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giovedì 18 dicembre 2014

Aspettative.



E' dicembre, il sole splende anche se fa freddo (sarà la terza volta che succede in un mese), la verifica di matematica che mi preoccupava da un'intera settimana è andata bene (e così mi sono liberata di una serie di preoccupazioni che avevo in testa fino a stamattina).
E oggi è il mio ultimo giorno da minorenne.
Dicono che dai 18 in poi il tempo vola senza che ce ne si renda neanche conto. In un certo senso ho passato anni a desiderare di vivere un giorno che, da dopodomani in poi, desidererò non fosse mai arrivato. Paradossale.

Intendiamoci, lo so che non cambierà assolutamente niente nel passaggio dai 17 ai 18. Nessuna cascata di coriandoli dal soffitto, nessun nuovo superpotere, nessuna fantomatica libertà in più se non quella di comprarsi una birra (sempre ammesso che non si debba guidare dopo, ma tanto la patente non ce l'ho ancora) o di firmarsi da soli le giustificazioni e le autorizzazioni.
E' una cosa più burocratica che altro. Nel concreto le cose saranno sempre le stesse (a parte la torta Sacher che proverà a fare mia madre. Quella sarà una bella novità).

Eppure, mi fa quasi strano pensare che domani avrò 18 anni. Un'età che ho aspettato di avere per mesi e mesi. Perché speravo che sarebbe cambiato tutto per me in funzione della maggiore età. E adesso eccomi qui, esattamente dove volevo arrivare. Se ci penso mi viene un nodo nello stomaco. Un po' come passare tutta la vita a chiedersi che sapore abbia la cioccolata, ed improvvisamente trovarsene una tavoletta davanti, a portata di mano. La cosa divertente è che è cambiato tutto lo stesso, senza bisogno di compiere 18 anni. Se le cose vogliono succedere, allora succederanno, indipendentemente dai nostri numeri e dalle nostre convenzioni sociali. E a me di cose ne sono successe un sacco, ma sto divagando.

Sarà questa cosa del mio compleanno, sarà questa bella giornata, sarà che mi sento sollevata perché fondamentalmente da qui alle vacanze di Natale non dovrò studiare quasi più niente, però oggi mi sento stranamente felice. E siccome queste sono le mie ultime ore da diciassettenne, vedrò di farle durare.

venerdì 14 novembre 2014

Welcome to Porrettana. (Avventure metropolitane del venerdì sera)

Oggi per la prima volta in quest'anno accademico ho avuto lezione di chitarra al conservatorio. Questo implicava che sarei dovuta andare a Bologna e ci sarei dovuta andare in treno, con lo sciopero pesantissimo che c'era e di conseguenza tutte le incognite del caso.
Ho preso il treno un'ora prima del dovuto perché ero certa che almeno quello sarebbe partito, e sono salita su questo treno con la prospettiva di un giro a Bologna completamente inutile.
Invece sul treno ho trovato da far balotta, e una volta a lezione ho fatto un cambio di orario così al volo con il tipo che doveva andare prima di me, e quindi alle cinque e venti ero fuori con al mio attivo un'ora intera di lezione e in tempo più che utile per arrivare con calma in stazione. Col senno di poi, alle cinque e venti avrei iniziato a correre come un'ossessa per arrivarci almeno ai 40, nonostante il treno partisse alle 18.04. Ma andiamo con ordine.
Dopo una breve fermata al 99 centesimi per comprare uno spuntino, peraltro molto imbarazzante perché mi stavo per dimenticare di pagare e la cassiera me l'ha dovuto far presente, mi sono avviata con flemma esemplare e Buddy Holly dei Weezer in sottofondo lungo via Indipendenza. E lì, ta-dan, ecco che mio padre spunta da dietro, dicendomi che erano tre ore che mi stava chiamando. Ovviamente per via delle cuffie non l'avevo sentito.
Beh, arrivati in stazione, scopriamo che il treno su cui ci accingiamo a salire è il primo che parte per Porretta in tutto il pomeriggio, e di conseguenza sono ormai almeno 10 minuti che i posti a sedere si sono riempiti. Dopo una difficile traversata di vagoni alla disperata ricerca di un posto (girare in un vagone zeppo di gente tenendo una giacca, una borsa monospalla e una chitarra non è comodo subito) ad un certo punto vediamo un sedile vuoto che mio padre mi indica vittorioso, ma ci dicono che è un posto già occupato. Però, siccome non abbiamo molta voglia di attraversare altri vagoni, ci fermiamo lì. Prendo dalla borsa i miei cubetti di cocco essiccato e dopodiché con l'aiuto di mio padre e di qualche passeggero riesco a togliere di mezzo giacca, chitarra e borsa. In tutto ciò succede la cosa bella, ovvero che un tizio universitario e molto chiacchierone seduto di fronte a noi chiede se vogliamo sederci al suo posto, offerta che molto educatamente rifiutiamo perché tanto qualcuno in piedi deve stare per forza, e per come la vedo io "è tutta salute!".

Non so bene quali parole usare per rendere l'idea dell'atmosfera che regnava nell'unico treno garantito del pomeriggio di questa giornata di sciopero pochi minuti prima della partenza, considerato che può essere garantito finché vuoi, ma se lo scopo di uno sciopero è creare disagio allora perché non decidere di sopprimere anche quello? Proverò a darne una vaga impressione specificando che:
  • Gli spazi tra un vagone e l'altro, dove ci sono le porte per scendere, erano gremiti di persone, almeno sette o otto, e nei vagoni stessi per ogni gruppo di 3 o 4 sedili c'era una persona in piedi che stazionava in mezzo al corridoio;
  • La speranza era così poca che aleggiava un vago senso di malcontento e nessuno credeva veramente che il treno sarebbe partito di lì a poco (e chi ci credeva di certo non gufava).
Quando finalmente si sono chiuse le porte e il treno si è messo in movimento, si è alzato tutto intorno un generale boato di sollievo. Proprio un boato. Immaginate tante persone che sospirano di sollievo, con, ad libitum, commenti del tipo "Finalmente, non ne potevo più!" oppure "Dai che forse arriviamo a casa stasera!". Però, nello stesso tempo, l'effetto è stato qualcosa di più della somma dei singoli sospiri/commenti, dato che veniva da un sentimento condiviso da ogni singola persona. E' abbastanza difficile da spiegare e non sono sicura di esserci riuscita. Potrei scrivere un intero post o addirittura un intero trattato sulla condizione dei pendolari in Porrettana ispirandomi unicamente a questo strano effetto. Mi sono sentita sollevata persino io, che non avevo proprio nulla di cui sentirmi sollevata essendo sicura della presenza del treno quanto del fatto che sarebbe partito e arrivato a destinazione.

