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lunedì 30 aprile 2012

Fastidio. Tanto, tanto fastidio.

Tanto fastidio, mi danno, quelle persone che pensano io sia una bambina, ancora. Io non lo so! Non lo so cosa devo fare. Lo sanno persino loro che rispetto a una qualunque mia coetanea sono più matura, lo sanno! Non ho nemmeno bisogno di dimostrarglielo, in teoria! Però mi tocca, nonostante questo, e nonostante il fatto che io abbia la testa sulle spalle, e loro lo SANNO, ecco, mi tocca di starmene in casa a fare cosa? Niente! E ogni giorno che passa continuo a starmene seduta sulla stessa sedia blu, con le gambe accavallate che fremono, devo tenerle ferme, cazzo, più ferme che posso, perché sento che potrei prendere a calci tutta la casa al minimo calo di autocontrollo. E so che non devo, perché peggiorerebbe solo le cose.

E mi danno tanto fastidio quelle altre persone! Quelle che fanno spudoratamente finta di tenerci, a me! Mi amano, porca miseria. Almeno, stando a quello che dicono. E, persino, se non le cerco per 3-4 giorni, appena mi rivedono mi chiedono che fine avevo fatto. Però loro... mi cercano? Potrebbero anche farlo. So che possono. Internet ce l'hanno, e un messaggio non è mai sgradito. Però non muovono un dito, così io sto qui come una cogliona a rimuginare pensieri di odio. A domandarmi, perché? Perché non mi scrivi, perdindirindina? Perché ti ho scritto? Chi me l'ha fatto fare? Ma chi? Perché? Quindici centesimi, ho speso! Anche troppo! Decisamente troppo! E per chi? Per te? Ma non farmi ridere. Ci sono stata sopra minuti interi, a pensare a cosa scrivere. Ti sei fatto vivo? No. Ti manco? Qualcosa mi dice di NO! Avrei potuto spenderli in modo migliore, molto migliore, ma le macchine del tempo non esistono ancora. E porca miseria.

Volevo, non so, uscire, andare in posti, fare cose. Tre progetti concreti e pianificati (se non di più), falliti nel giro di due giorni. Se qualcuno ha idea di cosa vuol dire avere un'aspirazione concreta e vedersela passare davanti agli occhi e andare via...
Uno dei tuoi gruppi preferiti, che suona a due-tre regioni di distanza da te... dalla Finlandia... non poterli andare a vedere, hai anche la loro maglietta e non sogneresti altro, cavolo, che sentirli dal vivo, vederli, loro per davvero, i mitici Sonata.
Due giorni in AquaFan con i tuoi migliori amici, andare sulle attrazioni più pazze che trovi, essere in totale autonomia e tornare a casa strinati e divertiti.
Un gruppo di cui ti sei autoproclamata fan numero uno (e merda, sfido io, sono meravigliosi), tant'è che hanno riservato "un posto d'onore per te al nostro prossimo concerto". La sera precedente al concerto arriva, e io ancora sono qui. Ci penso e mi deprimo. Guardo le foto della piazza dove il concerto si terrà e mi deprimo. Vado avanti ad enumerare le cose che mi danno fastidio. Ce ne sono decisamente troppe.

Ma la gente fa finta? Perché poi, nei momenti in cui ci si arrabbia, esce fuori tutto quello che veramente si pensa. Poi se parli con quel tono freddo e tagliente, quel tipo di tono che si usa quando si vuole che l'interlocutore si senta un vero pezzo di merda, indegno di stare al mondo, e quando usi quelle parole, quel tipo di parole che hanno lo stesso effetto di quel tipo di tono di voce, con il risultato che chi ti ascolta si sente male al quadrato, allora significa che sono cose che ti covi dentro da anni. Che bei pensieri. E li rinfacci agli altri così, tranquillamente, perché logicamente tu non hai colpa, mai. Ci mancherebbe altro, poverina. Cresciuta troppo tardi però tutto questo lo fai scontare a me. Che centro io? Lasciami andare, cazzo.

Si sono addossati uno contro l'altro tanti pensieri, come macchine che viaggiavano tutte in fila finché la prima non ha frenato. Tutti, uno dopo l'altro, come una reazione a catena, mi mandano sempre più in depressione. E sono giornate strane, amare e strane. Non so più niente, chi sono, dove sono, perché sono qui, cos'è qui, cos'è ora, sarò grande abbastanza, avranno ragione loro?

So solo che me ne vado appena posso. Lo so, l'ho già detto e sono ancora qui a blaterare nonostante tutto. Avrei bisogno di tante cose e di tante persone, e per molte e lunghe peripezie sono rimasta senza modo di sentirle proprio stasera, manco qualche ordine superiore avesse deciso che il mio sistema nervoso deve andare in crash a mezzanotte in punto. Poi in realtà sono io che non dico niente a nessuno per paura di sembrare inadeguata, come al solito. Vittima delle mie stesse paranoie, come al solito. Gli ho detto ironicamente di non scrivermi e pare mi abbia preso in parola. E non mi legge! Questo sì che è un pensiero confortante, sapere che non leggerà mai queste righe. Forse nemmeno se glielo chiedo.

Sono o non sono queste le vere soddisfazioni della vita?

venerdì 27 aprile 2012

Ma... Ma... Ma... (quando il subconscio si sconvolge)

Oggi è una giornata di quelle, ma di quelle! Di quelle stocastiche, ecco. Di quelle che il colpo di scena è sempre dietro l'angolo, di quelle che per quel che ne so tra cinque minuti potrei essere, non lo so, nel paese dei folletti!

Mettiamola così... dunque, quando la giornata è cominciata ero già profondamente stanca. Non so perché non sono rimasta nel mio letto a ronfare... Anzi, so il perché. L'ennesimo compito di biologia. Rimandato praticamente di un mese. Mancare oggi solo per pigrizia (o come preferirebbe dire la prof, per un attacco di chimichite acuta) sarebbe stato non esattamente coerente, e anche ingiusto, ma questi sono altri discorsi. Quindi, mi sono preparata, con la velocità di un bradipo morto di sonno, alla giornata scolastica e al pomeriggio preaccademico. Senza la minima voglia, ci terrei a precisare. E arrivata a scuola, c'è stato un momento in cui, subito prima della lezione di ginnastica, mi sono sentita invisibile. Le mie compagne, tre da una parte a farsi i fatti loro, due dall'altra a spettegolare, e io che non c'entravo con i loro argomenti di conversazione e con le loro chiacchiere da salotto. Ma poi è passato. Solo, credevo non mi sarebbe capitato più. Ce n'è voluto di sostegno morale e training autogeno per non metter su un muso chilometrico e affrontare positivamente le due ore di educazione fisica.
Meno male che oggi, di ore d'informatica, anziché due ce n'era una sola - l'altra è stata brutalmente sostituita con un'ora di Italiano... così per sport, credo. C'è un tale caos in laboratorio. Due ore, nelle condizioni in cui mi trovavo oggi, sarebbero state da crash del sistema nervoso. L'ora successiva è allegramente passata con me che fingevo di ascoltare attentamente la parafrasi di "Alla Sera" di Foscolo (e non me ne vogliate per questo, la poesia mi piace, le opere di Foscolo in particolare, ed effettivamente la parafrasi me la sono scritta perché mi tornerà utile e non poco), mentre in realtà ripassavo biologia, cercando di capire cosa diamine fosse l'AMP ciclico e memorizzare l'importante funzione mistica dei recettori... tutte cose che riguardavano un processo esistenziale che si chiamava tipo trasduzione del segnale... cose che in verifica non ha chiesto, in realtà. Tanto meglio per me, ero preparata e ho fatto il mio compito felice e contenta, liberandomi di una delle grandi ansie della giornata.

