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mercoledì 27 marzo 2013

Elucubrazioni del fantasma di una persona allegra.

Sono un ostacolo o cosa? La gente va via da me. Di continuo. Sono una bomba a orologeria? Un'appestata? Cosa ho fatto? E a chi? Neanche posso dire che la gente mi tratta come ruota di scorta e viene vicino a me per non stare sola, peggio ancora: la gente piuttosto che stare con me sta da sola. Deliberatamente e palesemente, prendono tutti le distanze. E meno male che di loro a me non fregava niente.
La verità è che li invidio tutti, uno per uno. Per quanto possa aver pensato di loro le peggiori cose possibili, tutti quanti dal primo all'ultimo hanno una cosa che a me manca e non saprei neanche dire a parole cos'è. Non è che non ho una vita sociale, ce l'ho, marcia ma ce l'ho. E' che loro legano tutti l'uno con l'altro in un modo così profondo, ma non troppo profondo (?), e quindi alla fine loro sono lì, belli, uniti, splendidi e fulgidi, e poi ci sono io, pallottola vagante, lì sola seduta al primo banco, e loro magari si accorgono anche che non sto bene, ma, pensano, cosa mai potrebbero farci, e del resto, alla fine chi se ne importa.
Tanto per cambiare ci piango sopra, e perché no, per farlo mi chiudo in un bagno, magari. Inizio a piangere perché penso a quanto sarebbe triste piangere. Patetico. Trovatemi qualcuno che si comporti in modo più vanesio e infantile di questo. Probabilmente a risolvere il problema della fame nel mondo ci si metterebbe meno tempo. Quanto può essere stupido, immaginare se stessi mentre si inonda di lacrime la spalla di qualcuno e trovare la scena così potentemente drammatica e toccante da commuoversi per un riflesso immaginario della propria persona? E' tanto tanto stupido.
Ancora lacrime che vanno sulle lacrime che vanno sulle lacrime che spingono i condotti lacrimali come l'acqua spinge una diga. Ma i condotti devono reggere - non è che puoi esplodere in singhiozzi così, dal nulla, mentre qualche tizio di fronte a te spiega a tutti tranne che a te cos'è la maieutica o come si calcola la quantità di moto in un sistema.

Anche all'invisibilità c'è un limite, dopotutto.

domenica 24 marzo 2013

Bang! #2 (la gita non fatta)

Quest'anno ho preferito evitare.

Londra era un posto in cui ero già stata per il triplo del tempo a parità di prezzo, e se dovevo buttare dalla finestra quattrocento e passa euro per tornarci con gente che, detta come va detta, degli sconosciuti sarebbero stati una migliore compagnia, tirando le somme, ho pensato che era meglio non andare.
Sono tornati da una settimana, ma parlano ancora tantissimo della gita - del resto, quella di Roma l'anno scorso non era stata tanto dissimile - e comunque tutto sommato non sono pentita di non esserci andata, anzi.

Se l'anno scorso in una certa misura nella mia classe mi ero iniziata a trovare bene, quest'anno, non si sa bene come, mi sento di nuovo completamente fuori posto, come una timina vicino a una guanina o come un lombrico nella Fossa delle Marianne, proprio non centro niente, niente di niente, con loro.
Mi immagino quanto sarebbe stato frustrante finire coinvolta in balle di gruppo, ritardi al limite dell'umanamente concepibile, avventure nelle fermate sbagliate della metropolitana, giri di shopping in cui tutti avrebbero avuto mete diverse dalla mia e soprattutto una più degna compagnia con cui fare acquisti improbabili, e altre cose di questo tipo, che succedono nelle gite di solito. Tutti erano completamente a proprio agio nei loro pianti alcolici e nel loro sentirsi fratelli e sorelle peace and love. Cosa ci andavo a fare io in quella specie di confraternita? L'accessorio? Il traduttore inglese-italiano/italiano-inglese? Il quattordicesimo incomodo? Un bagno nell'ipocrisia mia e altrui? Che bel divertimento.

Lunedì scorso, la cosa più traumatica e per certi versi anche abbastanza dolorosa e disillusoria è stata il rendersi conto che se in 7, tra cui io, erano rimasti a casa, mentre io mi ero fatta mille complessi e avevo finito con il distaccarmi definitivamente, gli altri 6 del loro non essere a Londra con gli altri non hanno risentito minimamente. Loro sono ancora nella classe, probabilmente anche più fratelli-e-sorelle-peace-and-love di prima. Io no.
Non so nemmeno io se di essere una parte di quel gruppo mi importa, mi fa piacere, o non me ne frega un emerito nulla. La cosa che sa di barzelletta è che tratto di merda tutti quanti e poi mi aspetto anche di essere considerata, compatita, acclamata, cercata. No ma dico, è giusto così. Quindi nel dubbio, mi sto distaccando e chiudendo tipo come un riccio, senza neanche volerlo.