E niente, la situazione a treno appena partito era che io mi trovavo sempre costantemente ad essere un ostacolo per le persone che provavano invano a spostarsi di vagone in vagone (in questi frangenti essere imbalzati come me è un grandissimo svantaggio) e tutti erano abbastanza nervosi. Poi l'universitario simpatico ha detto qualcosa sul fatto che il treno era molto pieno e io ho risposto, più a me stessa che a lui, "Sarà un lungo viaggio". E da lì si è dipanato tutto un filo continuo di argomenti di conversazione, dal treno che stazione dopo stazione si riempiva sempre più fino a raggiungere livelli parossistici (tanto che salire, scendere o spostarsi per cedere il posto erano operazioni che richiedevano "un esperto giocatore di tetris"), alla spettacolare serie di ritardi e cancellazioni che si succedono d'inverno quando c'è neve o ghiaccio in giro, al trasporto pubblico in generale, e avanti all'infinito, o almeno, fino alla mia fermata. Penso che alla fin fine, sulla nostra linea ci sarà pure un livello di disservizio incredibile, ma allo stesso tempo ci si trovano le persone più interessanti del mondo, se si ha la fortuna di incontrarle.
I mezzi di trasporto pieni hanno uno strano effetto sul modo in cui interagiscono le persone, anche se si tratta di perfetti sconosciuti magicamente si metteranno a parlare, a partire da un movimento goffo o da una cortesia chiesta o fatta gratuitamente. Io poi, quando sono su un treno e non ho niente da fare, per la disperazione di trovare un modo di far passare quei 50 minuti di viaggio o forse solo perché sono una persona estroversa e una terribile chiacchierona, mi aggancio alla minima possibilità di avere una conversazione e attacco delle pezze assurde a chiunque, se solo il ghiaccio si rompe. Non lo faccio neanche in modo del tutto conscio o intenzionale, semplicemente mi viene spontaneo. E penso che anche l'universitario simpatico sia più o meno così.
Ora, pur amando parlare e parlare e parlare, dopo una o due ore sento la testa che cede mano a mano che si riempie di brandelli di conversazione. In un treno zeppo come una scatola di sardine, dove molte persone si erano aggregate a chiacchierare tra di loro, questo effetto era molto amplificato. In più, mettiamoci pure il fatto che viaggiare in piedi comporta una forte instabilità ad ogni curva, fermata o partenza (e infatti una o due volte non avevo nulla a cui aggrapparmi e tra un po' mi ammazzavo) e che a lungo andare l'insieme di tutto questo diventa decisamente stressante. Sta di fatto che quando ho visto i lampioncini della stazione di Vergato dai finestrini appannati delle porte del treno, quasi non mi sembrava vero di essere arrivata. Come se per la precedente ora avessi vissuto in un universo parallelo e poi all'improvviso rieccomi catapultata alla realtà del mio paesino di collina.
E lo so, sembra una cosa drogatissima. Però giuro che mi sono sentita proprio così.
Troppi trip in Porrettana.

martedì 28 ottobre 2014

Metà.

Certe volte sembra che tutto anneghi in quella colata di imperturbabile grigiore che è la routine e il dare le cose per scontate.
Ci anneghiamo anche noi. Non io e te fisicamente, ma il "noi". Come se l'idea di noi che siamo uniti e connessi fosse un filo sottilissimo e quasi invisibile, lungo come la distanza che ci separa, e che ormai a volte pensiamo che si sia già spezzato da chissà quanto.
Però succedono tante cose, e nel marasma solo una certezza rimane costante: quando soffri tu, soffro anche io. E non è la semplice empatia che si potrebbe avere anche verso uno sconosciuto, c'è qualcosa di più. C'è che ti capisco al volo, che una qualunque frase che per chiunque potrebbe essere una frase fatta, se la dici tu e la dici a me significa tante cose.
Ed è in momenti come questi che sento il bisogno fisico di tornarti vicino, anche solo per un istante. Ma torna anche la sicurezza del fatto che io e te siamo ancora noi.

domenica 26 ottobre 2014

Delle battute sull'ebola.

Adesso però anche basta, veramente. Mi riferisco a uscite del tipo "Meglio l'ebola che il nuovo pezzo di Tizio", oppure "Caio è assente da una settimana... magari c'ha l'ebola".
Non sono allarmista. Non mi agito se sento parlare di un nuovo caso al tg (a parte che comunque cerco di non fidarmi troppo dei mass media per principio), non mi chiudo in casa in preda al terrore o cose del genere, magari ogni tanto mi preoccupo ma per il 99% del tempo non ci penso.
Penso che anche gli altri intorno a me percepiscano le notizie che arrivano in questo modo, o comunque in modo simile. Non ci sono situazioni di panico.
Però rimane che beccarsi l'ebola non è una cosa divertente, anzi, e allora com'è che vedo tanta di quella gente che ne parla con una leggerezza quasi parossistica e decisamente irritante?
{Stesso discorso, già che sono in vena di dire la mia su qualcosa, per questa tendenza che c'è su diverse pagine Facebook di chiamare "cancro" un oggetto di consumo particolarmente di moda tra determinate categorie di persone (per esempio le Crocs o le felpe a fiori che sembrano delle tende o il nuovo pezzo di qualche cantante pop). Non è male come immagine, che un oggetto di consumo possa essere definito come il cancro della società, anzi direi che è una metafora piuttosto potente. Però l'utente medio non fa questo tipo di ragionamento e pensa solo a commentare con una frase alla moda.}
Tornando al discorso iniziale, le cose che mi vengono in mente sono:

  1. non c'è una gran sensibilizzazione sugli effetti del virus (o se c'è non arriva a destinazione);
  2. la sensibilizzazione c'è, arriva, ma le persone mettono la parola "ebola" in qualunque frase o post per suonare più irriverenti e spaccone (e per attirare l'attenzione in generale);
  3. è semplicemente un meccanismo per sminuire inconsciamente una cosa che è palesemente preoccupante.
Ai posteri l'ardua sentenza, insomma. Nel dubbio, la prossima volta che sento una battuta sull'ebola sparo a zero su chiunque.

giovedì 23 ottobre 2014

Paranoie in-line #2 (Murphy's law strikes again)

Erano diversi giorni che, vedendo le belle giornate di sole che ci sono state, avevo avuto la bella pensata di trovare un po' di tempo per andare a pattinare. E oggi no perché devi fare questo, e oggi no perché devi fare quest'altro, tra una cosa e l'altra ieri mi sono decisa e ho detto "domani se c'è il sole come oggi ci vado".
Stamattina il sole c'era, giuro. Di pomeriggio nuvoloni, ma sembravano già scemare. Alle quattro e mezza la situazione sembrava così promettente che io, appena finito di caricare un po' di musica nel cellulare, borsa coi pattini alla mano, leggings e mega felpa, ero pronta ad uscire. E proprio in quell'istante, vuoi che non arrivi il nuvolone più grande e grigio che io avessi mai visto a coprire il sole? Ho posato i pattini in preda alla disperazione e ho pensato che probabilmente, se non è bel tempo domani, rimarranno lì dentro almeno fino a marzo/aprile.
Salvo poi ripensare a tutte le meravigliose giornate di sole che ho testardamente speso nelle quattro mura della mia stanza a perdere tempo in nulla.
Beh, che mi serva da lezione.