La mia preoccupazione successiva era il conservatorio. Prima, la lezione di chitarra, che però non mi dava tanta ansia, tanto ormai è un periodo che bene o male suono sempre; poi, la lezione di solfeggio. Ecco, quella sì che mi fa accapponare la pelle ogni volta. Parlati, dettati (che puntualmente faccio cinque minuti prima di uscire), setticlavio (di cui mi domando l'utilità effettiva, ma che devo studiare per evitare lavate di capo e bocciature indesiderate)... i cantati sono l'unica cosa che mi piace sinceramente. A separare scuola e conservatorio, due ore di tempo per pranzare e prepararmi psicologicamente, un'ora di treno in cui solitamente ripasso i tanto odiati parlati, e venti minuti di camminata (oppure, se sono fortunata, dieci minuti di bus). Ebbene, a causa di molte e lunghe peripezie, mi sono ritrovata a fare tutto il viaggio in treno chiacchierando allegramente del più e del meno con due perfetti sconosciuti (di cui uno, addirittura, una volta mi piaceva, anche se non c'avevo mai parlato). Le vie del destino sono strane. Ma strane forti. Sta di fatto che è stato il viaggio in treno più surreale della mia vita. Dopodiché, una volta scesa dal treno e incamminatami verso l'autobus, sono incappata in un'altra ex cotta storica (che non mi ha riconosciuta, anche se sarebbe stato divertente vedere la sua reazione). In tutto ciò, il caldo era atroce, praticamente estivo, e tra viaggio in treno (in cui il sole mi picchiava costantemente in faccia) e la caratteristica afa bolognese, specialmente oggi, poi, che c'è un caldo praticamente estivo, stavo più o meno andando in ebollizione. Tutto quel che vedevo poteva benissimo essere un miraggio, chi può dirlo?

E alla fine, al conservatorio, è andata a finire nel seguente modo: con il prof di chitarra abbiamo concordato il programma per l'esame di conferma, e l'anno prossimo sarò ufficialmente al quarto anno; la prof di solfeggio, invece, è stata trattenuta per almeno dieci minuti da un ex alunno, e questo, oltre al fatto che abbiamo parlato per più o meno mezz'ora e perso del tempo in ciance varie, ha implicato che ci abbia chiesto solo un po' di setticlavio (che, stranamente, avevo studiato!). In conclusione, sono uscita da lì che ero proprio contenta, cosa per me abbastanza rara. E so già che quando sarò in quarta superiore dovrò fare l'esame di quinto anno per chitarra e l'esame di licenza per solfeggio. Avere i prossimi anni già pianificati mi dà uno strano senso di tranquillità, come se ora avessi un'incertezza in meno e potessi concentrarmi di più sul resto. Sono profondamente sconvolta, ma la mia vita mi piace.

Ora, se, come ho detto prima, già stamattina avevo sonno, figuratevi adesso come posso essere messa. Meno male che mi aspettano ben quattro giorni senza scuola. L'ultimo momento di riposo prima del rush finale, tra spettacoli di teatro, saggi, masterclass, verifiche, interrogazioni, esami di conferma, esami di inglese, feste di fine anno e impegni ovunque. Mi viene sonno solo a pensarci! x_x

giovedì 26 aprile 2012

Ciclo continuo.

A volte, per poter stare bene, bisogna andare a scavare nel dolore più profondo. Prendere fiato, chiudere gli occhi e tuffarsi, e andare dentro, giù, all'indietro nei giorni e in quelle piccole cose che non fanno star male, sul momento, ma si accumulano. Diventano un mare di lacrime ingoiate, parole non dette, rimpianti, paure e perché. E c'è quel punto di non ritorno in cui la sopportazione si consuma, come un filo sottile o una corda tesa, e si spezza.
Avevo sentito dire che le corde di un violino sono così tese da esercitare una forza di 80 chili sulla cassa. Come sarebbe spezzare una corda tesa a quel modo così, senza prima allentarla?
Devastante. Come quando, schiacciata dai miei pensieri esistenziali, esplodo. E la tristezza mi assale, anche se magari di star male non ho motivo. Divento stanca di tutto e di tutti, insofferente, guardo me stessa affondare nell'apatia, e se non fosse per quel mio minimo sindacale di autocontrollo, perderei in un giorno tutti i miei amici, rispondendo loro a male parole. E rimango così, sull'orlo della crisi di nervi, finché non trovo il tempo e la forza di liberare tutto, e l'unico modo che ho di liberare tutto è piangere.
Non chiedetemi di evitare di piangere. Non fatelo mai. Sarebbe come domandarmi di tenermi dentro tutto, e alla fine ne uscirei solo distrutta. Non è vero che chi piange è debole, non è vero che le lacrime sono cose da femminuccia. E' quasi più doloroso un pianto solo, di notte, di quelli che si fanno di nascosto, reprimendo i singhiozzi e riversando il proprio malessere sul cuscino, che mesi di sopportazione. La differenza è che dopo aver pianto, stai meglio. Dopo aver incassato l'ennesimo colpo, no.
E come sempre, anche in questi casi la musica c'è. E' incredibile. Apre il cuore. Lascia entrare tutto e lascia uscire tutto. Così, anche se piangerei comunque, il mio cuore si lascia colpire da ogni singola nota, e piango ancora più forte. Sto incredibilmente male, vorrei finisse tutto. Mi addormento tra le lacrime, mi sveglio e non ricordo nulla della sera precedente, dei singhiozzi trattenuti, della musica che tenevo al volume minimo ma ciononostante mi spingeva a piangere ancora di più. Poi il ricordo del dolore riemerge. Ho ben chiara in mente la sensazione. E mi rendo conto che è valsa la pena stare male, che quei pensieri negativi che mi trafiggevano da parte a parte e uscivano fuori in qualche modo mi hanno purificata.
Non è sempre così. Non capita spesso, in effetti. Però mi fa un gran bene. E' ovvio che sia un ciclo continuo: accumulerò di nuovo rimorsi e delusioni, avrò di nuovo bisogno di buttare fuori tutto, starò di nuovo bene e poi, di nuovo, sempre più tesa. Forse c'è un modo di uscirne, ma ne dubito. La vita, la storia, tutto è un ciclo continuo. Sta a noi trarne un insegnamento.

