Cerca

giovedì 29 marzo 2012

10

Voto massimo,
elogio scolastico;
Nero su bianco,
perfezione burocratica.

Ti daranno del genio
perché
in vita tua ne hai visti tanti
E sarai l'odio di chi
così perfetto
non è stato mai.

Ma il genio e l'anima
vanno ben oltre
la doppia cifra.

sabato 24 marzo 2012

Tensione spezzata.


Stasera non voglio
per cena
finzione preconfezionata,
gusto orribile.
Sono già disgustata,
a vomitare
dolore dagli occhi,
ripiegata in me stessa,
mentre in testa
riecheggiano grida,
sussurri, riverberi.
E la voglia di
spezzare
infrangere
distruggere
tutto,
arginata da
un’anima debole
si riversa in me stessa,
tsunami costretto
in una vasca da bagno.
Briciole di silenzio cadono,
cenere,
su di me, dentro me,
un ammasso di atomi
non coesi e
non coerenti.

Giaccio, centellinata, nel disordine.

venerdì 23 marzo 2012

Cosa? Dove? Come? Quando?!

Oooookay. Mmmm, da dove cominciare?
Mi sto decisamente addormentando. Tra il raffreddore, le quantità di tempo inenarrabili spese al computer, il sonno arretrato (eppure sto cercando di dormire almeno 8 ore a notte, durante la settimana... bah, c'è qualcosa che non quadra) e l'aria primaverile che si fa sentire (ma perché, se è una stagione così piena di vita, si deve far sentire facendomi addormentare?!), posso dire di star dormendo in piedi da un paio di giorni.
Dopo aver speso le mie ultimamente sempre più solite quattro ore di fila al pc, mi è venuto in mente, giusto prima di spegnere, di controllare la posta elettronica. Tipo che mi attendevano una vagonata di notifiche da parte di Elisa di lacrime di carta e inchiostro, che non solo mi segue e continua costantemente a leggermi, ma si è persino presa la briga di guardare i post più vecchi (cosa di cui la ringrazio, dato che tuffarsi nel mio passato psicologico e tentare di capirci qualcosa è un'impresa che richiede non poco coraggio). Rispondendo commento per commento, ad un certo punto ho scorso la pagina del blog fino in fondo, e ho visto qualcosa tipo "visualizzazioni totali: 1006". Eeeeeh?! Fino a ieri mi mancavano 18 visualizzazioni per arrivare a 1000!!! Mi è preso più o meno un colpo e mi sono mentalmente interrogata su come ciò fosse possibile.
Intanto, grazie mille ad Elisa, senza la quale il mio blog sarebbe ancora un mero diario personale, letto regolarmente da pochi amici (alcuni dei quali ho già citato in passato) e la cui antica media di 100 visualizzazioni al mese era tenuta in piedi solo da me che spargevo il link in giro. Ora in qualche modo sono inserita nella blogosfera, anche se sono poco seguita. Per ora.

Il mio subconscio è sconvolto. Con marzo sono iniziate anche una serie di controversie psicologiche e, soprattutto, un periodo strano come pochi. Mi lascio totalmente andare alla pigrizia, tutto il giorno, tutti i giorni, non mollo un attimo il pc, anche se avrei di meglio da fare, anche se sono stanca e ho sonno (in realtà c'è un motivo a questo attaccarsi al computer stile piovra, ma mi sta lentamente conducendo al diventare un'ameba... e non va bene). E poi, puntualmente, me ne pento. Oppure mi ricordo improvvisamente di un impegno inadempiuto, di un compito non fatto o magari, di un concorso scolastico che scade il giorno dopo. Ma non è solo questo.
Emotivamente parlando, ogni tanto mi colgono momenti in cui mi sembra di star camminando su un filo, magari perché no, con una palla al piede che mi tira inesorabilmente verso il basso e raffiche di vento che mi spingono a cadere. Tutto molto metaforico. Che cosa atroce, sentirsi in bilico. Appesa al filo della forza d'abitudine, strenuamente e continuamente, senza la minima intenzione di lasciarlo andare, mentre la gravità quasi mi strappa via. Non è facile da spiegare.

