa, in quel momento. Una carezza, un bacio, un abbraccio, una qualche scena madre di questo tipo. Avrei potuto, ma non ho fatto niente, e prima riflettevo su questa cosa e mi è venuto in mente che probabilmente ho fatto bene così. Non ho fatto niente e in un primo momento mi sono sentita stupida. Ma tanto, pensavo amaramente come mio solito, chi voglio prendere in giro? Resterò sola e innamorata, e nessuno se ne accorgerà. Era un periodo abbastanza felice, quello, riuscivo a vedere il lato positivo di tutto nonostante di lati positivi ce ne fossero ben pochi, e in effetti in fondo quella punta di amarezza c'era sempre. Avevo avuto l'occasione più perfetta che mi potesse capitare nel giorno più adatto dell'anno, ma, ironia della sorte, ero in compagnia del ragazzo sbagliato!
E il giorno dopo (che per inciso è il 15 febbraio, proclamato da qualcuno festa dei single) sapete che è successo? Durante l'intervallo ho incontrato un ragazzo troppo simpatico, che avevo conosciuto cinque giorni prima, e con lui ho passato tutti quei quindici minuti a ridere, scherzare e chiacchierare passeggiando per il corridoio, sotto gli occhi di tutta la scuola (e in effetti tutti quanti ci davano già per fidanzati, prendendoci in giro). Mi sentivo strana, frizzante. Mi piaceva stare con lui, volevo stare con lui e me n'ero resa conto a partire da quel giorno. Sono passati 365 giorni e ora quel ragazzo è il mio ragazzo sul serio.
Uno in teoria penserebbe che il destino voglia vedere incrociate le strade di chi magari il giorno di San Valentino fa/dice/ascolta qualcosa di romantico; non due che si incontrano per pura serendipità in un corridoio di scuola superiore e iniziano a parlare del più e del meno, per di più il giorno della festa dei single.
Ma in realtà le cose romantiche e gli incontri importanti non si fanno solo a San Valentino. Hanno tecnicamente una probabilità su trecentosessantacinque, giusto? Una su 366 negli anni bisestili. Zero se applichi le leggi di Murphy, ma questa è un'altra storia, e si dovrà raccontare un'altra volta (non potevo non citare Michael Ende in una frase del genere). La cosa ancora più lampante e importante, però, è che effettivamente quando si è innamorati di qualcuno si interpreta ogni incontro come un'occasione, ogni sguardo come un segno d'interesse, ogni saluto come una possibilità in più di essere corrisposti, mentre magari dall'altra parte c'è solo amicizia. Penso che se avessi fatto qualcosa quel giorno ora avrei un amico in meno e probabilmente sarei single. Avrei oltrepassato un limite e poi non sarei riuscita a ripartire. Ma chi può dirlo con certezza?
Quindi, ieri ho trascorso il mio primo San Valentino da fidanzata. Non c'è stato tutto questo gran festeggiamento, alla fine, solo tre muffin al cioccolato, a forma di cuore tra l'altro. Una cosa parecchio carina. Però mi sono svegliata con quella canzone, con Warmness On The Soul. Credo il risveglio più bello che io abbia avuto ultimamente. Ed erano le sette meno venti di mattina, quindi teoricamente avrei dovuto essere in uno stato catatonico. Un anno dopo, stesse note, stessa intro col piano che ti toglie il fiato, stesse bellissime parole, stesse sensazioni, ma io sono cambiata radicalmente... Uno dei mille poteri della musica è questo.

domenica 12 febbraio 2012

Senso di incompletezza (interrogativi esistenziali).