giovedì 19 aprile 2012

Non volevo (Piccoli rimpianti quotidiani)

Non volevo non scriverti per tre giorni. Non volevo farti pensare che a me di te non importa niente. Non volevo nemmeno prenderti veramente in giro. Volevo farlo solo per ripicca, perché tu prendi sempre in giro me. Ma alla fine sei troppo forte, vinci tu in ogni caso. Volevo vincere io, almeno per una volta. Averla vinta e baciarti ridendo. Ma non ce la farò mai, mai. Vincerai sempre tu, e mi negherai un bacio scherzosamente, e ridendo mi farai inciampare, mentre rido anch'io, fino alle lacrime.
Sì, ho dei rimpianti, ecco. E non so cosa fare. Non è che sia successo niente, è un giorno come un altro, ma sto facendo caso a come mi comporto. E ci sto facendo caso perché mi sembra il modo meno complicato di capire qualcosa riguardo a chi sono io. So solo cosa non voglio essere, ma analizzandomi scopro che in piccoli atteggiamenti, dimenticanze o frasi buttate lì, sono qualcosa che non vorrei. Paradossale.
Sarebbe bastata una parola: scusa. Quella parola, nel momento in cui avrebbe dovuto essere usata, era nell'oblio più totale. Forse nella mia testa la cercavo anche, ma non la trovavo. E quando è tornata a galla? Cinque minuti dopo, quando tu eri già andato alle corriere e io, col mio cappuccio in testa che "sembri un folletto!", camminavo sotto una pioggia tristemente sporadica verso casa. Non è che sia successo niente, la mia vita è sempre così com'è e la tua pure. Ma sono piccoli gesti, e sono comunque importanti. E ammetto che chiederti scusa non sarebbe stato affatto male.
Sono mesi che medito un gesto carino che possa farti piacere. Vorrei dedicarti una canzone. Anzi, due. Tre, cinque, dieci. Ce ne sono così tante che ti rappresentano e che mi rappresentano. Peccato che a te non ne piaccia neanche una. E non sai quant'è frustrante ascoltare quelle canzoni, così dannatamente belle e con dei testi che ci rispecchiano così tanto, e avere una voglia sfrenata di condividerle con te, e vedere te che puntualmente scuoti la testa e ti sfili l'auricolare. Non lo fai per dispetto, lo so, però a volte mi sembra che reputi sdolcinata una canzone solo perché la ascolto io. Ma è solo un'impressione.
Non so, vorrei... poter riuscire a farti sentire felice. Ad ogni intervallo, ogni volta che la mattina ti saluto frettolosamente quando passo dal bar, in ogni gesto, sempre. Ma non so come fare. E a volte, nel tentativo di strafare, va a finire che quando sono con te divento qualcuno che non è la vera me. Come oggi. Non chiedere scusa non è da me. Anche se è per una cavolata, tipo se pesto un piede per sbaglio a qualcuno o se aggiustandomi la sciarpa la mando in faccia a chi mi sta attorno senza volere.
Ed ecco l'ennesima delle trecentomila canzoni in cui trovo dei pezzi di noi. Ma non riusciresti ad apprezzarla. Perché a te non piace il country. Né tantomeno l'inglese. Ma porca bomba!
Ultimamente penso sempre più spesso che vorrei tornare maledettamente indietro nel tempo. Anche per aggiustare piccole cose. Un gesto non fatto, una parola magari non perfetta. Inezie.

Ora, non so perché mi sto facendo tante paranoie su di me, su di te, su chiunque altro io conosca e via dicendo. Solo che evidentemente non riesco a stare bene. Se capita un bel periodo in cui di male non succede assolutamente nulla, cosa faccio io? Sto allegra e me lo godo in pace? Ma certo che no. Mi vado a fare paranoie su cose inutili. E' la storia della mia vita (mista alla stanchezza della sera, allo stress di un'intera settimana sulle spalle e a diverse ore di sonno arretrato. Devo smetterla di andare a dormire così tardi, ma i vizi sono duri a morire). Paranoie, poi. Solo pensieri occasionali e fastidiosi. Rimorsi, rimorsi, rimorsi. Non basta che non ci sia niente di male, e nemmeno che le cose vadano definitivamente bene, voglio proprio la perfezione. O forse c'è qualcosa di basilare che mi manca e non me ne rendo conto. Insomma, non vedo proprio perché sentirmi a disagio.

Okay, ho bisogno di fare qualcosa. E credo proprio che suonerò, sì. Ti dedicherei tutti gli studi e i preludi e le scale e le legature e ogni pausa che faccio quando ho male alle dita per i troppi barré. Se solo avessi la certezza che tu li apprezzeresti.

domenica 15 aprile 2012

"Tu sei chi scegli e cerchi di essere".

Ieri sera alla tv c'era Il gigante di ferro. Non potevo non guardarlo. Anche se iniziava alle 11 e finiva ben oltre mezzanotte. Anche se sulla carta è un film d'animazione per bambini. Anche se ho 15 anni e mezzo. Anche se l'avevo già visto almeno altre tre volte. Non so se avete presente qual è, ma credo che sia uno dei film d'animazione più profondi che esistano. L'avranno dato alla televisione almeno 3 o 4 volte, credo.
Hogarth e il gigante, i due protagonisti della storia.