EDIT (pochi minuti dopo): appena schiaccio il tasto "Pubblica", vuoi che il sole non faccia capolino dal nuvolone grigio? Mi sale quasi la rabbia, ma cerco di non pensarci prima di entrare in uno stato mentale di "fanculo-tutti-voglio-andare-a-pattinare-ma-è-troppo-tardi-per-farlo". Perché il guaio è questo. Adesso è troppo tardi per andarci. Bah. Tempo di merda.

lunedì 20 ottobre 2014

This makes no sense this makes no sense this makes no sense this makes no

La distanza è una brutta cosa.

Qualche volta mi fermo un momento, guardo a tutte le cose perse, dimenticate, logorate, a tutto il tempo che è passato, a quello che c'è ancora da passare, e penso "Ma ne vale la pena?".
Mi sento un po' come in quel racconto di Michael Ende dove c'è quel tipo che deve attraversare una stanza infinita per raggiungere la sua sposa, e più passi fa per raggiungere la porta, più sembra che la porta si allontani, e quando finalmente ci arriva è vecchio, quasi cadaverico, e quando la sua sposa arriva alla porta lui ormai è quasi solo polvere. E così la sposa (che è ancora giovane) si incammina verso la porta opposta per raggiungere il suo futuro marito, e avanti all'infinito.
E io ci sono quasi, se riesco a scavalcare i veti di mio padre in virtù della maggiore età che avrò a dicembre (e finalmente, dannazione!) è fatta. Però, per tutto questo tempo, sento come di aver camminato a vuoto. Sento di aver perso tante cose, ed effettivamente è quello che è successo.
Ci sono quasi, ma sono al centro della stanza. Dietro di me, giorni vuoti passati veloci come sabbia nel vento. Davanti a me, giorni altrettanto vuoti che passeranno ancora più rapidi. E se mollassi tutto? Certe volte ci ho pensato. Però poi mi sono detta che no, non posso.
Devo vederti. Arriverò da te in frantumi. Ma devo vederti.

domenica 19 ottobre 2014

Sfogo.

Quando mi salgono i cinque minuti, non riesco a canalizzare il mio nervoso in niente di costruttivo. Posso solo scegliere di urlare, piangere, prendere a calci qualcosa (tutte cose che NON posso fare nella maggior parte dei casi, perché susciterebbero attenzione, curiosità e domande da parte di chi mi sta attorno), o tenermi tutto dentro. A volte ci sono quelli tutti convinti che ti dicono "Ma sì, sfoga la tua energia! Prendi la chitarra e suona fortissimo! Prendi un pennarello e imbratta tutto!". Io sono tra questi, tra l'altro, il che è buffo, perché sommersa dalla rabbia che mi pulsa nel cervello provo a immaginarmi mentre canto a squarciagola o pacciugo un foglio coi pennarelli... e penso che non funzionerebbe mai. Semplicemente non è il modo giusto. Di solito scrivere o fare un lavoro meccanico mi calma. Cosa ancora più strana, considerato quanto ho detto sopra. Non è tanto uno sfogo quanto una distrazione, e infatti, dopo che è successo una volta, due, e poi tre, arriva sempre un punto di rottura in cui non ce la faccio più ed esplodo alla minima provocazione o cosa che non va come dico io.
Alla fine, quando mi prendono questi momenti qui, l'unica vera valvola di sfogo che ho è distruggere qualcosa. Un pezzo di carta, una porta, i miei occhi a forza di piangere, la mia voce a forza di gridare (e questo l'ho fatto. Il problema è che la sensazione di vuoto e calma successivamente era impagabile, quanto era fastidioso non riuscire a parlare decentemente). Qualunque cosa. Il punto è che io non voglio. Vedo persone che urlano o distruggono cose a caso ogni giorno senza un apparente motivo, solo perché hanno i nervi saltati. Ogni singolo giorno. E io ho deciso che non voglio essere così, mai, per nessuna ragione. Perché? Perché se fai così sembri un nevrotico a tratti anche psicopatico. Perché tutti quelli che ti stanno intorno e assistono allo spettacolo assorbono la rabbia che lasci trasparire.
Per non esplodere, devo trovare un altro modo. Andiamo avanti e vediamo se qualcosa salta fuori.

sabato 13 settembre 2014

Ragioni per cui non voglio tornare a scuola.

Diversi mesi fa
*rumore di una posata che colpisce ripetutamente un bicchiere di vetro per attirare l'attenzione* Compagna di classe arrivata quest'anno, che si accinge a fare quello che ha poco prima definito un importantissimo discorso. Inizia a prendere in esame tutte le persone sedute intorno alla tavola, e di ognuna racconta le prime impressioni, come queste sono cambiate, come nuove amicizie si sono strette e, in sintesi, come lei ha finito per amalgamarsi tanto bene alla compagine. Appena capisco dove va a parare la cosa, sento che vorrei sparire.
Cosa potrebbe mai dire di me? Ci scommetto che le ho fatto l'impressione della super secchiona noiosissima dalla prima volta che ci siamo incontrate. E da lì in poi è stato un diminuendo.
Io sono seduta dall'altra parte del tavolo. E attendo pazientemente che arrivi il penoso momento, mentre mi appello a creature mitologiche e santi e santoni di ogni religione, pregando di sparire all'istante, mille metri sotto terra o mille miglia lontano da quel tavolo. O mi sto rivolgendo alle entità sbagliate, o non mi viene dato ascolto, perché arriva il mio turno e io sono ancora lì. A questo punto, mi dico, stiamo a sentire.
"Beh, Mary, che dire... In un certo senso se non fosse per lei non sarei nemmeno qui." *mormorii di incredulità e qualcuno che chiede "come mai, scusa?"* "...beh, mi ha aiutata a preparare l'esame di informatica"
Beh, sono colpita. L'ho aiutata eccome, mi sono bruciata gli ultimi giorni di vacanza e grasse matinée per dare una mano con Java a lei e un'altra ragazza. Ha menzionato l'unica cosa che poteva menzionare per non far capire che non centravo proprio niente in mezzo a quella gente. Ma poi iniziano a parlare tutti gli altri.
"Vabbeh, ma tanto, per quanto era difficile quell'esame..."
"Ma sì, chi ha mai fatto niente di informatica,"
*seguono altri commenti di questo tipo*
Bel tentativo, Elenina, e grazie della considerazione. Ma come hai potuto vedere, screditarmi va più di moda.