In compenso, oggi non avevo da andare al conservatorio, quindi mi sono messa a cucinare una torta. Mi piace troppo preparare i dolci, mi libera da ogni pensiero. Più che altro perché è un lavoro che, se fatto da soli, implica il dover organizzarsi e portare avanti più cose contemporaneamente. Tipo: mentre il burro fonde, metto il forno a riscaldare, imburro gli stampi, aggiungo questo o quell'ingrediente, devo tener d'occhio il burro, che non vada in ebollizione, devo far veloce, prima che il forno arrivi a temperatura, dov'è finito l'olio di arachidi, mi serve il sale per montare gli albumi (cosa, il sale, che mi viene in mente sempre DOPO aver cominciato a sbattere gli albumi... questo comporta strane bizzarrie, come tentativi di aprire il barattolo del sale con una sola mano, mentre l'altra regge lo sbattitore in funzione. Non provateci a casa, è pericoloso T_T)... Non hai il tempo materiale di pensare ad altro. Il tuo problema principale passa improvvisamente da "mi sento terribilmente confusa" a "quanti millilitri di sciroppo alla menta mi servono?".
La cosa bella è che, per la prima volta nella mia vita, ho fatto un esperimento. Ora, dicesi esperimento un tentativo di dolce/abbinamento di sapori vari non ancora collaudato e che non segue una ricetta. Mi spiegherò meglio: ho la ricetta della torta alla menta e quella di una ciambella variegata alla vaniglia e al cioccolato. So fare la ciambella, ma non ho mai provato a cimentarmi con la torta alla menta. Tuttavia, decido improvvisamente, in base a ispirazioni celesti random, di provare a variegare l'impasto al cioccolato con un impasto alla menta. Non è stato troppo difficile, è bastato fare la proporzione per ricavare quanto sciroppo di menta mi serviva e diminuire un po' lo zucchero. Però è stato interessante e, oltretutto, dato che il mix era azzeccato, mi sento una specie di genio.
E la parte più divertente del cucinare, ovviamente, è prendere un cucchiaio e mangiare i rimasugli di impasto crudo che restano nella terrina, dopo aver infornato le torte. Mangerei CHILI di impasto di torta. Ho dei dubbi su quanto possa essere salutare, ma sono i piaceri segreti (rivelati potenzialmente al mondo intero da questo momento) dei pasticceri amatoriali :3 Seriamente, è troppo gratificante. Oltre al fatto che, in altre occasioni, cucinare torte mi ha salvata dal passare pomeriggi a piagnucolare sul letto.

Direi che posso anche finirla, per oggi. Buonanotte :3

martedì 20 marzo 2012

Bianco. (Spezzatino di ragionamenti random)

Un rumore annebbiato, appannante e bianco. Mi aleggia nella testa ogniqualvolta io tenti di pensare a qualcosa di concreto.
Anche adesso, osservo il bianco della pagina tentando di reperire qualche cavolata con cui riempirlo. E' tanto che non scrivo qualcosa sul blog, effettivamente. E quindi eccomi qua, imbambolata davanti allo schermo, a fissare il bianco, come se ne potesse a un tratto saltar fuori qualcosa, tipo pupazzo a molla.
Stanno spuntando i primi fiori. Sulla strada da scuola a casa ne ho visti, erano bianchi anche quelli. E ormai in effetti la primavera si potrebbe dire sia praticamente già qui.
E' una stagione che adoro. I primi aggettivi che mi vengono in mente, quando ci penso, sono "tiepida" e "frizzante". Non è un abbinamento scontato. Anzi. Non so nemmeno come spiegarlo. E' il sole. Ti accarezza il viso e ti riscalda le mani, e nello stesso tempo ti mette addosso una carica assurda. E' così strano, quando vedo il sole fuori mi assale la voglia di fare qualcosa di pazzo, sulla scia di progetti entusiasmanti del tipo "yeahh, conquistiamo il mondo!". Peccato che alla fine la forza d'inerzia mi tenga incollata sulla sedia. E dentro ho questo senso di qualcosa di incompiuto. Forse dovrei solo uscire di più, ma quest'anno ho fatto l'errore madornale di non lasciarmi nemmeno un po' di tempo libero. Mai più un anno così. E dire che questo dovrebbe essere il periodo più carico, dove pensi "sì, portiamo tutto a termine allegramente, peace and love". A me in questo momento rimane solo la componente "peace and love", unita a una dolce confusione mentale/trasformazione in ameba/brodaglia di pensieri indefiniti misti a sonno.
Mentre io mi perdo nella mia nebbia mentale, il mondo continua ad andare avanti, è questo il brutto. E così, ecco che scopri di esserti dimenticato tante cose che sono successe, e che magari ti sono state dette, ma sono entrate da un orecchio e uscite dall'altro, come se la tua testa fosse un fantastico bed&breakfast, dove le informazioni passano, stazionano per cinque minuti, e poi si dileguano -poof!- nel nulla.
E mentre il mondo va avanti e la nebbia mentale avanza, sento alle mie spalle il potente richiamo del letto, che mi sussurra di dormire. Ma non voglio. Ho sonno, ma non voglio dormire. E so che domani avrò sonno, ma non me ne importa. La cosa strana è che nessuno sia venuto a intimarmi di spegnere tutto. Era già capitato un'altra volta. Ma solitamente i miei non sono così liberali sul poter stare svegli a lungo la sera, quindi la cosa mi stupisce e non poco.

Direi che il sonno ha definitivamente vinto sulla voglia di stare sveglia a scrivere pensieri a caso, quindi concludo questo fritto misto di pseudoriflessioni inconcludenti e me ne vado in letargo per le prossime sette ore e qualcosa, in attesa che inizi un nuovo giorno, solita sveglia, solita scuola, solito questionario di chimica, solito corso d'inglese, solito mercoledì.