Ero determinata a guardarlo tutto, da cima a fondo, tant'è che, pur di vedere il finale (sebbene comunque io sapessi come andava a finire), sono rimasta l'unica sveglia in tutta la casa, col volume basso basso e immersa nella mia contemplazione, il respiro serrato per non perdermi nemmeno una parola. Ne era passato di tempo, da quando l'avevo visto l'ultima volta, ed ero in condizione tale da non capire del tutto, forse nemmeno ora ho capito del tutto, ma mi ha dato incredibilmente da pensare. Appena mia madre e i miei fratelli sono andati a dormire, e io sono rimasta sola davanti allo schermo, ho iniziato a piangere spudoratamente. Questo per diversi motivi: intanto, come potete leggere nei miei post più recenti, avevo addosso uno stress particolare che mi portava seriamente ad aver bisogno e persino voglia di piangere; poi, tutti i film in cui si fa un'analisi psicologica dei personaggi mi fanno un po' questo effetto, in qualche modo è come se nel corso del film mi affezionassi; e in particolare, mi faceva tenerezza l'analisi psicologica del gigante, che arriva a cambiare la sua natura di arma, ad avere un'anima, a dimostrarsi, nel corso della storia, il più umano di tutti.
Non è una semplice storia di robot futuristici, e va molto oltre lo status di cartone per bambini. Infinitamente oltre. Penso che sia estremamente profondo, che possa essere guardato veramente a qualunque età, e ad ogni età corrisponde un livello di comprensione diverso. E sono poche le storie che hanno questa particolarità.
Parla della vita, della morte, dell'anima, parla della guerra e della sua inutilità, di quanto possano essere dannosi i pregiudizi, di quanto sia sbagliato accusare e attaccare ingiustamente qualcuno di innocente, in 83 minuti ti sbatte in faccia tutta la stupidità umana e il bene e il male e la paranoia e l'altruismo gratuito. Cose meravigliose e terribili, e sono tutte condensate in un solo mondo. Forse un bambino può anche comprendere tutto questo. Però guardarlo dopo aver preso coscienza dello sfondo storico (è ambientato nel 1957, in piena guerra fredda) è tutta un'altra cosa.
Parla delle armi. L'insensatezza della violenza. Perché fare del male? Perché tanto accanimento contro chi è diverso da noi, o infinitamente più grande, o infinitamente più piccolo? Perché c'è un senso di proprietà così forte da spingerci a ferire gli altri? Perché tutto ciò che c'è di bello è anche abbastanza fragile da essere distrutto con un solo colpo di fucile? Armi. Oggetti creati appositamente per ferire, senza nessun altro scopo. La materializzazione dell'odio. Armi giocattolo. Ho sentito da una mia prof che i bambini, quando giocano (tipo giocare a fare la mamma o fingere di cucinare), fanno semplicemente pratica per la realtà che affronteranno poi, come in una simulazione dove non possono farsi male. Armi giocattolo! Esercitarsi a distruggere. Forse sto esagerando, però se siete arrivati a leggere fin qui, fermatevi un attimo e pensateci su. E, se potete, lasciate un commento su cosa ne pensate.

Finito il film, ho spento la tv trattenendo i singhiozzi e domandandomi "perché tutto ciò?". Mi ha sconvolta. Mi ha quasi impartito delle lezioni di vita.

Ed è uno dei pochi cartoni per vedere i quali non mi vergogno di stare alzata fino a tardi.

venerdì 13 aprile 2012

Treno in corsa in un uggioso venerdì.

C'è qualcosa che non quadra. Ho 15 anni, tanti amici, un fidanzato, buoni voti, tre pasti al giorno, un tetto sulla testa, un'infinità di hobby, altrettanti impegni e ancora più pensieri. In teoria non avrei motivo di essere triste, ecco, questa è davvero l'unica cosa che mi manca. Però è così strano, è come se non mi sentissi a mio agio nella mia stessa vita. Un buco dentro, grande e profondo. Credevo che l'era del buco fosse da lungo tempo finita, e destinata a rimanere un ricordo d'inchiostro nella carta del mio vecchio diario. Invece la sensazione è quella, forse non è mai davvero passata, anche se ora tendo a pensarci come a un senso di inquietudine di fondo. Poi vabbè, dimenticavo che il venerdì, nel periodo intorno a settembre-ottobre, era il giorno della depressione cronica. Che razza di periodo... Non ho mai capito poi perché proprio di venerdì. Sempre e solo di venerdì. Boh, sarà che avevo dentro tutto lo stress accumulato durante la settimana e quindi al minimo pretesto scoppiavo.
Non so, un'altra cosa strana è che quando fisicamente mi stanco, mi sento sollevata. Non dico necessariamente distruggermi, anche solo fare una corsa a rotta di collo in mezzo alla strada, così per sfogo. Il mio corpo è felice di muoversi, ha voglia di muoversi. Che non sia dovuto al fatto che mi sento brutta quando mi guardo allo specchio, e quindi voglio profondamente bruciare calorie? Non so. So solo che fare movimento sicuramente non mi nuoce. Quindi, tanto meglio per me. Non riesco a stare ferma. Fosse per me, penso che passerei un'intera giornata a correre e saltare in giro, per il puro e semplice gusto di stancarmi come si deve. Perché effettivamente, credo che più ti stanchi, meglio riposi. Se non fai un tubo tutto il giorno, il tuo corpo non ha veramente bisogno di dormire.
E' veramente deprimente guardare il cielo e vederlo così plumbeo. E' una sfumatura di grigio decisamente inquietante. Il colore che darei al nulla. Ed è anche incredibilmente piatto e uniforme, un'enorme macchia grigia che si estende su tutto il cielo... Logico, del resto. Il nulla non è vario.
Mi viene in mente che potrei tentare di soffiarle via, le nuvole. Come quella volta, in cui per forza di disperazione, nello strenuo tentativo di mandare via quei nuvoloni che minacciavano pioggia proprio quando dovevo uscire, saltai su con quest'idea stupida. Eppure per me ha più senso una teoria strampalata del genere che tante altre cose appartenenti al mondo reale. Com'era quella storia, che se una farfalla sbatte le ali in un dato punto, dalla parte opposta del mondo si può potenzialmente sviluppare un uragano? Bah.
Intanto, il treno è arrivato. Avanti, dunque, con quest'uggia mi toccherà avere uno scontro diretto.

giovedì 12 aprile 2012

Sorrow sank deep inside my blood.

Il dolore è affondato nel profondo del mio sangue. Ora, non so perché la mia testa vada a rigirare intorno alle parole più tristi della canzone più triste che io conosca. Avrei sperato di non ascoltarla più per tanto, tanto, tantissimo tempo. E invece non ho resistito, ed eccomi qui ad ascoltare I Won't See You Tonight part 1.

Ieri pioveva. Ha piovuto più o meno per tutto il giorno, a tratti. Ed era il giorno del rientro dalle vacanze di Pasqua, che sono state troppo corte. Oltretutto io, che sono molto intelligente, proprio l'unico giorno in cui faceva bel tempo ho deciso di non uscire. E non uscire anche solo per un giorno o due, durante le vacanze di Pasqua, equivale a bruciarsi un quarto del potenziale svago che si potrebbe avere. Senza poi contare che, il giorno prima di tornare a scuola, non ero riuscita a dormire bene, quindi ero estremamente stanca. E pioveva. Anche in circostanze normali, se il mio umore è abbastanza stabile, il clima non influenza più di tanto il mio stato d'animo. Eppure ieri, correndo sotto la pioggia per la salita infinita che va da casa a scuola, in perenne ritardo, la prima cosa a cui ho pensato è stata questa canzone. Ed era infinitamente deprimente la luce dei neon, profondamente artificiale, a rimpiazzare la luce che il sole, così coperto, non poteva dare. La prima sensazione che è sopraggiunta è stata malinconia, nient'altro che malinconia. Un senso di... come se in questo periodo io stessi andando avanti giusto per fare, senza dare un vero scopo alla mia vita o un vero senso alle mie azioni. O c'è qualcosa che manca, o c'è qualcosa di troppo, o forse entrambe, non saprei dire ora come ora.