Quest'estate, mentre ero anni luce lontano da qui
Ad un certo punto controllo il telefono e mi accorgo che c'è una chiamata persa. Compagno di classe. "Merda" penso "Mi telefona tutte le estati! Adesso lo richiamo, chissà se lo trovo." Rifaccio il numero con una gran voglia di fare due chiacchiere, ma non c'è risposta. Dopo molte peripezie finalmente vengo richiamata.
"Pronto!"
"Ciao Mary! Tutto bene? Cos'hai fatto quest'estate?"
"Bene dai... ho fatto un sacco di cose, esami fino a giugno, a lavorare fino a luglio, agosto al mare e torno tra qualche giorno... *continuo a blaterare per qualche minuto di cose che ho fatto, sinceramente convinta che dall'altra parte ci sia interesse per quel che sto dicendo* e tu come stai?"
"Ma abbastanza bene! *resoconto di un trenta secondi di cose che ha fatto* Tu sei già andata a teatro per quel lavoro che dobbiamo fare di italiano?"
Beh, boom. Doccia fredda. Dopo aver parlato per un po' del suddetto lavoro, chiudo la chiamata. E passato un po' di tempo, realizzo che se non avesse avuto bisogno di informazioni su spettacoli teatrali della mia zona, non sarei stata cercata. Non mi faccio dei grandissimi problemi però. Ormai ci sono abituata.

Qualche settimana dopo
*telefono vibra* Compagna di classe. Apro Whatsapp e leggo. "Ciao Mary! Come stai? Come hai passato l'estate? ^^". Beh, a 'sto giro l'antifona l'ho capita. "Ciao :) Beh abbastanza bene, grazie... dimmi tutto!"
Ovviamente, è rimasto sottinteso (anche se mi sarebbe tanto piaciuto esplicitarlo a male parole) che sapevo benissimo che lei di me e della mia estate se ne sbatteva altamente il cazzo, e che quindi era meglio che evitasse di comportarsi come se le importasse qualcosa.

Io con quella gente non ci voglio tornare ad avere a che fare. Mi consolo con il fatto che sarà solo, su per giù, per cinque ore e mezza al giorno. E cerco di farmi forza pensando che è l'ultimo, dannatissimo anno in loro compagnia. Ma quest'anno se lo ricorderanno bene. Oh, e farò in modo che si ricordino più che bene di me, quando saranno fuori da questa scuola che disprezzano tanto, ma che frequentano con tanta leggerezza. Quando non avranno capito qualcosa nella materia X e saranno nei casini per il compito imminente, si ricorderanno più che bene di me e dell'aiuto che ho dato in passato a chi me lo chiedeva. Solo che rimarrà solo un ricordo, perché io di altro aiuto non ne do. Credevo che mi sarebbe stato utile a stringere amicizia, ad approfondire i rapporti più superficiali. Invece mi ha fatto solo perdere tempo, farmi delle illusioni e successivamente soffrire.
E sarà difficile, perché mi viene spontaneo. Solo che andare avanti così proprio non funge.

lunedì 4 agosto 2014

Dovrei essere a dormire, ma hey, fotto il sistema bloggando


Sono di nuovo giù dalla nonna. Esattamente da tre giorni. La sensazione di non essere mai tornata a casa e il non rendermi conto che in realtà non metto piede a Somma (o nel sud Italia in generale) da un anno, sono tutte cose alquanto strane.

La sera prima del viaggio sono stata fino a mezzanotte e venti a scegliere la musica da mettere sul cellulare. La colonna sonora di questa estate. Che è per molti versi simile a quella dell'estate scorsa, ma più vasta, in un certo senso un po' più completa, e soprattutto contenente non solo cose che mi hanno consigliato altri, ma anche gruppi che ho scoperto da sola. Insomma, scegliersi la musica era un compito non esattamente trascurabile e che richiedeva un mucchio di tempo, e mi ci sono dedicata fino a quell'ora. E poi mi sono messa a scrivere sul diario, perché per un mese non avrei più potuto toccarlo di nuovo. E poi ho finito di leggere per la seconda volta Soul Music di Terry Pratchett, perché avevo deciso che non avrei mosso un passo da Vergato se prima non fossi arrivata alla fine. Tra l'una e le due di notte probabilmente (non ho avuto il coraggio di guardare l'orologio) sono andata a letto, e alle cinque meno venti del mattino ero giù dal letto masticando un biscotto. Non sono sicura di aver mai veramente dormito.

Sono seguite ben 6 ore e mezza di viaggio tremende a dir poco, durante le quali ero stipata come una sardina sul sedile dietro di una Nissan Note insieme a mamma e due fratelli ("Ma se vi fermano?" "Oh beh, se ci fermano ci fermeremo e mio padre farà qualche scenata"), durante la prima parte del viaggio cercavo di dormire, ma essendo sballottata qua e là dalle curve della Porrettana avevo i muscoli del collo continuamente in tensione (con conseguente dolore atroce per il resto della giornata), durante la tarda mattinata nella tratta autostradale il sole batteva dritto sul mio finestrino arrostendomi faccia e arti a go-go, e per le ultime due ore ho dovuto tenere mio fratello (8 anni e una smodata passione per pane e pasta) in braccio. Credo di portarmi ancora addosso la stanchezza.

C'è stata la trafila di visite e parenti da salutare, il sapore di pane (pane come si deve) e mozzarella (che sa di mozzarella, non di latte acido), la nonna che mi manda dal macellaio a prenderle la carne (ormai, anche se mi vedono una volta all'anno, mi conoscono meglio di un habitué), l'odiato sugo domenicale della nonna che ho affondato nel parmigiano (anche se ai miei pareva un sugo proprio speciale) (scusa, nonna), le altrettanto domenicali percoche nel vino, l'anguria, gli avanzi mangiati oggi a pranzo, le pizzette di fiori di zucca, la ceretta a cura di mia zia estetista (grazie, zia) e, dulcis in fundo, due metri di pizza per sei persone. Questi due giorni sono volati, solitamente i periodi trascorsi qui mi sembrano enormemente dilatati, fuori dal normale scorrere del tempo, ma quest'anno non è stato così, chissà come mai.