E' la forza d'inerzia, è solo merito della forza d'inerzia.

giovedì 15 marzo 2012

Bang! (Riflessioni post gita)


Tre giorni in un battito di ciglia. Sono partita con una fibrillazione indicibile addosso, e senza neanche rendermene conto ero già tornata, con una moltitudine di posti nuovi nel cuore, un paio di souvenir in più nella valigia, tanta stanchezza piombatami addosso all'improvviso (e sfido io, a non esser stanchi dopo aver dormito 4 ore in 2 giorni), due o tre centinaia di foto che potrò riguardare nei momenti di depressione profonda, il subconscio totalmente sconvolto, le gambe e i piedi che mi gridano vendetta (beh, dopo aver camminato incessantemente per due giorni filati, certo non potevano essere indenni) e parecchio altro ancora.

Roma è magica, semplicemente magica. Mi aggiravo per la Basilica di San Pietro, nel Colosseo o davanti al Vittoriano con sguardo totalmente estasiato, colpita nel profondo da ogni singolo particolare e come sminuita dalla grandezza di tutto. Più guardavo più non sapevo dove guardare, sono posti che ti rimangono impressi nella memoria che tu lo voglia o meno. Statue alte tipo tre metri. Statue sopraelevate, poste ad un'altezza di decine di metri. Statue perfino sulle sommità di certi monumenti, qualcosa che detto così non sembra un granché, ma quando le ho viste mi sembravano una cosa estremamente suggestiva, insolita e impossibile. Poi, cioè, vogliamo parlare di Piazza di Spagna? O della fontana di Trevi? Posti che se ci vai di sera, c'è il caso che ti venga voglia di trascorrerci tutta la notte. C'è un'atmosfera incredibilmente romantica. Sarebbe stato bello avere il mio ragazzo lì. Poi parliamone, com'è cantare a squarciagola in compagnia della propria compagna di banco per le vie di Roma, gli auricolari coi Breaking Benjamin a palla, fregandosene degli altri ragazzi e dei passanti, "tanto quelli ti vedranno stasera e non ti vedranno mai più"? E' da fare, è da fare. Nessuno può immaginare quanto sia liberatorio (anche perché non è da tutti sperimentare una cosa del genere. Non è come avere TUTTA la comitiva di 50-60 persone che cantano in coro. Quando si è in due o tre che cantano liberamente per i fatti propri, imparare a non considerare le persone intorno che potrebbero decidere di ascoltarti e di non gradire l'insolito spettacolo dà un senso di potenza incredibile. Ti fa sentire tipo "io posso fare quello che mi pare").

E questa non è nemmeno la metà delle cose che ho visto e fatto. D'altronde, le cose che ho visto non sono nemmeno un decimo di quelle che vale la pena vedere o fare. E' stato breve ma intenso, fermo restando che tre giorni, per Roma, sono davvero troppo pochi.

La cosa bella delle gite è che scopri le cose più inaspettate sui tuoi compagni. Tipo: ragazzi apparentemente disinteressati alle ragazze o comunque persone da cui non ti aspetteresti mai un abbraccio, che diventano dolci e teneri come dei cuccioli, e se glielo chiedi magari ti prendono anche in braccio. E ce n'erano, potrei fare almeno quattro o cinque esempi. Oppure, scopri che sarebbe stato meglio opporsi quando si erano fatte le disposizioni per le camere d'albergo (per inciso, tra i motivi per cui il tempo passato a dormire è stato così poco, ci sono due delle mie compagne di stanza) (e pensare che una di loro due mi ha salvata dalla depressione, l'ultima sera), e che certa gente non conosce il concetto di rispetto per chi tenta di dormire. Se mi mettono di nuovo in camera con quelle due, mi metto in valigia un paio di coperchi di pentole, la mattina punto la sveglia alle cinque, mi alzo e inizio a fare un caos infernale. Vorrei ben sperare che non succeda, però. Ho stretto una specie di accordo con due compagne di classe. Chissà se se ne ricorderanno, magari si sono già scordate tutto. Anche i prof mostrano il loro lato oscuro, non avrei mai immaginato che i nostri accompagnatori fossero degli animali notturni con cui stare in giro la sera fino a tardi. Altra cosa che è venuta fuori: per quanto io possa deprimermi o sentirmi asociale, non sono l'unica a sentirsi fuori posto. Ne sono venuta a capo ieri in treno, tornando a casa, ma mi sentivo come se avessi scoperto l'acqua calda. Durante la gita ci sono state cose come il mio primo viaggio in metropolitana, la prima volta che vedevo un posto, il mio primo spuntino di mezzanotte, eventi del genere. Avrei voluto avere qualcuno a cui magari ero legata con cui condividere queste esperienze, invece molte volte ero sola, e il pensiero di fondo era "sarebbe una cosa molto carina che ai miei amici venisse la curiosità di sapere se magari, per qualche caso cosmico, sto male, ma il fatto che io sia ancora qui e nessuno si accorga che in mezzo alla strada sto quasi praticamente piangendo mi fa pensare che in fondo sono sempre sola e sempre lo sarò". Però non è per niente giusto assumere quest'ottica. Ieri ho pensato che potrei non essere l'unica a provare questa sensazione, com'è logico, del resto, perché tutti abbiamo dei sentimenti, quindi tutti possiamo occasionalmente sentirci eclissati dal resto del mondo. Una mia compagna di classe, due o tre volte, aveva detto di sentirsi asociale. Quanto sono stata stupida a non migliorarle la giornata. A tratti mi ero sentita esattamente come lei. Però ero sempre dietro a quei due o tre compagni e cercavo di sentirmi accettata da loro, di stare sempre con loro. Ma se loro avevano, giustamente, anche altre persone con cui far balotta, non era un torto che mi facevano. Insomma, mi sento una persona decisamente migliore perché ho scoperto che le mie botte di depressione derivano solo ed esclusivamente da pensieri troppo egocentrici. E' bastato correggere il mio punto di vista per liberarmi da un peso. Logicamente non finisce qui, di giornate tristi ce ne saranno sempre, ma almeno ho un modo in più per contrastare me stessa. Se ho bisogno di aiuto devo cercarlo io dagli altri, non viene da solo, non cade dal cielo per magia solo perché mentalmente lo sto invocando.