La prima volta che ascoltai quella canzone, ecco, a dire il vero non ricordo quando fu, ma doveva essere grossomodo giugno scorso, lo stesso periodo in cui cominciai a scrivere sul blog. Col tempo l'ho imparata a memoria. Ogni movimento, ogni strofa, verso, parola, ogni rumore distorto, ogni nota di pianoforte, ogni pausa e ogni colpo di piatti. La musica è dannatamente bella, specialmente quando esprime tristezza. Dannata tristezza. E quella canzone era particolare nel suo genere, particolarmente e dannatamente triste, al punto che mi ha incantata. Mi ci immedesimavo completamente. Mi abbandonavo, e mi abbandono, alla malinconia. Sorrow. Non ho mai trovato un termine in italiano che renda bene il significato di questa parola. E' strano, a volte mi capita, ci sono termini in inglese che esprimono perfettamente un concetto, mentre invece il loro corrispondente in italiano lascia a desiderare. Dolore? Pena? Cruccio? Mi sembrano tutte, non saprei, quasi banali. Sorrow è molto di più, è dolore, ma un dolore psicologico. E' un senso di disagio, dispiacere, malinconia, inadeguatezza e sofferenza messi insieme. Non c'è una parola in italiano con cui io possa riassumere tutto questo. Ci passai l'estate, ascoltando quella canzone. Al mare. Di pomeriggio, quando la stanchezza era troppa per tornare in spiaggia, il caldo troppo opprimente per uscire, la noia e l'inerzia terribilmente accentuate. Un tempo morto. Le scelte erano dormire o stare in silenzio. Ero isolata da tutto e da tutti, lontana dal mio mondo e dalla mia realtà. Poi ci pensavo, e mi rendevo conto che la mia era una realtà di ragazzina sostanzialmente sfigata, quasi priva di vita sociale, sbeffeggiata dai compagni di classe e abbandonata persino dalla migliore amica. E scattava la depressione. La voglia di abbandonare il mio mondo, cambiare vita, lasciare anche quello che c'era di buono, per il solo gusto di liberarmi di quello che non mi andava. Pensieri viziati, che la musica in parte acquietava e in parte alimentava.

La fregatura, o forse la fortuna, è che la vita va avanti, e a volte migliora, persino. Quindi, anche se mi ricordo bene cosa si provava ad essere quello che ero fino a quest'estate, non mi ci riconosco più. Penso che a momenti non mi riconoscerei nemmeno nella me stessa di ieri. Ok, la vita è fatta di fasi, ma questa è una fase decisamente stocastica. Mi guardi ora e sono depressa... beh, ma neanche depressa, diciamo insofferente, ecco... E magari tra 10 ore sprizzerò gioia da tutti i pori, così, a random. Per poi tornare disinteressata al mondo dopo altre 4 ore.

Ecco, ci sono. Penso che sia forza di disperazione. Penso che il mio subconscio (che solitamente è sempre bastardo, ma in questi casi è portentoso), vedendomi deperire ogni giorno di più, sempre più svogliata, vuota e stranita, mi stia dando una specie di richiamo. Quell'inquietudine di fondo che mi accompagna in questi giorni, forse non è altro che una specie di sveglia interiore. Devo fare qualcosa, devo esprimermi, ho bisogno di stancarmi fisicamente.

Ultimamente è un'attività che trovo quasi piacevole, affaticarmi. Tipo che ogni volta che vado in piscina cerco di nuotare il più possibile, quando vado ai campi non faccio che correre e saltare in giro, e ora che ho ripescato da uno scatolone la mia vecchia corda per saltare non mi ferma più nessuno... tant'è che martedì, saltando la corda come una bambina delle elementari, ho fatto un sacco di movimento, quindi ho le gambe ancora distrutte. Da piccola ero allenatissima, arrivare a 100 salti di fila senza incepparsi era la prassi, e facevamo gare con le compagne di classe, durante l'intervallo, a chi riusciva a saltare di più. Questo implicava, in un giorno, arrivare anche a 500 salti. Un allenamento micidialmente salutare. Peccato che i ricordi di quei bei tempi lontani mi avessero lasciato un'illusione di onnipotenza. Sono bastati 200 salti a malapena per distruggermi. Non peso più 30 chili e non sono più abituata a passare il mio tempo a saltare, quindi le mie gambe non reggono. Fortuna che una decina di minuti al giorno per allenarmi un po' li troverò sempre. Sono già partite le sfide epiche tra amici, tipo come alle elementari. Mi sento molto una bambina. Ma sentirmi così mi dà anche un senso di allegrezza.
Credo che sarà la mia ancora di salvezza all'inerzia cronica.

Basta cazzeggiare ora. Domani è venerdì, poi ci sarà un lungo weekend. Animo, la settimana sta già finendo. Inesorabilmente veloce. E non so come rendere il tutto meno monotono, quindi comincerò con lo spegnere il  pc.

lunedì 9 aprile 2012

Disintossicandomi.

Prima di partire coi miei discorsi strampalati, come mio solito, colgo l'occasione, dato che ieri, presa da circostanze urgenti (non potevo staccarmi da quelle povere uova di cioccolata, erano lì a implorarmi di mangiarle!!!), non ho scritto nulla, per augurarvi buona Pasqua e buona Pasquetta... Oh beh, dato che ormai sono entrambe bell'e che passate, a questo punto spero che le abbiate passate in un modo piacevole ^^

Vergato è un posto totalmente inaspettato, ecco. E' paradossale come, a pochi chilometri di distanza, ci siano le giostre da una parte, con un agglomerato assurdo di persone, e i campi sportivi dall'altra, totalmente deserti, attorniati dalla natura e... insomma, sono stupendi.

Prima che arrivasse l'inverno, andavo spesso a correre lì col mio migliore amico, ma ci si limitava a stare sulla pista, oppure sul campo di sfogo. Prima ancora, ci ero stata poche volte, ma era sempre stato il posto in cui ambientavo i miei sogni di gloria sulla scia di "quando avrò una balotta anch'io...". C'è un'atmosfera a dir poco stupenda, nelle giornate di sole, specialmente in quelle ore del pomeriggio vicine al tramonto. E' tutto così languido, dorato, allegramente silenzioso e in qualche modo quasi onirico. Se penso che oggi avrei potuto andare alle giostre, spendere un mare di soldi e stare nel mezzo del caos, tra luci caleidoscopiche, musica a palla e gente con cui mai vorrei avere a che fare, penso che sono quasi stata salvata. In fondo, in realtà cosa mi piace delle giostre? L'adrenalina, poter urlare e scatenarmi e passare inosservata, e la bancarella dello zucchero filato. Per il resto, non è un grande ambiente. Zucchero filato se ne trova anche altrove, o si vive anche senza, e ad ogni modo già per quest'anno l'ho comprato e ne ho fatto una scorpacciata. E puoi urlare e scatenarti anche in un campo d'erba alta, che delle due è meglio, perché hai tutto lo spazio che vuoi per correre e saltare allegramente in giro.