Quindi alla fine sono messa così. Che ogni tanto faccio finta di essere anche solo minimamente legata a una, due, tre persone. Faccio finta d'andarci d'accordo, quel tanto che basta per non essere proprio un'eremita completa catapultata in una confraternita. Anche se alla fine in realtà sono sola.

Devo solo farci l'abitudine. Credo.

lunedì 18 marzo 2013

Errare.

Avevo dimenticato quanto fosse sciocco e distruttivo tenersi le proprie beghe per sé, completamente per sé. Per quanto stupide, per quanto insensate, avevo dimenticato quanto fosse un errore tenersele dentro.
Perché nel momento in cui fai la pazza scelta di tenerti dentro qualcosa, è come andare a camminare di punto in bianco su un filo di nylon sospeso su un precipizio, sapete, di quelli che nei film se ci buttano i sassi non sentono il tonfo.
Ed è come, mentre si cammina, avere la lucidità dei pazzi, ed essere tranquilli, come se per tutta la vita si fosse stati dei funamboli di mirabolante abilità.
Però in realtà qualunque cosa, qualunque, può buttarti di sotto, in ogni istante, senza motivo apparente. Un alito di vento, una cicogna che sta migrando verso i cieli africani (?), un'onda sonora, un aereo che passa, te stesso.
Te stesso, soprattutto.

martedì 12 marzo 2013

Riflessioni stupide di turno.

Di questa non mi piace che se la tira troppo,
di quello non sopporto il parlare sofisticato,
di quest'altra che si crede una dea scesa in terra,
di lui là che fa il fenomeno delle conoscenze scientifiche;
quella lì la odio perché fa fisso la troia,
e quanto a lei qua, guarda la gente che frequenta,
ma vuoi vedere che alla fine la peggiore delle persone,

quella che se la tira come una dea scesa in terra parlando sofisticatamente di mirabili conoscenze scientifiche e troieggiando per il mondo con la gente meno raccomandabile,

vuoi vedere che quella persona,
che alla fine si troverà sola,
sono proprio io?

mercoledì 6 marzo 2013

6-7-'12//6-3-'13

Che poi, chissà perché in questo genere di cose si dà sempre tanta importanza al tempo. Conta davvero così tanto se stiamo insieme da cinque giorni o un millennio o otto mesi?

Che poi, sono tutte grandezze così relative. Perché le contiamo? Per farci dire che è molto tempo dai tredicenni e che è una bazzecola dai nostri nonni? Per trovare pretesti per dirci cose augurose ogni tot tempo? La percezione reale del nostro tempo è qualcosa di così sfuggevole, tra l'altro. Eppure io stessa trovo che sia molto carino sapere che stiamo insieme e lo siamo stati finora proprio per quella quantità di tempo lì, né più né meno. Non so perché. Forse il non saperlo, il non averne un'idea nemmeno vaga, vorrebbe dire non avere coscienza di quanto in quel lasso di tempo si potrebbe essere cambiati. E anche lì, è tutto molto relativo, alle volte si può cambiare più in un'ora che in anni e anni. Ma un motivo a questo mio contare il tempo ci dev'essere, per forza.


Se Marte fosse abitato, magari dall'uomo, e a un qualunque marziano dicessi "otto mesi", per lui o lei non significherebbe niente, dato che i giorni e gli anni avrebbero durate diverse. Tutt'al più potrebbe fraintendermi.


Che poi, contare il tempo è una cosa che fanno tutti. Almeno a livello di mesi o di anni. Non so e non mi sarà probabilmente mai chiaro il perché lo si faccia. Per confrontarsi e reclamare, in funzione di una maggiore quantità di tempo, una maggiore serietà, una storia migliore? Chi dice che, di due coppie, la migliore sia quella che si è formata al liceo oppure quella che è spuntata per caso sei mesi fa? Come definisci, tra l'altro, che una coppia è migliore di un'altra? Posto che ci siano amore e rispetto (e sì che entrambe non sono cose tanto scontate, di questi tempi), ogni confronto è inutile.

Che poi, cosa può il tempo contro l'amore? Chiamatemi sognatrice, sdolcinata, come volete, ma nell'amore-che-dura-per-sempre io ci credo. A parte che i concetti di sempre, eterno, infinito, sono troppo vasti per rientrare nella nostra cognizione e siamo esseri finiti e mortali, quindi il persempre non è poi questa quantità di tempo così esponenziale. Ma comunque, sono fermamente convinta che sia possibile trovare una persona, quella persona con cui passare il resto della propria vita. Intendo, con cui si vuole passare il resto della propria vita. Magari prima di trovarla se ne possono incontrare altre mille che danno quell'impressione e in realtà non lo sono, ma ce n'è una che arriva e stravolge tutto, e il suo effimero relativo persempre vuole trascorrerlo e lo trascorre con te, sul serio.

Forse non è che sia così importante sapere che questa fetta di persempre finora ha occupato otto mesi tondi tondi della mia vita, ma ha un che di piacevole possedere il numero esatto.