Nonostante tutto, è stata la più bella gita che io abbia mai fatto. Anche se sono riuscita ogni giorno a trovare il motivo per deprimermi. Anche se l'ultima notte, mentre tutti erano impegnati a trovare un modo per far balotta fino a tardi, sono riuscita a rimanere da sola nella stanza d'albergo e scoppiare in singhiozzi come una disperata (notare che poi alla fine tutti si sono addormentati come delle pere cotte prima delle tre, mentre io, che ero la più stanca morta di tutti, sono forse quella che è stata sveglia a far cazzate -con la compagna di stanza di cui sopra- più a lungo). Anche se mi sentivo brutta (mentre contemporaneamente, così da un giorno all'altro, erano tutti quanti a dirmi che ero stupenda. Perché? Quando uscivamo la sera, posso anche capirlo, dal momento che quando mi metto in tiro per bene sono anche carina. Ma anche durante il giorno? Nononono. C'è qualcosa che non quadra). Anche se dal secondo giorno in poi ero stanchissima e molto addormentata. Mi sono divertita come un'idiota, come una bimba che gioca, come una normale quindicenne in gita, oserei dire. Detto da me ha dell'incredibile.

E se il semplice fatto di aver trascorso tre giornate a Roma mi fa scrivere così tanto (se non è il mio post più lungo, ci va molto vicino), beh... vuol dire che è proprio un gran posto :3

domenica 11 marzo 2012

Partire, tensione, aspettative, va tutto a scatafascio, forse.