Ma alla fine cos'è l'incompletezza?
Cioè, perché ci si sente incompleti? Perché mi sento incompleta in questo momento? È l'impressione che manchi qualcosa che non si conosce ancora e che migliorerebbe le cose, o la mancanza di qualcosa che si ha avuto ma non si può più avere? E se invece fosse un conflitto tra lati contrastanti di uno stesso carattere?  O un'accozzaglia di pensieri dietro alla quale in realtà non c'è niente, e quindi ci si sente vuoti?
E che devo fare perché passi, questo senso di vuoto che si espande, di nulla che avanza? C'è un modo perché passi? Se tento di esprimerlo, si accentua, e se tento di ignorarlo, si accentua comunque. O quantomeno rimane lì a dare noia, come quei rumori troppo squillanti e fastidiosi che si ripetono, tipo gli antifurti o le sirene o gli allarmi. Dopo un po' diventi indolente, ma c'è sempre un non so che di esasperato in te, una speranza che tutto finisca, che ci sia silenzio.
Cosa significa, se ci si sente incompleti? Cosa vuol dire? È un segnale? Un allarme? Magari che ne sai, è fame. Come quei languorini che ti vengono quando ti annoi e inizi ad avere voglia di mangiare schifezze. È così strano.
O forse è un rimorso per qualcosa di non detto o di non fatto. Esiste un modo di elaborare definitivamente i rimpianti verso il passato? Oppure rimangono sempre lì latenti, e sono la spiegazione alla voragine che mi sento dentro? No, dubito che sia così.
E allora, cosa? Cosa mi manca? Cosa non ho fatto, detto, vissuto? Devo assecondare i miei vizi per stare in pace con me stessa? Non credo. Delle due è il contrario. Di cosa ho bisogno di liberarmi?
Già. Liberarmi. Perché, tra l'altro, potrebbe darsi che non sia qualcosa che manca, ma qualcosa di troppo. Cosa? Perché?
Mi domando persino se sia giusto che io mi scervelli così, se questo mio pensare mi porterà a qualcosa di positivo, oppure se è semplicemente un tratto discendente nella cosinusoide della vita. Ok, questa della cosinusoide potevo risparmiarmela perché sa molto di tentativo impastrocchiato di frase filosofica. Però non ho resistito :3
Credo che aspetterò, tanto se pure ci penso non riesco a venire a capo di nulla. Vorrei essere una psicologa. Chissà se gli psicologi comprendono loro stessi, oltre che gli altri. Facile dare un consiglio e fornire un punto di vista esterno... Ma dare un consiglio a se stessi? Come?
Ci si dedica allo studio di ciò che è infinitamente grande o infinitamente piccolo, o anche a ciò che giace nel profondo dell'anima di qualcuno, nella sua logica e nei suoi pensieri. Ma alla fine penso che esplorare dentro ciò che giace nel profondo di sé, è quello a cui non si dedica nessuno. Siamo esseri incapaci di analizzare noi stessi. Perfettamente in grado di osservare, valutare e giudicare gli altri, ma quanto a noi stessi, non arriviamo più in là dell'immagine riflessa nello specchio.

Superficiali.

venerdì 10 febbraio 2012

Paranoie in-line.