E adesso? Adesso si va al mare. Domattina si parte e si sta via venti giorni. E quest'anno sarà un po' diverso, vedremo se in meglio o in peggio. La parte divertente comincia ora. Chissà se nuotando perderò un po' di peso, chissà se mi mancherà la balotta che ho lasciato su, chissà se troverò una balotta anche al mare, da non annoiarmi troppo, chissà se consumerò tutti e 15 i francobolli che ho preso prima di partire. Tutto da scoprire a partire da domattina. E ora sarà bene andare a dormire, che poi se no non mi sveglio, e le strade in Calabria sono lunghe e tortuose e riposarmi durante il tragitto mi darà di nuovo il torcicollo.

venerdì 1 agosto 2014

Considerazioni sul #100HappyDays

Imbarcarmi nel #100HappyDays è stata una cosa tutto sommato positiva, specialmente considerando le seguenti cose avvenute in concomitanza:
  • La ragazza che è comparsa nel giorno 1, insieme a tutta la sua compagnia, adesso è l'amica più stretta che ho (oltre ad aver cominciato la stessa sfida nello stesso giorno);
  • Sto imparando a ballare, circa;
  • Sono andata a 3 o 4 feste e altri 4-5 eventi sociali di varia natura e ho suonato in 2 concerti e un saggio, senza contare almeno una decina di uscite; e tutto questo nell'arco di soli 100 giorni;
  • Se prima i vestitini nel mio armadio erano una specie rara, adesso ne ho qualcosa come 7 o 8, e nelle valigie per il mare ne ho messi ben 5;
  • Ho fatto per quasi 6 settimane un lavoro noioso e fondamentalmente brutto, e sebbene le prime settimane patissi le pene dell'inferno e mi maldicessi per aver accettato la proposta di lavoro (ero caduta in un circolo vizioso di pensieri negativi sulla scia di "la mia estate adesso è rovinata"), alla fine non solo sono arrivata in fondo al periodo previsto per lo stage, ma ho anche finito il lavoro per il quale ero stata chiamata. La soddisfazione quando mi sono staccata dal computer dicendo "Ragazze, ho una notizia per voi... ho finito le email" è stata indicibile. E tra l'altro il giorno 100 era l'ultimo giorno di lavoro, quindi ho festeggiato due volte;
  • Ho scritto una canzone, nemmeno tanto brutta;
  • Sono sopravvissuta ad un altro anno scolastico, riuscendo a riportare la media a quella che avevo in prima, e subito dopo ho gestito l'esame di licenza di solfeggio (con voti inimmaginabili considerando quanto ero scarsa il primo anno).
In tutto questo il fatto di non aver avuto periodi brutti (o almeno non che fossero particolarmente lunghi) è stato insolito. E magari in futuro potrei anche rifare la sfida da capo, anche solo per avere una scusa per pubblicare foto dei gelati mega che mangio a merenda.

sabato 31 maggio 2014

Cose curiose di oggi. (Day 39)


  • Finalmente ho dormito per un tempo sufficiente, con annesse due buone orette di rotolarsi nelle coperte in attesa della voglia di alzarsi, ed era tanto tempo che non mi tiravo su a un orario tipo undici e venti, e a dire il vero erano anche due o tre settimane che non dormivo abbastanza.
  • Il viola a teatro non porta sfortuna. Tutta la mia fluente capigliatura era viola sotto quei riflettori dorati (tra l'altro caldi, ma caldi, che neanche le lampade dei forni), nessuna prova generale dall'inizio alla fine, due dei sei attori/lettori principali non avevano mai provato lo spettacolo, ma nulla è andato storto.
  • Per andare a fare il suddetto spettacolo avevo messo in conto la necessità di avere con me un paio di auricolari, ma ne ho avuto così poco bisogno che mi sono ricordata solo cinque minuti fa che li avevo infilati nella tasca della felpa, potrei benissimo averli lasciati a Calcara senza essermene accorta.
  • Guardare le foto di quando avevo i capelli del mio colore naturale mi fa strano. Se dovessi mai voler tornare ad avere il mio colore, ci metterò degli anni tra ricrescite e cose varie, e quando ho fatto la prima tinta a febbraio (che era un bel mogano potente) non ci avevo pensato. Ma non mi pongo il problema, perché questo color melanzana (anche se io preferisco dire che è un color mora) mi pare proprio il mio colore ideale, e in tanti mi dicono che sto meglio così.

martedì 27 maggio 2014

Procrastinazione.

Ogni volta che un
"Dopo..."
uscito dalla tua bocca
ti darà in pasto all'illusione che
"dopo"
ci sarà tempo,
ricorda che questa illusione è soltanto
un banale sedativo,
che quando arriverà il
"dopo"
e il tempo sarà evaporato
in un circolo vizioso,
e la realtà sarà angosciante
e corrosiva,
saprai d'un tratto di aver vissuto
unicamente per le altrui scadenze -
motivatrici dei pigri
e degli ignavi -
e nel cercare in ciò che fai,
con disperazione,
una briciola di passione,
te ne troverai tristemente
svuotato,
senza aver mai avuto il modo -
o la forza! -
di dedicarti.

martedì 22 aprile 2014

One Hundred Happy Days.

Dovrei star dormendo. Ma va', non succede mai che stia sveglia più del dovuto. Vacanze di Pasqua finite in un soffio, durate quanto un normale weekend. Anche se ho fatto più cose, che di solito non faccio (io che esco la sera e sto fuori fino alle undici e mezza? Una cosa del genere non si era mai vista, andiamo). Quello che resta adesso sono due settimane in cui si andrà a scuola tipo quattro giorni in tutto. Passeranno in fretta anche quelle, lo so. Domani è uno di questi quattro o cinque giorni. Ed ecco perché dovrei star dormendo, appunto.

Però di dormire non ne ho voglia, se non altro perché così assaporo gli ultimi attimi di vacanza (?), o forse perché ho nel petto questo strano senso di vuoto, antipatico promemoria del fatto che avrei potuto sbrigare diverse faccende in questi giorni e invece non mi sono mossa per niente. Specialmente oggi. In fondo, che mi costava stare di meno attaccata al computer a perdere il mio tempo in fefinerie per fare qualcosa di utile, se non agli altri, quantomeno a me stessa?

Da un po' di tempo, addirittura da prima delle vacanze, stavo pensando di cominciare una specie di sfida, che consisterebbe nel trovare ogni giorno per 100 giorni qualcosa che mi renda felice anche solo un minimo. Ci ho messo un po' a decidermi definitivamente per una serie di motivi - questo non è un gran periodo e anche adesso che ho preso la mia decisione non sono del tutto sicura che riuscirò a portare a termine la cosa. Però domani si comincia. Ci si prova. Magari a scuola mi farà schifo starci, magari a casa l'ambiente non sarà dei migliori, ma qualcosa di positivo in un'intera giornata ci deve pur essere. Se riesco ad applicare l'intero ragionamento ai prossimi 100 giorni, dovrebbe essere fatta.

Proviamo questa cosa, e vediamo come va.

sabato 12 aprile 2014

La legge di Murphy.