E già dal titolo potete immaginare che sarà un post molto random. Stocastico, oserei dire. Mai sentito parlare della musica stocastica? Io la trovo una cosa assurdamente magnifica. Più che altro è divertente la storia di come ne ho scoperto l'esistenza. In una conversazione con un mio amico, una volta, neanche troppo tempo fa, era saltata fuori questa parola (tra l'altro mi ricordo che era stata definita come un "termine idiota utilizzato per sembrare colti"). Ero solo riuscita a capire che stocastico era sinonimo di probabilistico, ma dato che non avevo un'idea chiara del significato, una domenica mattina in cui avrei avuto di meglio da fare (ma si sa, la curiosità è donna, e un termine così affascinante non poteva non essere indagato), ho preso il vocabolario e ho cercato il significato di questa benedetta parola. Così ho scoperto che stocastico, come probabilistico, significa dovuto al caso. Ma non solo. Leggendo la definizione sul vocabolario, mi sono accorta che veniva citata questa musica stocastica, di cui non avevo mai sentito parlare (eh già, non si finisce mai d'imparare), definita grossomodo come "musica del 900 basata sull'indipendenza dell'altezza e della durata dei suoni all'interno di una rigorosa struttura probabilistica". Così sono passata alla ricerca e all'ascolto di un brano stocastico, sempre aiutata dal mio amico. Beh, posso dire che è davvero un'esperienza. Piuttosto inquietante. Random. Dà da pensare, insomma, il fatto che la musica è qualcosa di così potente che, anche se combini i suoni in modo probabilistico, ottieni qualcosa di comunicativo.
È stocastico persino il mio umore. O meglio, è un fritto misto di trecento sensazioni in salsa di indecisione. Da una parte sono bloccata dall'impossibilità di aiutare un amico in difficoltà. Sul serio. Non so davvero cosa fare. Non capisco se il semplice stargli vicino lo aiuti, sento che non basta. Vedo gli altri prodigarsi per trovare mille e un rimedio, uno più efficace dell'altro, e io me ne sto qui imbambolata a scrivere. E dall'altra parte, c'è una partenza imminente. Domani. Gita scolastica, tre giorni due notti. Ora, non era già abbastanza il trovare i miei pensieri scissi in due campi praticamente opposti: il mio subconscio li fa anche entrare in conflitto tra loro, garantendomi pazzia istantanea. È vero, la gita non dipende da me, ma mi sembra ignobile partire in un periodo del genere, in una situazione del genere. Non potevo sapere cosa sarebbe successo, quando ho versato la caparra. Ma in qualche modo mi sento in colpa lo stesso, principalmente perché so che sarà fottutamente divertente. E io sono in una situazione tale che non voglio divertirmi. Divertirmi, poi. So già come andrà a finire: tutti faranno balotta, tranne me. Come al solito. Mi coinvolgeranno per il loro gusto personale, finché troveranno conveniente la mia compagnia. Poi sarò quasi sola. Sarei sola del tutto se non fosse per il sostegno morale dei miei amici (di uno in particolare - so che stai leggendo, quindi grazie). Ero sola del tutto nelle gite dell'anno scorso. Ma quest'anno non è l'anno scorso, sono cambiate mille e una cosa. Rispetto a due anni fa sono irriconoscibile. La cosa buffa è che io, stanca di essere continuamente circondata da persone a cui non interessava veramente la mia amicizia e conscia del fatto che praticamente non avevo una vita sociale, millantavo già, in un futuro non troppo lontano, di "passare alla Storia come Colei La Quale Ha Scalato Le Vette Della Società Senza Barare Né Montarsi La Testa". Stiamo parlando di maggio 2010. Che periodo, scrivevo parecchie iniziali a lettere maiuscole. Così, per scelta stilistica. Era una cosa molto idiota. Quel che non avrei mai detto è che in capo a due anni avrei trovato davvero persone che mi apprezzavano per quel che ero (so che è una cosa che ho scritto in almeno altri tremiladuecento post. So che mi sto ripetendo. Ma è così, davvero). Cambierei ancora tante cose di me, i sogni nel cassetto sono tanti, forse anche troppi, tant'è che quasi non riesco a stare dietro ai miei mille interessi. Credo di essere troppo pigra. Ho l'energia, il tempo e gli strumenti per fare qualunque cosa io voglia della mia vita, ma a volte mi lascio decisamente andare. Pomeriggi in cui non studio niente, serate passate al pc, weekend fatti da staticità assoluta (un po' volontaria, un po' imposta dai miei che non mi lasciano uscire più di tanto). Sono cose che a lungo andare mi demoralizzano: meno cose faccio meno cose voglio fare, e oltretutto più vado avanti nell'ostinarmi a non muovere un dito, più guardo i miei progetti andare a rotoli. È sempre difficile riprendere in mano la propria vita dopo periodi così (e io ne ho avuti parecchi, si può dire che ne stia passando uno proprio adesso).
Tre giorni e due notti di stacco totale da chiunque non concerna i miei compagni di classe e i prof accompagnatori. Ho fatto le valigie stamattina, e ci ho messo pochissimo tempo. Mi sembrava una cosa così surreale che non smettevo un attimo di leggere e rileggere l'inventario che avevo stilato, controllando se avevo scordato qualcosa. Quella sensazione di inquietudine di fondo non mi abbandona mai. Tanto sono quasi sicura che dimenticherò le pantofole, domani, in preda alla mia sbadataggine cronica mista a sonno comatoso. Due notti senza pantofole sono una brutta cosa. Relativamente.
Basta così, per oggi. Dato che è un post tanto lungo, potete divertirvi a leggerlo tutto nei tre giorni in cui sarò via e, volendo, anche a trovare tutte le contraddizioni disseminate nei miei discorsi sconclusionati... Perché ce ne sono, e anche tante.

venerdì 9 marzo 2012

Paradossi parossistici.