Pattinare è una cosa fantastica! Ho male alle gambe, sono stata in assoluto la persona che è caduta più volte, ho riconfermato la mia reputazione di goffa personcina capace di cadere da ferma, ma se tutto ciò è in nome del pattinaggio va bene.
Cadevo a minuti alterni e puntualmente mi rialzavo. È rialzarsi che conta. Sempre. Mi distraevo e perdevo l'equilibrio, provavo a prendere velocità e perdevo l'equilibrio, provavo a essere meno rigida e perdevo l'equilibrio - perdevo l'equilibrio e cadevo - cadevo e mi rialzavo ridendoci sopra, e ogni volta andavo un po' meglio.
Ci rido sopra. Ho gli occhi lucidi ma devo ridere. Sorridere. Non mi dispiace la mia reputazione, me ne infischio della mia reputazione, io sono io e vado bene così, vado bene così, vado bene così...
Erano tre anni che volevo provare a pattinare, e le lezioni erano state fissate da un bel po', ma solo oggi ci sono riuscita. Rimane comunque che è stata un'esperienza. Insomma, posso dire in linea di massima di sentirmi una persona migliore. Il paradosso è che sono potenzialmente la peggior pattinatrice della classe, ma anche quella che probabilmente si è divertita di più. Non sono caduta per i primi dieci minuti, poi ho iniziato a perdere sempre più spesso l'equilibrio, e poi ho incominciato a cadere quasi tutte le volte in cui perdevo l'equilibrio. In pratica un processo inverso, dato che in teoria prima si cade, poi ci si prende la mano. No? Il male che ho alle gambe in teoria dovrebbe essere dovuto più alle cadute che alla fatica. In realtà le cadute non mi hanno fatto niente. La cosa che però mi dispiace è che questa prima pattinata è stata piuttosto fallimentare.
La mia caduta è stata seguita da un "Sììì!" corale. Come da copione. Non che la cosa mi dispiaccia. Non mi spiego, però,  perché a farmi venire le lacrime agli occhi sia stata la reazione del maestro di pattinaggio, piuttosto che quel boato irrisorio. Forse il motivo in realtà è molto semplice. Agli sbeffeggi sono abituata.  A essere difesa da qualcun altro, no.
Insomma, non dico che sia stata un'esperienza proprio drammatica, anzi, mi sono divertita parecchio e anche altri sono caduti (in più avevo "una spinta da manuale", o almeno così mi hanno detto. Almeno in qualcosa potevo essere presa ad esempio), ma non ero sciolta. Per non cadere dovevo stare col busto in avanti e le gambe flesse, e per non deconcentrarmi ero costretta a stare rigida. Facile dire "stai sciolta", quando appena provavo a rilassarmi, se c'era qualcosa di me che si scioglieva, era il mio equilibrio instabile. Oh, e anche la mia allegria imperturbabile, certo.
Fallimentare, fallimentare, fallimentare! Continuo a cadere. Che palle. Che mi aspettavo, non si impara a pattinare come professionisti dall'oggi al domani. Io specialmente, poi. Prestazioni fisiche nulle, equilibrio scarso, coordinazione ancora peggio. Ma chi voglio prendere in giro? Però ridono tutti e, beh, riderò anch'io. Non posso essere così arrendevole dopo aver festeggiato tanto per il fatto di poter pattinare. Se c'è qualcosa che non deve cadere, è la mia maschera. Non devono vedermi piangere e non piangerò.
Le cose che mi facevano desistere dal fare una scena madre scoppiando in lacrime e uscendo teatralmente dalla stanza erano due: intanto, dovevo dimostrare a una certa persona che mi considerava una sfigata, che magari sono ancora imbranata nel fare le cose, ma non piango più per questo; e poi, ogni volta che mi rialzavo ero un po' più forte e sapevo una cosa in più da non fare per non cadere. Insomma, il discorso è ingarbugliato, ma il concetto è quello.
"Oh, ma che bello è? Quest'estate andiamo ai campi e pattiniamo insieme!". Certo, certo. "Sì infatti dicevo anche prima con la Mary, è stato fantastico! Poi visto, io e te siamo più o meno allo stesso livello! Quindi magari tipo andiamo solo noi due a pattinare". Sogni di gloria e vita sociale infranti nel giro di cinque minuti. Tsk. Di che m'illudevo.
Ad ogni modo, la cosa certa è che comprerò i pattini e le protezioni, e andrò ad allenarmi tutti i weekend, appena sarà più caldo. Insegnerò a pattinare ai miei amici e ci andremo insieme. La pista ai campi sportivi c'è, e non la muove nessuno. Potrei anche dimagrire, se pattino spesso *-* Oh, e ovviamente, potrei andare a pattinare col mio ragazzo. La vedo molto romantica come cosa.
"Poi un giorno andiamo a pattinare insieme, e io sarò così bravo rispetto a te da farti rendere conto di quanto sei una schiappa!" "Ah ah ah!!! Ma tanto che tu sei il re degli sport era già assodato, quindi..." Quindi vaffanculo, ecco. Se stai con me solo per dimostrarmi che negli sport faccio schifo, grazie tante, ma l'avevo già capito da sola. E già da tempo, tra l'altro.

... Ok, scherzavo. In realtà è stata una mattinata con dei risvolti subconsci tremendi (ed è meglio che io non inizi a parlare della gente che non ti saluta, perché potrei fare dei nomi e insultare delle persone in pubblico, ma non voglio incappare in cavilli giuridici a quindici anni, grazie), ma non avevo voglia di farmi vedere incazzata, perché ero felice di aver pattinato, ero felice di vedere il mio ragazzo anche se faceva comunque l'idiota, ero felice che ancora nevicasse, e così fitto!, fuori era tutto così bianco, e così mi sono tenuta dentro la frustrazione fino a questo momento. Oh, io me lo sento che la mia incapacità negli sport mi condurrà al suicidio. Oppure alla morte per incidente durante una partita. Beh, non farò una bella fine, sicuramente. Ma l'interrogativo più grosso resta questo: vale la pena di fingere che sia tutto a posto per qualche ora, per poi vedersi tornare tutta la tristezza mandata giù a fatica in una maledetta nausea emotiva che non mi passerà per le prossime cinque ere geologiche?