Se qualcosa può andare male, lo farà.
Adesso che ci penso, perché tutta questa ansia di uscire dalle superiori? Ogni precedente passaggio di scuola che comportasse l'ingresso in una nuova classe mi entusiasmava. Questo era solo perché speravo di trovare persone migliori di quelle che erano in classe con me prima, e di inserirmi meglio. Ma se alle medie non è successo, e alle superiori nemmeno, come posso sperare che succeda in università o in un posto di lavoro? Come posso essere certa che non sarà addirittura peggio? Perché il fatto è che può essere peggio.

venerdì 28 marzo 2014

Cose che non faccio più.

Non utilizzo più i puntini di sospensione. A cosa servono? Cosa devo sospendere? I miei pensieri sono un filo continuo e i miei discorsi anche. Non c'è ragione per cui dovrei sospenderli.

Non uso più il punto esclamativo. Salvo rari casi di estrema gioia o estrema disperazione. Non sono una bimbetta esaltata che esulta per qualunque cosa le si pari davanti. Anzi, in generale ho ben poco da esultare.

Non scrivo più sul blog ogni due o tre giorni. Non ho il tempo materiale per farlo, e del resto, scrivere che cosa?

Non scrivo più in generale. Ultimamente preferisco pasticciare con i pennarelli sul quaderno, cavandone fuori in certi casi delle vere opere d'arte che coloro tutte a puntini (non guardatemi male. Sei ore devo farle passare in qualche modo).

Non mi racconto più agli altri. Domande del tipo "come stai?" o "cosa mi racconti?" danno luogo a risposte non vere, non complete o comunque non interessanti. Non faccio niente che ai miei occhi sia tanto particolare, sono intrappolata in una routine gigantica e mi sento generalmente sola, anche se ho a che fare con un mucchio di persone ogni giorno. Alla fine della giornata, per quanto possa aver parlato con ventimila persone diverse delle cose più disparate, rimango io ed io sola a fare i conti con questo senso di stranezza che ho ultimamente e che non mi riesco a spiegare. Qualcosa non va, ma cosa?

Non sono più in grado di fare amicizia con qualcuno e farla durare più di qualche mese (questo, s'intende, nei casi più fortunati). Dopo un po' gli argomenti di conversazione spariscono e comunque il mio concetto di amicizia è molto vago. So solo che, a un certo punto, io non so cosa dire, gli altri non sanno cosa dire a me, io non parlo più con gli altri ed è come tornare ad essere sconosciuti. Salvo poi ripensarci e sentirsi frustrati nel profondo. L'ultimo palese caso è quello del mio famoso vicino di casa. Abbiamo semplicemente smesso di cercarci. Ho smesso io? Ha smesso lui? Non lo so, forse entrambi, ma adesso sono ancora più vuota.

Non condivido più le mie esperienze con nessuno. Ultimamente se voglio andare in un posto o fare qualcosa, dato che tutti trovano scuse o sono impegnati in altro, prendo e faccio da sola. Mi sono comperata i pattini per mio conto e vado ai campi a esercitarmi almeno una volta ogni settimana, senza nessuno che venga con me anche solo a guardare. Non conosco nessuno con cui uscire, per cui semplicemente non esco o vado a fare passeggiate da sola, ma molto di rado. Mi irrita andare in giro da sola e vedere la gente divertirsi in balotta.

Non scrivo più a persone a caso nella chat di Facebook. Una volta scorrevo la lista di persone online e decidevo di scrivere a qualcuno, sulla base di criteri totalmente arbitrari, come per esempio il fatto che questo qualcuno avesse frequentato la mia stessa scuola media, oppure che mi sembrasse una persona interessante. In generale il ragionamento era, "se questa persona è nella lista dei miei amici, ci sarà pure un motivo". E dire che proprio in questo modo avevo iniziato a conoscere tanti di quelli che ormai non sono altro che vecchie conoscenze.

Non vado più a correre né a nuotare. E con chi andrei? Ammetto però che mi farebbe più che bene, se solo ci provassi. Ma trova il tempo: una delle cose che non ho smesso di fare è prendere impegni a destra e manca, e così il martedì, mercoledì e venerdì pomeriggio sono sempre fuori, e gli altri giorni a volte studio e a volte sono troppo apatica per avere perfino lo sbatto di uscire e andare a correre. Piuttosto prendo i pattini, che almeno con quelli mi diverto (sempre ammesso che non abbia preso impegni come partecipare a manifestazioni o pranzi di tesseramento o organizzazioni di concerti).

A questo proposito, non cado più ogni dieci secondi mentre pattino. Sto diventando abbastanza brava. Avrò usato i roller una decina di volte da quando li ho comprati, e sono caduta in totale quattro o cinque volte, il che per me è una media ottima. In più ho imparato a fare le curve decentemente e a capire come funziona la frenata a spazzaneve. E so fare il passo a limone, perché sono favolosa.

Non ho più breakdown a giorni alterni (dicesi breakdown un accesso di pianto improvviso e violento in un momento di accertata solitudine). Non so se questo sia un bene o un male, perché alla fin fine era pur sempre un segnale che provavo qualcosa.

Non credo alle cose e alle persone nella misura in cui ci credevo prima. Quando conoscevo qualcuno che mi stava simpatico, mi esaltavo fisso che sarebbe stata un'amicizia superganza e tutto sarebbe diventato migliore. Adesso, quando conosco qualcuno che mi sta simpatico, parto già prevenuta e faccio scommesse con me stessa su quanto tempo durerà  questa simpatia. "Se tra una settimana non ci sentiamo già più, lunedì mi compero un calzone al bar".

Non ascolto più quelle cose tipo "Symphonic Power Metal" oppure "Film Score Metal" oppure i Dream Theater (HAHAHAHAHAHAHA), salvo qualche volta i Sonata Arctica, a piccole dosi, perché Tony Kakko rimane pur sempre un figo con una voce yeah e la mia cover di They Follow è sempre lì che accumula visualizzazioni da sola, senza che io la ricondivida. Ai Sonata devo tante di quelle cose. Adesso, in molti casi, se devo ascoltare un pezzo che dura venti minuti, dopo dieci minuti mi scende. Ma dipende se il suddetto pezzo è fatto bene o meno e come è strutturato. In generale, non mi atteggio più a metalhead.

Ancor più in generale, non mi identifico più, neanche sotto tortura, con un nome di un fandom (volevo fare un post sui fandom e la scaletta è lì pronta da mesi, si tratterebbe solo di passare alla stesura, ma non riesco a trovare la voglia) (sono incorreggibile). Qualunque esso sia. Non mi chiamo neanche Muser, neanche con la fissa che ho per i Muse. Sono una fan dei Muse, non una Muser. La differenza è sottile per chi non sa cos'è un fandom. Ma non è questo il momento di parlarne.