Del tipo: amare. E' un paradosso enorme. E non mi riferisco esclusivamente all'amore che c'è in una coppia, anzi... Insomma, un essere umano non può vivere normalmente se non instaura una relazione con qualcuno. Questo vale perfino per le prime società di ominidi. Figurati se non vale al giorno d'oggi. Il ventunesimo secolo... l'era delle comunicazioni... non avere relazioni di alcun tipo con nessuno è praticamente impossibile. Quello che ci frega è che siamo dotati di sentimenti. Se non lo fossimo, nulla potrebbe ferirci, e non avremmo bisogno di nessun aiuto esterno per risolvere i nostri problemi psicologici per il semplice motivo che non avremmo problemi psicologici. Ma i sentimenti ci rendono estremamente vulnerabili. E così andiamo alla ricerca di qualcuno che ci capisca, o perlomeno che ci possa aiutare, anche se magari non per sempre, almeno per un po'. Abbiamo bisogno di aprirci agli altri, non c'è scampo. E una volta che qualcuno ha la tua completa fiducia, allora sei in gioco, e la posta è altissima: agli amici col tempo si dona veramente un pezzo della propria anima, con cui loro possono fare quello che ritengono più giusto. Ti hanno in pugno, possono manipolarti, spezzarti il cuore. Se sono veri amici, però, ti rispettano. E non solo: ti donano, a loro volta, un pezzo della loro anima, del loro io più vero. E' così che due o più persone si ritrovano legate le une alle altre.
Ma la cosa più bella dell'amicizia, sotto certi punti di vista, è l'empatia. Insieme si ride, si scherza, si sta bene, si iniziano a pensare le stesse cose, i punti di vista si fondono. E' facile cercare un amico solo per potersi sfogare e intrattenere conversazioni piacevoli. Però bisogna essere pronti anche a soffrire, perché anche gli amici sono vulnerabili, anche loro potrebbero stare male, e non è affatto piacevole sapere che un amico sta soffrendo. Com'è che diceva quella frase, tutti vogliono avere un amico, nessuno si occupa d'essere un amico. Non mi ricordo chi l'ha detto, ma purtroppo molte volte è vero. Io non credo di essere così, e oltretutto, per come la vedo io, se hai un amico sei un amico. Altrimenti non hai un amico, hai uno psicologo abusivo. E sei anche una specie di parassita.
Alla fine il paradosso qual è, che ci cerchiamo degli amici per poter soffrire di meno e trovare il modo di tirare avanti, ma alla fine soffriamo lo stesso. Soffrire per amore di qualcuno sa molto di concetto alto e nobile, ma sembra quasi un controsenso. Anche se, del resto, a volte è l'unico modo per mostrare che stai dalla parte di qualcuno. Avete presente il sostegno morale? Certi pensano che sia la cosa più inutile del mondo. Invece, quando si trova il modo di esprimerlo a parole, non dico che si salvi una vita, ma comunque è un grande aiuto.
Insomma, ora è il momento di smetterla coi discorsi filosofici. Purtroppo il treno non aspetta, ma il conservatorio sì, quindi se non mi sbrigo sarò doppiamente nei guai ç_ç

mercoledì 7 marzo 2012

Toni di voce.

Mio padre mi ha sempre rimproverata di avere una voce troppo squillante. Di parlare troppo forte. Di essere una persona chiassosa. E di consguenza, per certi versi, sgradevole.
Anche ieri sera, in macchina, dopo un viaggio in treno in cui avevo parlato praticamente tutto il tempo con dei miei amici incontrati per caso, ha iniziato a sbraitare qualcosa come "devi abbassare il tono di voce, perché tu non parli, URLI!!!". Boh. Nell'arco delle ultime due ore, l'unica persona che avevo sentito urlare era lui mentre eravamo in macchina. Posso capire che la situazione sia diversa, il treno è un luogo pubblico, mentre la macchina è isolata.
In macchina, le peggiori bestemmie, lamentele, lacrime e urla isterighe rimangono imprigionate, non viste e non sentite, muovendosi di moto accelerato, e più urli, piangi e strepiti, più ti rimbalzano addosso, come nei peggiori incubi... ma ehi, sto divagando.
Non è verro che urlo. Parlavo a un tono di voce normale in un luogo pubblico. Per lui è tipo un sacrilegio. Beh, magari è vero che il mio concetto di "volume normale" è alto, ma forse non me ne rendo conto. Tsk.
Tuttavia, non penso sia un caso se al corso di teatro mi si dice di alzare la voce quando recito. Solo che non mi spiego il perché, e il mio subconscio impazzisce. Insomma, non ero io quella che parlava troppo forte? E che devo fare, poi? Da una parte c'è chi vorrebbe il mio silenzio istantaneo, dall'altra c'è necessità che io parli più forte. E quindi... parlare piano o parlare forte? Moderare il volume in base alle circostanze o parlare come mi riesce, in quel tono tanto squillante e fastidioso per mio padre quanto vacillante per quelli del teatro? La prima opzione mi converrebbe. Ma non ho molta voglia di parlare con un amico, magari incontrato per caso, su un treno in ritardo o preso al volo, e che non vedo da secoli, come se fossimo a un funerale. Proprio no.

martedì 6 marzo 2012

Pezzi di me.