L'ho già detto, io non mi capisco.

giovedì 9 febbraio 2012

Friends can save you.


Ah, l'amicizia, sentimento nei confronti del quale ho avuto un rapporto molto controverso, tempo fa. Non si sa bene come definirla o cosa sia, ci hanno provato decine di filosofi in ogni epoca e io certo non mi vado a cimentare nell'impresa, dato che ne caverei solo una matassa di pensieri ingarbugliati. Arriverei a contraddirmi due o tre volte nella stessa frase, ma non è di questo che ho intenzione di parlare.

Insomma, quello che vorrei sostanzialmente dire in questo post è grazie ai miei amici. Perché a differenza di molte persone che ho incontrato in passato e di recente, quando ho bisogno loro, e solo loro, ci sono. Perché straparlo di me, ma loro mi sopportano e non me lo fanno pesare troppo, ma sanno anche dirmi basta, porre un limite alle mie paranoie e alle mie forme di narcisismo. Perché anche loro parlano con me dei loro problemi, dimostrandomi che non sono solo un impiastro complessato che vessa la gente tentando di risolvere le proprie beghe. E non è una cosa così scontata, in realtà. Una volta, avevo come migliore (e forse unica) amica una persona che era sempre disposta ad ascoltarmi, ma di sé mi raccontava sempre meno, sempre meno, sempre meno. Confidava quello che sentiva alle altre, che vestivano meglio di me, uscivano più di me, avevano una vita sociale fiorente e regolare e di fronte a cui mi sentivo uno zero, considerato anche che ero e sono sempre la secchiona della situazione, cosa che alle medie non ha mai giovato troppo alla mia reputazione, e insomma, il tutto non mi faceva troppo piacere. Vorrei essere la miglior cantante della scuola con una normale media del sette, era la mia corrente di pensiero in quegli anni. Mi chiedo come sarebbe la mia vita se la mia media fosse di due voti più bassa. Ora non sacrificherei la mia media, che oscilla tra otto e nove, per niente al mondo. Pensavo compromettesse in qualche modo il mio rapporto con gli altri, ma in realtà, una volta trovato il modo giusto di esprimere me stessa e le persone giuste intorno, sono giunta alla conclusione che non centra assolutamente niente.

E quindi, in linea di massima, ciò di cui vi ringrazio, e spero che voi stiate leggendo perché per me è importante che voi lo sappiate, è di avermi resa libera di essere me stessa, di ridurre la paura costante di essere abbandonata e la sensazione opprimente di essere sola a un semplice pensiero negativo occasionale. Se pure con voi io tenti di apparire come qualcosa che non sono, voi in qualche modo riuscite a far emergere quello che io sono davvero, senza che io me ne renda conto. Grazie a voi emergo, mi riconosco, miglioro.
Insomma, avevo bisogno di dedicare qualcosa a voi, come tante volte voi avete dedicato qualcosa a me, cose come una canzone, una frase, un disegno, un gesto o anche semplicemente una fetta del vostro tempo. Anche se ci vediamo di rado o non ci siamo mai visti, voglio che mi sentiate vicina e disponibile. E al momento, la cosa più immediata che posso fare per raggiungervi tutti, è scrivere (potenzialmente al mondo intero, ma sono dettagli) quanto siete importanti per me, anche se conosco molti di voi solo da un anno o poco più, e tutti gli altri da ancora meno.
Beh, ci ho messo un'ora a scrivere il tutto, ma in conclusione sappiate che vi voglio bene, e che farò sempre il possibile per aiutarvi se sarete in difficoltà, tirarvi su il morale se sarete tristi, o semplicemente tenervi compagnia se avete tempo da perdere, perché tutti voi meritate questo e altro.

martedì 7 febbraio 2012

Controvento.