Non trovo più che andare a dormire dopo mezzanotte sia scandaloso. Ormai andare a dormire all'una anche nei giorni infrasettimanali sta diventando tipo un'abitudine. La cosa preoccupante è che cerco sempre di non prendere caffè, anche se magari la notte prima non ho dormito. L'altro problema è che la mattina mi alzo puntualmente tardi (ha, ha, puntuale nel ritardo, che divertente) e non mi passo neanche un attimo di correttore per essere ai limiti della decenza. Ma sono così invornita che non me ne preoccupo poi troppo.

Adesso, nonostante io non sia particolarmente stanca (dato che ho deciso di saltare la scuola malamente dopo essermi svegliata tardi per l'ennesima mattina di seguito per poi ricacciarmi nel letto fino alle dieci) direi che è anche il caso di dormire. Non so quando scriverò ancora. Sabato e domenica devo studiare super tanto, lunedì idem, martedì e mercoledì e venerdì non ci sono, giovedì non avrò lo sbatto di fare niente comunque, poi è di nuovo sabato e non so in che stato ci arriverò. In pratica è già finita una settimana che deve ancora cominciare. In pratica, io sono qui che scrivo in una notte di fine marzo, ma l'anno scolastico è già finito e l'estate non farà in tempo a cominciare che sarà già finita pure quella, compirò 18 anni in un battito di ciglia e da lì in poi, dice mio padre, il tempo inizia a volare ancora di più. Sono già morta, forse?

domenica 23 marzo 2014

Realizzazione.

Per forza mi ritrovo sempre da sola. Mi chiedo come posso non esserci arrivata prima, è così logico, così chiaro. Si tratta dell'impegno. Non sono in grado di impegnarmi, nei rapporti. Appena qualcosa non mi fa comodo o non mi piace, ecco che svicolo via. Appena gli altri svicolano via ecco che io sono così presa da altro che non me ne accorgo nemmeno. Prendo le distanze e lo capisco solo dopo, quando tra me e gli altri ci sono già mille muri. Poi rimpiango i bey momenty passaty e rivoglio tutto indietro, rivendicando dentro di me chissà quale diritto ("ma come, siamo stati amiky così tanto tempoh, come può essere culo e camicia con un'altra personaaaah?"). Quando in realtà poi nel momento in cui dovrei fare qualcosa per gli altri che comporti una minima variazione della mia personale inerzia, non faccio niente. Non prendo posizioni. Non combatto. Non aiuto. Mi ritiro semplicemente nel mio guscio premurandomi di appenderci sopra un bel cartello che recita "Non disturbare". Ma come ci sono arrivata? Non mi sembrava di essere così, in passato. E quando sono cambiata esattamente, e come? Ma la preoccupazione più grande rimane quella di aver passato un punto di non ritorno pur mantenendo la voglia di tornare come ero. Sai che bel casino. Diventerei praticamente una contraddizione fatta persona. Sarei refrattaria ad ogni forma di vita sociale, ma allo stesso tempo avrei paura di rimanere da sola. Trascurerei chiunque in nome di hobby momentanei o impegni farlocchi, e poi mi lamenterei che non ho nessuno con cui condividere i miei interessi. Non ho voglia di piombare in baratri di depressione/pazzia. Forse ci sono già dentro e non lo so. Magari sono in caduta libera. Dovrei prendere più o meno tutti quelli che sono i miei meccanismi psicologici e azzerarli, cancellarmi la personalità e farmene una nuova, ma non si può, almeno non che io sappia. Mi sento abbastanza confusa.

lunedì 10 febbraio 2014

Generazione disperata.

Sono molto meno sola di quello che penso, anche se dipende molto dai punti di vista. Ovvio è che non potrai mai trovare qualcuno di identico a te, che ti capisce nel modo più assoluto. Anzi, penso che se esistesse una persona caratterialmente/psicologicamente identica ad un'altra, e se queste due persone si incontrassero, probabilmente si detesterebbero a vicenda. Almeno per me sarebbe così.

C'è qualcosa di disperato nel modo in cui ognuno di noi, nel suo piccolo, nel più profondo e segreto angolo della propria mente, lotta con se stesso. C'è chi lo dissimula. C'è chi ci annega dentro. C'è chi scappa via. Qualche pro riesce ad accettarsi, ma io non sono tra quelli.

Alcune cose, le spingiamo via con violenza. Ad altre ci aggrappiamo con le unghie, i denti e il nostro stesso cuore, la nostra più completa disperazione. L'idolatria delle cose, delle persone più improbabili, la mania di spacciare il nostro corpo in giro, il tentativo perenne di sembrare qualcos'altro, qualcun altro; il bisogno di qualcuno al proprio fianco, di un abbraccio. Ci sono tante cose intorno, troppe, tutte quante scivolano via, lontano, nel baratro dell' "una volta...". Non si riesce a respirare una sensazione, nella frazione di un attimo.

C'è qualcosa di disperato nella ricerca continua dell'accettazione, dell'identificazione con qualcun altro, che essa duri per sempre, per qualche giorno o per un secondo. C'è chi si sballa, c'è chi si rovina. C'è chi si rifugia in una canzone, un'azione, un abbraccio. C'è chi cerca approvazione diffondendo un'immagine di sé spesso distorta e mai spontanea. C'è chi si crea una maschera, un guscio, e ti mostra solo quello che vuole. E se si trova qualcuno che si rifugia dalla pioggia sotto la tua stessa caverna, ci si può rifugiare l'uno nell'altro e colmare vicendevolmente le proprie lacune. A me mancano viti, a te qualche rotella, ma se uniamo le forze andremo avanti alla grande.

Noi, generazione di catorci, che camminiamo in avanti con la mente annebbiata, che ci perdiamo nel cercare consenso piuttosto che nelle altre persone. Noi, generazione che va di fretta, intorno alla quale tutto va più di fretta di noi. Noi, inguaribili vittime di un edonismo che ci viene venduto e che vogliamo emulare.

Sono molto meno sola di quello che penso, anche se dipende molto dai punti di vista. Ovvio è che non potrai mai trovare qualcuno di identico a te, che ti capisce nel modo più assoluto. Ma una cosa in comune, una sola, ce l'abbiamo tutti: ognuno di noi si sta perdendo qualcosa.

mercoledì 5 febbraio 2014

Beyond the R.I.M.

Il primo giorno del resto della mia vita? Oh, è stato un giorno fantastico. Se ti guardi intorno, vedrai un sacco di rimasugli e souvenir.

Prendi per esempio quei volantini sparsi più o meno ovunque, dalla portineria delle superiori a qualunque bar o locale dei paesi intorno, dai vicoli più malfamati di BoloCity alla mia scrivania. Dietro a quei volantini c'è un mare di impegno, tante riunioni, giri di telefonate, nomi di gruppi cambiati all'ultimo momento, pomeriggi e giornate intere passate unicamente sulla grafica, magari scorrendo per ore e ore l'elenco dei font alla ricerca di quello adatto, magari finendo per scegliere il primo per cui si era optato, e poi ancora rimaneggiamenti, scadenze, loghi da aggiustare, colori che non piacciono. Soprattutto scadenze. E poi c'è stato il volantinaggio estremo, praticamente massivo, in onore del quale sono state consumate tante suole di scarpe e tanti rotoli di scotch, e che alla fine poteva sortire effetti migliori, ma sicuramente il solo divertirsi ad incollare volantini nei posti più improbabili era già una gran cosa.