Beh, oggi è martedì. E come tutti i martedì di questo follemente frenetico anno scolastico, ho dovuto affrontare, nell'ordine, scuola, corso di teatro e conservatorio. Inutile dire che a scuola sono arrivata in ritardo, insomma, sono uscita praticamente alle 8, alle 8 e 5 si inizia, e la megasalita che porta da casa mia a scuola, per non morire, bisogna farla in minimo sette-otto minuti. Poi che oggi avevo chimica, quindi, arrivata a scuola, sono andata giù giù giù di corsa nella mia classe a prendere il camice e poi su su su, rampa dopo rampa, fino al laboratorio di chimica... avete presente, nelle favole, la stanza più remota della torre più alta? Bene, l'auletta a fianco al laboratorio, dove abbiamo lezione di chimica, è paragonabile a quel genere di luoghi. Così remota che non si sente quasi neanche la campanella suonare... Brr, inquietante.
E la verifica di fisica alla quinta ora, che dire. Non era difficile, ma mi erano rimasti solo 15 minuti scarsi per finire la parte strutturata. Ma in qualche modo me la sono cavata. E poi di nuovo, via, di volata a casa (sfruttando il mio amico Marino che mi ha gentilmente offerto un passaggio... di quante cose devo ringraziarlo!!!), pranzo di corsa, prepararsi di corsissima, volare letteralmente a scuola per arrivare prima dell'inizio del corso di teatro. Beh, direi che quella è stata l'attività che mi ha procurato meno stress, a parte un attacco di gelosia (e la cosa che mi preoccupa è che la colpa NON E' del mio subconscio!!! la faccenda è molto seria T_T), il credito sul cellulare che sono riuscita di nuovo a finire, e la paranoia di dover prendere il treno e uscire da teatro con dell'anticipo. Alle 15.31 sono uscita. Ed ecco l'elemento bazzistico della mia frettolosa giornata: mi sono scapicollata dalla scuola al viale che passa per la stazione, correndo come una disperata, gradino dopo gradino, falcata dopo falcata, ed ero vicinissima alla stazione, per cui ho dato un'occhiata all'orologio. Ero a tipo trecento metri dalla stazione e mancavano sette minuti al treno. Ho deciso di prendermela comoda e i minuti da sette sono diventati tre. Così, sono corsa al bar a comprare i biglietti, ma davanti a me c'era la signora più flemmatica di questo mondo, che doveva fare la ricarica alla cassa. E così, tra dire il numero, digitarlo, fare lo scontrino, il tutto con una flemma indicibile, i minuti all'arrivo del treno diventavano due e poi uno e poi trenta secondi. Ho chiesto i biglietti e, contando i soldi per vedere se potevo comprare una ricarica, ecco che vedo con la coda dell'occhio il treno che arrivava. Mai successa una cosa del genere. Ho preso i biglietti in fretta e furia, con il mio portafoglio completamente aperto (tanto non c'erano soldi dentro), e sono corsa alle obliteratrici prima e al treno poi, seguita da un'ecatombe di biglietti e tessere varie che dovevo fermarmi ogni volta a raccogliere. Una volta in treno, facendo la ricognizione dei miei averi, mi sono ritrovata con le tasche laterali del portafoglio (tipo quelle dove si mettono le carte di credito, e cose del genere... io ci tenevo i biglietti usati accumulati in mesi di conservatorio, e altre bagagliate cartacee) stranamente vuote. Quando ho realizzato di aver perso tutti quei biglietti del treno e citypass usati, ci sono rimasta leggermente male. Sigh, è dallo scorso novembre che li conservo tutti. Novembre del 2010. Pensare che una dose considerevole di biglietti era rimasta a marcire sotto la snervante pioggerellina di mezza stagione, fuori dalla sala d'aspetto, sbalzata fuori dal mio portafoglio spalancato per colpa del principio d'inerzia, mi ha messo un po' di malinconia. Avevo il fiatone, ero sudata e mi era preso quasi un infarto, perché stavo veramente per perderlo, quel treno. E se perdevo quel treno, mi aspettavano un'altra vagonata di epiteti poco piacevoli (come quelli di cui parlavo nel post precedente). Per tranquillizzarmi, ho deciso di metter su un po' di buona musica. Ma per quanto provassi a rilassarmi guardando il paesaggio scorrermi a fianco, non ci riuscivo. Mi sentivo come se avessi dimenticato qualcosa, ma cosa? E allora ho pensato che forse è dovuto proprio al fatto dei biglietti. Perché perdendo un pezzetto del mio passato, tante strisce di carta timbrate ognuna in modo diverso, sembrerà banale, ma ho perso dei pezzi di me. Al ritorno da Bologna, passando per la stazione, ho intravisto delle macchie rettangolari luccicare, per terra, davanti alla sala d'aspetto. E ho pensato che sicuramente erano i miei amati biglietti. Ma non sono riuscita a controllare, erano tutti troppo di fretta, mia madre già in macchina e mio padre stanco. E quindi ora devo arrendermi all'idea di aver perso oggetti che segnavano i miei giorni in conservatorio, le lezioni saltate... Forse c'erano anche i biglietti per Casalecchio e quelli delle olimpiadi della matematica, in mezzo. Pazienza. Ora sono a marcire sotto la snervante pioggia di mezza stagione, e non ne resterà che irrecuperabile poltiglia. Tutto questo per una corsa pazza, per un salvataggio dell'ultimo minuto. Mi mette malinconia, ma dovrebe servirmi da lezione.
E detto questo, la smetto di tediarvi con le mie vicende vicendevolmente vicendevoli e vi auguro una buona notte.

giovedì 1 marzo 2012

"Cretina!" (dimenticanze).

cretino [fr. crétin 'cristiano', nel senso di 'povero cristiano, pover'uomo'] agg.; anche s.m. (f. -a)
1 Che (o Chi) è affetto da cretinismo.
2 (est.) Che (o Chi) manifesta o rivela stupidità: discorso c.; persona cretina; parole cretine; comportarsi da, come un c..