Così mi sembra di andare, alla deriva, sperduta. Non so se andare avanti, ma non voglio tornare indietro e non voglio fuggire via per una scorciatoia, così provo ad andare avanti comunque, lottare contro il vento, contro quello che non vedo e quello che non so, contro il futuro, contro chi la pensa diversamente da me, contro qualcosa che è più grande di me. Contro la tristezza che mi assale anche solo per una parola, un fatto, un gesto, un pensiero.

Che strano quando ogni singola parola o immagine sembra esistere solo per arrecarti un'offesa.

Tengo la testa occupata con i miei mille impegni, il mio sedativo il computer, informazioni su informazioni che riguardano chiunque fuorché me. Impegni, cose da fare, prove da superare, ostacoli da scavalcare, perché se li aggiri ti ricompaiono davanti - la vita non funziona così, non puoi rimandare, non puoi fermarti, superi le difficoltà o sei fuori, tiri avanti o sei fuori, ti rialzi o sei fuori, puoi solo andare avanti, non importa da che parte corra il vento, non importa se sei su una metaforica salita ghiacciata; avanti finché la vita ti pulsa dentro, e devi ringraziare di essere in gioco e basta. Leggo frasi idiote, guardo immagini stupide, parlo di cose futili, dico una barzelletta, anticipo una freddura, rido, diresti che è un'esistenza a suo modo tranquilla, e a volte invece vorrei fermarmi. Far cadere la maschera che metto quando voglio far credere che vada tutto bene. Quando sono sola, isolata, circondata da ossessioni, ossessioni in carne e ossa che chiacchierano amabilmente a proposito di ciò che fa uno sputo su una scala o una duna nel deserto. Quando i miei amici sono lontani chilometri e invece avrei bisogno di loro, ma non posso contattarli nemmeno. Quando a sapere veramente come sto e a tirarmi su il morale c'è solo me stessa, ma l'unica cosa che me stessa è in grado di fare, a volte, è piangere. La fregatura è che non sono in grado di diventare invisibile quando torna comodo a me. Né fermare il tempo finché torna comodo a me. Che poi, mi sono sempre chiesta se il tempo esista o meno, ma tutto è relativo e probabilmente anche il tempo lo è. Se non esiste, mi domando come poter fermarlo. O come poter andare avanti, o indietro.

Poi, è il mondo che a giorni alterni si coalizza contro di me, oppure sono io che inizio a vedere le cose in modo spaventosamente negativo? Sono gli altri che si dimenticano di me, o sono io che mi faccio piccola per passare inosservata? È colpa mia, che voglio passare per felice indossando la mia maschera di cera, o degli altri, che mi guardano e non mi vedono, che mi ascoltano e non mi sentono?

Spesso, mentre mi pongo questi interrogativi mistici e ripenso a situazioni in cui mi sono trovata, mi rendo spaventosamente conto che quella più egocentrica ero io. Che gli altri avevano problemi peggiori per le mani ed io ero lì a mormorare "voglio andare a casa, che palle", pensando "aiuto, sto morendo dentro", quando avrei potuto dialogare, aprirmi agli altri, lasciare che gli altri si aprissero a me. E in questo periodo mi si rimprovera sempre più spesso di star lì da sola a farmi i fatti miei mentre potrei aiutare. Volendo sono egoista verso me stessa, persino. In questo momento mi sto giocando più o meno il mio futuro, scrivendo frasi insensate da persona insensata mentre potrei star studiando qualcosa di importante - la musica, per esempio. Invece no, perdo il mio tempo passivamente, occupandomi solo di me, pensando solo a me, ma alla fine chi sono io per il mondo, cosa ho fatto per arrogarmi alcun merito, per avere ben più di un amico, per essere quello che sono? Perché non mi rialzo?

Continuo a pensare "aspetterò un altro po', poi inizierò a darmi da fare". Un'ora, due, un giorno, una settimana. Il tempo passa e io sono sempre io.

E più cerco di guardarmi dentro, più mi accorgo che non ci capisco più niente.

sabato 4 febbraio 2012

Tutto quanto è così meraviglioso.

Innevato. Bianco, fulgido, brillante, incontaminato, travolgente. Quasi invitante. Distese infinite di neve in cui avrei voluto stendermi e affondare.
La neve ti illude.
E' bianca, morbida, accogliente. Ci sprofondi dentro se provi a camminare. Poi ne prendi una manciata e non ti senti più le mani. Ti ruba il calore e scappa. Pensi sia solida, invece sprofondi non appena la tocchi.