Correre... E' così liberatorio. In realtà, ultimamente mi sto rendendo conto di quanto sia bello lo sport come valvola di sfogo. Tipo che quando ho una botta di depressione, o una rabbia incredibile per qualche motivo, o qualcosa di cui vorrei liberarmi, faccio una corsa così, di potenza, più veloce che posso, sbattendo i piedi per terra, forte, più forte, spiccando ogni volta una falcata più larga, sentendo il vento tra i capelli, urlando, magari. Oppure due o tre vasche a nuotare, ma di quelle fatte a busso, facendosi strada con vigore, spingendo via l'acqua, quasi senza prendere fiato, roba da uscire dalla piscina a pezzi, ma felici... liberi, possibile?

Davvero, non so bene perché, ma dopo aver passato due ore e più nel mezzo del nulla, mi sento una persona decisamente migliore. Rilassata. Ad un certo momento siamo arrivati a una distesa d'erba assurda, tipo in cima a una collina. Era incredibilmente soleggiata, silenziosa e lontana da tutto. C'era solo una strada in cui, in un'ora che siamo rimasti lì, è passata solo una macchina. Si stava benissimo. Accarezzare l'erba, correre a rotta di collo giù per il prato, sentire addosso e intorno il calore del sole. Secondo me, è di gran lunga meglio che andare ad ammaccarsi su una giostra. Andarci da soli non è il massimo, la cosa è anche abbastanza noiosa. Però ero col mio migliore amico. Che ganzata. Non ero sola, quindi non mi annoiavo, ma potevo comunque fare quello che volevo, tanto ormai lui mi conosce e sa che sono folle. Ragion per cui ho passato il tempo a saltellare e scorrazzare in giro come una bambina, e fare braccialetti con le margheritine, come se fossi stata una scolaretta delle elementari che trova un modo tranquillo di passare il tempo a ricreazione. C'era il caso che rimanessimo lì fino a tarda sera, se non avessimo tenuto d'occhio l'orario. Quando trovi un posto del genere, ti viene voglia di restarci. Senti affermarsi nel corpo la volontà di rimanere, il benessere, senti di essere libero da qualunque altra fonte di disturbo, senti di non aver più bisogno di quel mondo assurdo fatto di cemento, smog, informazioni e caos, e dire che quel mondo è lì che pulsa a una manciata di chilometri di distanza. Così vicino, e così lontano insieme.

E così, ce ne stavamo lì a parlare di tutto e di niente, mentre il tempo scorreva, e non era quel tempo viscoso e passivo che inciampa e arranca in certe giornate passate all'insegna dell'ozio o in preda a un disagio, era voglia di fare e di dormire allo stesso tempo, tipica sensazione primaverile, e non passava in fretta. Era normalità. E non sentivo più nessun bisogno, anche se avrei gradito avere con me una corda per saltare e un pezzo di cioccolata, così, per dare sapore al tutto. Ma il puro e semplice fermarsi, sedersi e fregarsene di tutto il resto era già abbastanza, e aveva anche un che di curativo.

Dato che è stata una cosa così sparaflashante, si è deciso che tutte le domeniche passeremo almeno almeno tre ore ai campi. Una per il tragitto (dato che ce la prendiamo infinitamente comoda e ci possiamo mettere mezz'ora solo al ritorno), una per correre, saltare e fare acrobazie in giro, e una per sedersi nell'erba e ciarlare, che non è mai male. E' un ottimo proposito. Mi sento bene solo a pensarci. Ed è uno dei motivi per cui mi piace tanto la primavera. Mi fa sentire così... viva.

Mmm, credo di aver finito, e direi che si è fatto abbastanza tardi. Quindi smetto di tediarvi e vado a cercare l'ispirazione celeste per il prossimo post :3

venerdì 6 aprile 2012

Competizione.

Oh, è qualcosa di così stupido! Profondamente stupido. Però non riesco a farne a meno. Sarò stupida anch'io? Non lo so. Non penso che riuscirò ad avere mai un'esistenza normale. La mia vita è illusione e ossessione. Illusione di essere migliore, ossessione che ci sia qualcuno di ancora migliore. E' qualcosa di orribile. Non voglio essere così, ma lo sono. Accettarmi? E' una mentalità estremamente infantile, non voglio. Cambiarmi? Ci ho provato. Da sola e con l'aiuto di altri, non si contano le volte in cui mi sono detta o sentita dire che non ha senso confrontarsi con gli altri, e non ha senso sentirsi migliori o peggiori.

Ma passa un po' di tempo e il risultato è sempre lo stesso, vedo qualcosa che non vorrei vedere, sento qualcosa che non vorrei sentire, leggo qualcosa che non vorrei leggere, e mi ritrovo a pensare, inesorabilmente, continuamente e stupidamente, che sono una nullità, anche se non è vero. E concludo, pensandoci ancora e ancora e ancora, che se la mia frustrazione nel sentirmi inferiore è così tanta, vuol dire per forza che prima mi sentivo in qualche modo superiore. E chi sono io per sentirmi superiore a qualcuno? Proprio nessuno!

E allora perché tutto ciò?

mercoledì 4 aprile 2012

Respiro.