Aprendo a caso uno qualunque dei miei quaderni e quadernetti, con alta probabilità troverai una pagina tappezzata di bozze di report, schede tecniche, liste della spesa e brainstorming sconclusionati. Quelli erano i nostri incontri. Quella era la R.I.M. Crew. Eravamo bellissimi, prima cinque poi quattro poi sei poi due poi tre, poi c'era tizio che ci ha mollato, caio che per un po' si è dato alla macchia, e tizia che prima insultava caio perché si dava alla macchia e poi si dava alla macchia pure lei. E poi c'era lo Zio, cronicamente ritardatario, che "ci piace tanto!" e "super!", e quando abbiamo fatto quella riunione al Papinsky con lui abbiamo giocato a biliardino per almeno una mezzora.

Ti è mai capitato di ascoltare Radio Frequenza Appennino? Forse, conoscendo i miei gusti musicali e la robaccia che passano lì, ti stupirai a vederla nella lista dei miei siti più visitati. Era un po' una questione di vanità: uno della radio ci aveva garantito che avrebbero passato il nostro spot il giorno stesso in cui l'avevamo registrato, e quindi tutti dietro ad aprire RFA ogni due per tre e a sorbirsi schifezze sonore per lunghe ore. E sì che il pezzo di sottofondo al nostro spot era il più ganzo che RFA avesse passato in mesi e mesi. C'eravamo Canna, Fede, Busso, Tena e io, chiusi in tre metri quadrati di studio radiofonico, definibile tale giusto perché munito di microfoni cazzutissimi, che tentavamo di buttar giù qualcosa di decente per convincere i bimbiminkia appenninici a venire a sentirci. Tra erre mosce, freddure sui giubbotti, freddure in generale, starlight rubati e registrazioni in alta qualità avevamo passato una mattinata pazzesca. Salvo poi essere sgridata perché ero tornata a casa troppo tardi e la carbonara si era già freddata.

Poi ci sono una camicia stirata e poi indegnamente macchiata di fondotinta, il retro di un manifesto con su scritto a caratteri cubitali "Wall - la tua parete" ben visibile sulla boiserie del mio letto, gli starlight iperfosforescenti perché messi in un fornetto che successivamente al tentativo stava per prendere fuoco, la mia gola che ancora non si è totalmente assestata da quella sera per quanto ho cantato ma soprattutto per le grida di supporto alle altre band, un paio di starlight non ancora spezzati, e pensa, mi porto ancora dietro il sonno arretrato da allora. E se mi guardi bene l'attaccatura delle ciglia, vedrai che c'è ancora del nero, perché ho usato uno struccante pessimo.

Era da quando ero piccola che sognavo i concerti, ma quando ero piccola non avevo la minima idea di tutto ciò che c'era oltre alla musica e all'attenzione puntata sulla mia persona per una manciata di minuti. Non sapevo dei soundcheck, di cosa fosse un jack, di come si impugna un plettro. Non sapevo che si potesse effettivamente trasmettere qualcosa, anche se forse lo intuivo non ne avevo comunque piena coscienza. Non sapevo cos'erano le spie, non conoscevo le magie del service. Non sapevo che una performance complessivamente strabiliante può cominciare anche con un ampli che non funziona e parecchie note stonate. Non conoscevo il concetto di "uccidere le canzoni". Non sapevo che a 'na certa, se non vuoi crollare addormentata con ancora i tuoi tacchi nuovi ai piedi, devi ingurgitare manciate di cibo. Non sapevo che le luci facessero così tanto caldo e dessero così noia agli occhi. Non sapevo cosa vuol dire seguire un evento dal suo concepimento alla sua realizzazione, e rimanere in piedi, fossero anche le due di notte, per aiutare i tuoi compagni a ripulire tutto e lasciare il locale come l'avevi trovato all'inizio, per poi tornare a casa con un passaggio rimediato all'ultimo e crollare sul letto appena arrivata, stanca e sfinita, certo, ma felice, perché hai passato un sabato sera che i sabati sera delle altre diciassettenni sono bazzecole.

Anche se io stessa ho dato una mano a smantellare tutto quello che è stato parte del R.I.M. Festival, non mi capacito ancora che sia finito, che giovedì prossimo non ci sarà nessuna riunione e non dovrò fare grafiche su Photoshop o ordinare bracciali fosforescenti su Amazon, che non avrò più nessun motivo per sentire molti membri degli altri gruppi che erano così simpatici e facevano battute stupide di continuo. Ancora parliamo di quella sera tra di noi, probabilmente rimarrà incisa nella personale storia di ognuno come qualcosa di incredibilmente epico. Le persone che ho conosciuto durante questa cosa sono diventate importanti. E comunque sia, da sabato ho come varcato un limite, il pensiero di aver cominciato e portato a termine qualcosa di così bello come può essere un concerto mi fa sentire più adulta. Come anche la consapevolezza di non essere andata incontro a nessuna sfuriata paterna per essermi presentata a casa alle due di notte mi fa sentire potente. Dovrei uscire più spesso al sabato sera, ora che ho persino trovato una piccola balotta che è disposta a non fare più tardi di mezzanotte, Cenerentola style.

E piano piano sto ricominciando a pensare che per stare un po' meno peggio basta trovare le persone giuste.

giovedì 16 gennaio 2014

Brace yourselves.

Sono mesi e mesi che non scrivo, ma ultimamente sto di nuovo trovando parecchie cose di cui voglio parlare a me stessa e agli altri. Cose che mi fanno arrabbiare, stupire, allibire e soprattutto venir voglia di commentare, perlopiù acidamente, in qualche caso in modo positivo. Se avrò il tempo voglio fare qualche post fatto per bene, con tanto di documentazione, che per chi scrive è sempre essenziale. Il mio occhio critico è sempre stato un po' pigro, e spero di non esagerare nel farlo svegliare e di non sfociare nel classico comportamento del tipo "ascolta il mio tono di voce: ti sto rivelando la verità più grande dell'universo; adesso ascolta le mie parole: in realtà sto dicendo un mucchio di cazzate". Quindi preparatevi gente: è in arrivo un vagone di opinioni non richieste, e non avrò pietà per niente e per nessuno (?).

P.S.: no, non ho intenzione di cambiare la grafica del blog che è ancora palesemente autunnale. Finché non viene almeno un po' di neve, l'inverno nel mio blog non si affaccerà neppure per sbaglio. *protesta*