Mi piace la neve. E' bello poterci stare in mezzo, vederla cadere, sentirla posarsi con un suono delicato come il battito di un paio d'ali. Riempie lo spazio di freddo, lo svuota da ogni rumore molesto. Anche un grido sembra solo un'eco lontana, come in uno strano sogno psichedelicamente bianco.
Ogni posto cambia aspetto, non distingui più i sentieri dalle aiuole, le strade dai marciapiedi. A un certo punto ho pensato "Sono a Narnia" (battuta molto triste, ne prendo atto).

Ma per quanto la neve mi renda estatica, c'è qualcosa che non va. Non capisco cosa, non capisco perché. E' allo stesso tempo una specie di senso di angoscia, malinconia, disillusione e crisi d'astinenza. Non riesco a guardare fuori e vedere la neve senza che mi assalga questa sensazione. Qualche anno fa la chiamavo "il buco", e ne ero continuamente tormentata. Era come un rumore di fondo, mi distraevo, facevo altre cose, ma appena la mia mente si svuotava, quella sensazione prendeva il sopravvento. In realtà non cessava mai di esistere. Forse non smette mai di esistere, una sensazione di vuoto permanente in ciascuno di noi. C'è chi è capace di non darle ascolto, c'è chi è pieno di amici e quindi non se ne accorge... E io in questi giorni mi sono ritrovata, proprio per la neve, le giornate svuotate. Forse le passo anche in modo deleterio, senza fare assolutamente niente, costretta dalla neve a restare in casa, tentata per pigrizia di continuare a non fare niente. E meno faccio, meno ho voglia di fare. Giorni riempiti di bianco, svuotati dal bianco. Sembra un paradosso.

E poi la soluzione del problema si fa chiara e lampante. La neve ci affascina, ci circonda, ci sommerge. Ma ci divide. Ogni fiocco che cade è un ostacolo in più. Non ti vedrò, non potrò stare con te e non potrò sconfiggere questo senso di vuoto finché la neve non andrà via. Non è difficile scegliere, tra te e la neve. Il problema è che la scelta non spetta a me.

giovedì 2 febbraio 2012

Altalena.

Da piccola era il mio passatempo preferito, se capitava che io andassi al parco. E non nego che anche adesso, se non c'è gente e mi trovo a passare da lì, un giro in altalena lo faccio. Mi libera. Che sia freddo, caldo, inverno, estate, mattina, sera. Dal momento in cui mi siedo e inizio a spingermi non penso più a niente, chiudo gli occhi e sento solo l'aria che mi passa tra i capelli e mi accarezza il viso. E' l'unico sistema senza effetti collaterali che ho di passare dieci minuti senza paranoie, senza lui/lei-è-migliore-di-me, senza nessuno-mi-ama. Ma non è semplicemente questo. E' che andare in altalena mi aiuta proprio a elaborarli, i pensieri negativi. Può sembrare un discorso strano di una persona pazzoide (e in effetti lo è), ma se ho passato quello che ho passato, la mia resistenza alle delusioni è molto scarsa ma comunque sono qui per raccontarlo, un motivo penso che ci sia.

La cosa brutta è che l'altalena piace tanto anche al mio umore, che certe volte si diverte a cambiare repentinamente da un momento all'altro. Come l'altro giorno. O come il primo giorno di scuola. E non è affatto piacevole, per me. Sì, insomma, è stressante iniziare a disperarsi per delle bazzecole e dieci minuti dopo fare i salti di gioia per motivi altrettanto futili. Più che altro è qualcosa che non mi spiego. Ok, è assodato che basta un gesto o una parola per cambiare diametralmente l'andamento di una giornata, ma le mie giornate cambiano andamento più o meno sei o sette volte nell'arco di 24 ore... E non penso sia normale.

Nevica ancora, e ancora, e ancora. Smette solo di notte. Per domani però hanno messo sole. Ma intanto le scuole sono chiuse lo stesso, e io passo le mie giornate a bighellonare, bighellonare, bighellonare. Beh, direi che male non mi fa, dato che di norma sono sempre piena fino al collo di impegni...

Ok, vado a bighellonare ancora un po'.