dimenticare [lat. tardo dementicāre, da demĕnticus 'dimentico']
A v. tr. (io dimentico, tu dimentichi)
1 Perdere la memoria delle cose, non ricordare più qualcuno o qualcosa
2 (est.) Trascurare, lasciare in abbandono
3 Considerare con indulgenza e cancellare dalla propria mente
4 Lasciare un oggetto in un luogo, per distrazione e simili
B v. intr. pron. (dimenticarsi)
Non ricordarsi; Tralasciare di fare qualcosa, di recarsi in un luogo e sim., per disattenzione, mancanza di memoria e sim.
[definizioni tratte dal vocabolario Zingarelli 1997]

In questi giorni dimentico troppe, ma veramente troppe cose. Dal chiudere gli scuri la sera, alla lezione di chitarra del giovedì, a come distinguere un si passivante da un si intransitivo pronominale. Potrei finire per dimenticare la testa sul cuscino, un giorno. O peggio dimenticare come mi chiamo. O dimenticare chi sono. E a questo proposito, lasciatemi citare Terry Pratchett, che in Sourcery dice: "Oh, yes. It's vital to remember who you really are. It's very important. It isn't a good idea to rely on other people or things to do it for you, you see. They always get it wrong." (tradotto alla buona, sarebbe a dire: "è d'importanza vitale ricordare chi sei veramente. Non è una buona idea contare su altre cose o persone perché lo facciano per te, vedi. Lo fanno sempre nel modo sbagliato." Più o meno) (scusate, ma DOVEVO citare zio Terry. Ci stava troppo una citazione del genere) (e dopo questa piacevole divagazione letteraria, continuiamo col mio astruso discorso). Insomma, sono terribilmente sbadata, completamente stesa e assolutamente sparaflashata da questo sole meraviglioso. Poi che oggi hanno finalmente riaperto le Streghe, la gelateria del paese, dopo una luuuunga chiusura invernale. Ho improvvisato un'uscita coi miei migliori amici e mi sono mangiata la bellezza di due coni gelato. I primi due gelati della stagione! Poi fuori si stava anche bene, non vedevo i miei amici da tanto e quindi si aveva di che parlare. E il promemoria mentale della lezione di chitarra delle sei meno un quarto è finito sepolto sotto un affettuoso torpore primaverile. Sono forti, i miei amici. Vorrei essere anch'io forte come loro, capace di tirarli su dalle loro insicurezze, dai loro sentimenti, da ciò che li distrugge. Il tempo passava e del "Torna presto" lanciatomi da mia madre sull'uscio di casa rimaneva solo un'eco lontana in un angolino della mia testa. E stavo proprio dicendo di dover andar via, quando mia madre stessa mi ha ricordato che dovevo essere a lezione di chitarra già da cinque minuti. La mia fortuna è che si tratta di lezioni abbastanza informali, dove in realtà anche se arrivi più tardi o rimani più a lungo dell'ora pattuita, non succede niente. Ed effettivamente, arrivo sempre in ritardo, perché spesso finisco per dimenticare dell'esistenza di queste lezioni. Dieci minuti dopo l'incazzatissimo promemoria della mamma, ero sudata, col fiatone, la chitarra in spalla, ed ero ufficialmente una cretina. Credo che il "CRETINA!"che è risuonato più volte in casa l'abbiano sentito fino in Australia, stavolta. Odio essere chiamata così. E con quel tono. Mezzo adirato e mezzo come a dire "vergognati, essere spregevole". Questo non perché io non sia una cretina. Certe volte faccio delle sparate che le parole che mi vengono in mente per definirmi sono ben peggiori. È il disprezzo con cui mi viene detto che mi fa deprimere. Anche perché è seguito da diverse ore di insofferenza profonda. Qualunque cosa mi venga detta dopo, è impregnata di disprezzo. Ma vaffanculo, per piacere. Se devo sentirmi in colpa perché sono un essere umano, preferisco quasi morire. Cazzo, sono un essere umano! Le cose può darsi che le dimentichi anche, no? Magari non sempre, ma non sono un automa o una macchina o un congegno programmato in ogni singola azione e destinato a vivere una perfetta vita meccanizzata. Non voglio essere così. Quando avrò io dei figli, me ne ricorderò. Spero proprio di ricordarmene. Perché è un comportamento così deleterio che cado in depressione ad ogni mio minimo sbaglio. E non voglio che i miei figli cadano in depressione al primo sbaglio, se mai ne avrò. Se non mi uccido prima per liberare il mondo da una persona così cretina. Tsk, basta pensarci adesso. Tanto è da ormai tre anni che sto progettando la mia fuga. Me ne andrò lontano, il più lontano possibile. Più lontano dell'Australia, così se mai gli verrà voglia di chiamarmi cretina non potrò neanche sentirlo, perché sarò intenta ad aver DIMENTICATO cosa si prova ad essere chiamata CRETINA! Sigh. Meglio che ora smetta, potrei andare avanti di questo passo tutta la notte (nonché iniziare seriamente a fare nomi, anche se il tutto era abbastanza esplicito).
Quindi, buonanotte.