Finalmente. Le vacanze di Pasqua sono ufficialmente iniziate. Non ne potevo più. Ieri, tornando dal conservatorio, mi sono attaccata stile ameba al pc. Intorno alle 10, mi sono resa conto che il giorno dopo (che sarebbe oggi) avrei avuto scuola. Che trauma terribile. Non so perché, ma mi ero probabilmente messa nell'ordine d'idee che il giorno dopo fosse festivo. Per quello è stato così triste andare a letto alle 10 e mezza di sera (cosa che, per me, ultimamente è abbastanza rara). Ho accumulato parecchio stress durante tutto marzo: prima la gita a Roma, poi quella a Novellara, dove tra l'altro ho recitato per la prima volta in uno spettacolo, poi masterclass e lezioni al conservatorio (tra l'altro, proprio ieri sono partita con due ore di anticipo per andare ad ascoltare la lezione di Michael Lewin. È stato troppo, troppo bello), verifiche varie a scuola, trecento rientri, una vita sociale da curare - una volta non avevo di questi problemi, ma sinceramente è meglio dover pensare a dedicare del tempo ai propri amici, che non avere amici a cui dedicare tempo - tante corse di qua e di là, pochissime occasioni per fare un giro in paese... Se avessi dovuto pensare di andare a scuola anche solo per un altro giorno, sarei andata in tilt. Più che altro perché per me, andare a scuola, cinque volte su sette è solo l'inizio della giornata, come dire, la parte facile. E questo è un periodo in cui, sarà perché ho accumulato più stress del solito, il pensiero di dover fare determinate cose mi crea un blocco mentale. Ora, non me ne voglia la mia prof di solfeggio, ma i maledetti parlati sono una di quelle cose. Li odio. Si tratta di leggere le note a voce, secondo ritmi precisi, sia in chiave di violino sia in chiave di basso - la cosa atroce è che è solo l'inizio: abbiamo ancora tipo cinque chiavi da studiare. Ora, sarò anche estremamente brillante nei cantati, nei dettati, nei ritmici e nella teoria, ma per eccellere nella lettura dovrei fare uno sforzo enorme (che puntualmente non faccio, ma dettagli). Insomma, è già tanto se provo a leggermeli alla spiccia in treno. Una volta mi ero presentata così impreparata che la prof mi aveva minacciato di chiedermi solo i parlati. Brrr, mi si accappona la pelle al solo pensiero. Meno male che almeno la vita va oltre una lezione di solfeggio. Solfeggio che, tra l'altro, non sarà un mio problema fino alla prossima settimana. Al momento sono troppo impegnata a godermi le vacanze di Pasqua, grazie.
Insomma, quest'anno voglio passare delle vacanze migliori dell'anno scorso. Anche l'anno scorso avevo passato vacanze migliori di due anni fa. Oddio, relativamente, poi. Mi ricordo che c'era stato il trasloco, in quel periodo. Che bei momenti, eravamo tutti esagitati, momentaneamente senza punti di riferimento, senza un luogo da chiamare sinceramente casa: quella vecchia era ormai spoglia e non ci era familiare più nulla se non il giallo chiaro delle pareti; quella nuova, pur essendo in parte arredata con i soliti mobili, era... Beh, era nuova. Era inusuale, scomoda, inospitale, persino. Cambiare casa è sempre estremamente sconvolgente. E noi eravamo tutti sconvolti - ricordo i miei litigare per ogni singola cosa, e ricordo che non trovavamo nulla, tutto in qualche modo era sparito, disperso in quel mare di scatoloni, spazi vuoti e buste blu. C'era tutto, ma non c'era niente. A ben pensarci, nel giro di un anno ho cambiato casa, camera, routine (solo in parte), modo di vestire (quel tanto che basta per rasentare la decenza) e vita sociale. Ci mancava solo che cambiassi nome. Ma sto divagando.
Per queste vacanze, la parola che riassume i miei progetti è una sola: balotta. Ora, dicesi balotta, in gergo bolognese/sfattone, una compagnia di persone che si divertono allegramente. Che io mi debba trovare in una compagnia di due, tre, quattro o dieci persone, poco importa: voglio uscire, divertirmi, non pensare più a niente, nei limiti del possibile. Passare quello che più si avvicina a una vacanza ideale. Anche se, pensandoci, la mia vacanza ideale sarebbe un periodo di stacco assoluto dal mondo. Da tutto e da tutti. Basterebbe poco, anche due o tre giorni, per dire. Senza vedere né sentire nessuno, senza parole, senza mass media che mi bombardano la coscienza, senza materie da studiare, senza dover rendere conto a nessuno. Che sogno di gloria... Ma dove voglio andare, io, a 15 anni? Mmm, spero che mia madre riesca a mandarmi in vacanza studio, quest'estate. Se riesco, per la seconda volta nella mia vita, ad andare all'estero, credo che inizierò a fare i salti di gioia. Insomma, non è stacco totale dal mondo, ma stacco totale dal mio mondo. È già qualcosa. Sarebbe stupendo. Il bello è che si discosta alquanto dall'idea di far balotta coi miei amici, che dovrebbe essere l'idea di fondo di questi giorni.
L'anno scorso avevamo avuto delle vacanze lunghissime, Pasqua cadeva proprio alla fine di aprile e quindi avevano fatto un megaponte che univa il periodo pasquale al primo maggio, per un totale di quasi due settimane di sospensione delle lezioni. E non avevo, all'epoca, tanta gente con cui uscire, ragion per cui o uscivo da sola e mi aggregavo (tanto di gente con cui far balotta alle giostre non ne mancava mai), o non uscivo e basta. Insomma, delle vacanze sprecate. Quest'anno saranno pochi giorni, ma ho intenzione di uscire più o meno sempre. Un paio di giorni per i miei migliori amici, un giorno a testa per un altro paio di amici estremamente importanti, e un giorno per il mio ragazzo. Che ultimamente è parecchio geloso. Dunque, da settembre avevo iniziato a parlare nei miei post di questa sorta di gelosia paranoica, che ora ho superato. Era una situazione troppo insensata, per di più mi accanivo contro una sola persona (o meglio, il mio subconscio si ostinava a imputare le mie sofferenze solo a quella persona, e dentro stavo profondamente male, mentre in realtà nessuno avrebbe mai sospettato niente, se io non avessi parlato), perché la trovavo particolarmente carina e pensavo mi disprezzasse. Non so come ho fatto ad uscirne, so solo che sono stati, da quel punto di vista, una decina di mesi totalmente infernali, anche perché mi dispiaceva di provare dei sentimenti così distruttivi verso persone che non mi avrebbero mai fatto niente di male. In più, credevo di soffrire come una scema mentre lui rimaneva impassibile nonostante io avessi amici anche maschi, che abbracciavo e tuttora abbraccio, o con cui comunque mi sento molto spesso. In realtà lui è sempre stato geloso, ma era troppo orgoglioso per parlarne con me. Ora questa gelosia sta saltando fuori in maniera abbastanza lampante, non faccio in tempo ad abbracciare un amico che lui gli lancia uno sguardo tipo inceneritore. Ora, non vorrei dire quello che sto per dire, ma la cosa mi piace. Primo, perché finalmente lo vedo soffrire dopo aver visto me stessa autolesionarmi mentalmente per mesi, mesi e mesi, in poche parole, sento che quella gelosia magari non era nemmeno tanto insensata, era un sentimento ed era lecito, in quanto sono comunque un essere umano. Secondo, perché comunque è, in qualche modo, piacevole appartenere a qualcuno. È un punto di riferimento fantastico. Gratificante. Stamattina la scena è stata epica. Mi ha praticamente fatto una scenata di gelosia in faccia. Però io i miei amici li saluto con un abbraccio, che gli piaccia o no. Che non pensi che io cambi le mie abitudini per lui, dato che lui non l'ha fatto per me (infatti quelle sono testuali parole sue. Tipo "non pensare che io cambi le mie abitudini perché tu sei gelosa, le mie amiche le tratto così"). Sì, c'è ancora una parte di me che per quei mesi di pensieri acidi grida vendetta. La gelosia è passata, lui è fatto così, lo accetto, pace. Però ad ogni occasione, anche volontariamente, provo a farlo ingelosire. Probabilmente non ho nemmeno una vaga idea di quanto male lui ci stia, probabilmente sono un mostro e basta - dentro, credo di esserlo. C'è più meschinità in me che... Non lo so. Mi sento profondamente meschina, quando inizio a pensare in questo modo.
Mah, ora basta ciarlare. Domani è un altro giorno (probabilmente sarà piovoso, ed è un peccato, perché avevo voglia di uscire). Magari a lui non permetterò di cambiare le mie abitudini. Ma a me stessa posso concederlo.

lunedì 2 aprile 2012

Random (forse quello che mi accade non importa a nessuno, ma il tempo in qualche modo lo devo passare).

Queste ultime giornate sono state decisamente così. Tipo che ieri per la prima volta in vita mia sono stata nel famoso multisala che sta a mezzora di treno da casa mia. Ero stata al cinema prima d'ora, anche se poche, pochissime volte. E parecchi anni fa ero stata persino in un multisala. Ma al celebre Uci di Casalecchio, sola con amici, non ero ancora mai andata. E' stato estremamente divertente. Cioè, non il film in sé - era un thriller così inquietante che mi stupisco di essere riuscita a dormire senza sognare pendoli giganti (stile Edgar Allan Poe). E' stato tutto il resto. Il viaggio, le cazzate, le caramelle di Lupo Alberto, le scale mobili, gli hot-dog alla senape, il tipo alla cassa che ha insistito per NON farci i conti separati... Cioè, è così bello essere tra amici. Ovunque siamo riusciamo a inventarci un sacco di gag. Penso che noi tre ci si divertirebbe anche se fossimo sperduti in mezzo al deserto. Insomma, è incredibile la capacità di divertirsi che si ha quando si è in balotta. Se anche uno è depresso, riesce a sparare delle boiate tali da dimenticare ogni male.

Ieri, tra l'altro, era la celeberrima giornata del pesce d'aprile. Io puntualmente me n'ero scordata - cioè, non è che me ne importi e d'altronde, non ho né inventiva né carisma sufficienti ad architettare degli scherzi convincenti. Tornata dalla sparaflashante esperienza al cinema, totalmente dimentica del fatto che fosse il primo di aprile, mi ero tranquillamente connessa e stavo amabilmente chiacchierando con i miei migliori amici, quando a un certo punto uno dei due ha aperto una chat di gruppo salutandoci, mentre l'altra gli ha risposto inaspettatamente a male parole. Così assistevo impotente a loro due che continuavano a tirarsi dei nomi senza un motivo preciso, cercando di intervenire ogni tanto per capire cosa stesse succedendo. L'idea che mi stessero facendo un pesce d'aprile mi aveva attraversato la mente in un primo momento, ma poi ci ho pensato: possibile che due persone si organizzassero e mettessero su una messinscena simile per fare un pesce d'aprile a un essere insignificante come me? E invece, dopo una decina di minuti, la mia migliore amica ha detto "ok, adesso basta :)" e sono entrambi esplosi in un "PESCE D'APRILE!!!". Ci sono rimasta. E' il primo vero pesce d'aprile che subisco, a ben pensarci. Sono stati dei momenti tremendi, vedere i miei migliori amici, che si conoscono da molto più tempo rispetto a quanto io conosco loro, che si vogliono bene come fratello e sorella, litigare spudoratamente tra di loro. O almeno, fare finta.

E ora sono qui, in procinto di uscire. E' tempo di fare grandi cose - è primavera, il tempo è bello, il sole, beh... oggi non splende più di tanto, ma fuori si sta comunque bene, ho passato un lungo periodo di letargo in cui, fuorché per impegni scolastici, non sono mai uscita, e adesso finalmente mi ritrovo il pomeriggio libero e qualcuno con cui far balotta.
Sì, decisamente, conquisterò il mondo.

domenica 1 aprile 2012

Fuffy.

Fuffy è una delle mie ragioni di vita. E' tenero, con un musetto carino (e, quando vuole, inquietante), due guanciotte pucciose e ha la fantastica capacità di starmi sempre vicino e sollevarmi il morale nelle giornate più cupe. Siamo incredibilmente sulla stessa lunghezza d'onda, ci capiamo al volo ed è praticamente il mio migliore amico. Poco ci manca per poterci definire telepatici. E non è né un cane, né un gatto, né un animale domestico di sorta. Non è nemmeno un oggetto concreto a cui per diletto ho dato un nome stupido.

Fuffy è una specie di, chiamiamolo così, sostegno morale. Il sostegno morale apportatomi da un amico. Effettivamente, è una storia abbastanza strana e bizzarra da raccontare. Il tutto è nato dal fatto che "sostegno morale" è abbastanza lungo da scrivere, ma nei nostri discorsi lo citiamo spesso. Così, qualche settimana fa, è diventato semplicemente Fuffy. Potrà sembrare una stupidaggine, ma è importante sapere di avere qualcosa a cui pensare quando mi sento depressa oppure, in preda a crisi esistenzali, mi domando se valga la pena resistere e non mandare tutto a quel paese. Quando mi prendono quei momenti depressi, spesso, sono in una situazione in cui non posso parlare, oppure sono sola e non ho modo di sfogarmi con nessuno. Sentirmi completamente sola è inevitabile. Sola, invisibile, magari a volte ho davanti proprio chi meglio dovrebbe conoscermi e capire che sto morendo dentro. E' strano, ne ho già parlato tante volte, lo so. La capacità di poter piangere in pubblico eppure passare totalmente inosservati è una cosa veramente potente. E fino a quando non abbiamo creato questa genialata del sostegno morale a distanza, non sapevo come difendermi, non sapevo con che pensiero consolarmi, non sapevo con chi parlare.

E' diventata un'arma ancora più efficace contro la mia solitudine cronica, da quando gli ho dato una forma. Se mi sento disperata, prendo il mio disegno (che ormai porto praticamente sempre con me) e sono pienamente consapevole che no, non sono sola. Non prendetemi per pazza. E' una delle forme di amicizia più totalizzanti e affettuose che io conosca.

Quindi, Fuffy (o meglio, padrone di Fuffy, dato che so che mi leggi), questo è per te. Per tutto quello che fai per me. Per come mi fai sentire: apprezzata, libera di esprimermi, me stessa, e soprattutto non sola. Per avermi fatto capire che il sostegno morale non è una mera trovata cinematografica per far commuovere il pubblico, ma una cosa che funziona, per quanto possiamo essere lontani, per quanto poco in realtà ci conosciamo, funziona e basta, e mi salva dalla paranoia.

Grazie di tutto :)