Cerca

venerdì 14 novembre 2014

Welcome to Porrettana. (Avventure metropolitane del venerdì sera)

Oggi per la prima volta in quest'anno accademico ho avuto lezione di chitarra al conservatorio. Questo implicava che sarei dovuta andare a Bologna e ci sarei dovuta andare in treno, con lo sciopero pesantissimo che c'era e di conseguenza tutte le incognite del caso.
Ho preso il treno un'ora prima del dovuto perché ero certa che almeno quello sarebbe partito, e sono salita su questo treno con la prospettiva di un giro a Bologna completamente inutile.
Invece sul treno ho trovato da far balotta, e una volta a lezione ho fatto un cambio di orario così al volo con il tipo che doveva andare prima di me, e quindi alle cinque e venti ero fuori con al mio attivo un'ora intera di lezione e in tempo più che utile per arrivare con calma in stazione. Col senno di poi, alle cinque e venti avrei iniziato a correre come un'ossessa per arrivarci almeno ai 40, nonostante il treno partisse alle 18.04. Ma andiamo con ordine.
Dopo una breve fermata al 99 centesimi per comprare uno spuntino, peraltro molto imbarazzante perché mi stavo per dimenticare di pagare e la cassiera me l'ha dovuto far presente, mi sono avviata con flemma esemplare e Buddy Holly dei Weezer in sottofondo lungo via Indipendenza. E lì, ta-dan, ecco che mio padre spunta da dietro, dicendomi che erano tre ore che mi stava chiamando. Ovviamente per via delle cuffie non l'avevo sentito.
Beh, arrivati in stazione, scopriamo che il treno su cui ci accingiamo a salire è il primo che parte per Porretta in tutto il pomeriggio, e di conseguenza sono ormai almeno 10 minuti che i posti a sedere si sono riempiti. Dopo una difficile traversata di vagoni alla disperata ricerca di un posto (girare in un vagone zeppo di gente tenendo una giacca, una borsa monospalla e una chitarra non è comodo subito) ad un certo punto vediamo un sedile vuoto che mio padre mi indica vittorioso, ma ci dicono che è un posto già occupato. Però, siccome non abbiamo molta voglia di attraversare altri vagoni, ci fermiamo lì. Prendo dalla borsa i miei cubetti di cocco essiccato e dopodiché con l'aiuto di mio padre e di qualche passeggero riesco a togliere di mezzo giacca, chitarra e borsa. In tutto ciò succede la cosa bella, ovvero che un tizio universitario e molto chiacchierone seduto di fronte a noi chiede se vogliamo sederci al suo posto, offerta che molto educatamente rifiutiamo perché tanto qualcuno in piedi deve stare per forza, e per come la vedo io "è tutta salute!".

Non so bene quali parole usare per rendere l'idea dell'atmosfera che regnava nell'unico treno garantito del pomeriggio di questa giornata di sciopero pochi minuti prima della partenza, considerato che può essere garantito finché vuoi, ma se lo scopo di uno sciopero è creare disagio allora perché non decidere di sopprimere anche quello? Proverò a darne una vaga impressione specificando che:
  • Gli spazi tra un vagone e l'altro, dove ci sono le porte per scendere, erano gremiti di persone, almeno sette o otto, e nei vagoni stessi per ogni gruppo di 3 o 4 sedili c'era una persona in piedi che stazionava in mezzo al corridoio;
  • La speranza era così poca che aleggiava un vago senso di malcontento e nessuno credeva veramente che il treno sarebbe partito di lì a poco (e chi ci credeva di certo non gufava).
Quando finalmente si sono chiuse le porte e il treno si è messo in movimento, si è alzato tutto intorno un generale boato di sollievo. Proprio un boato. Immaginate tante persone che sospirano di sollievo, con, ad libitum, commenti del tipo "Finalmente, non ne potevo più!" oppure "Dai che forse arriviamo a casa stasera!". Però, nello stesso tempo, l'effetto è stato qualcosa di più della somma dei singoli sospiri/commenti, dato che veniva da un sentimento condiviso da ogni singola persona. E' abbastanza difficile da spiegare e non sono sicura di esserci riuscita. Potrei scrivere un intero post o addirittura un intero trattato sulla condizione dei pendolari in Porrettana ispirandomi unicamente a questo strano effetto. Mi sono sentita sollevata persino io, che non avevo proprio nulla di cui sentirmi sollevata essendo sicura della presenza del treno quanto del fatto che sarebbe partito e arrivato a destinazione.

E niente, la situazione a treno appena partito era che io mi trovavo sempre costantemente ad essere un ostacolo per le persone che provavano invano a spostarsi di vagone in vagone (in questi frangenti essere imbalzati come me è un grandissimo svantaggio) e tutti erano abbastanza nervosi. Poi l'universitario simpatico ha detto qualcosa sul fatto che il treno era molto pieno e io ho risposto, più a me stessa che a lui, "Sarà un lungo viaggio". E da lì si è dipanato tutto un filo continuo di argomenti di conversazione, dal treno che stazione dopo stazione si riempiva sempre più fino a raggiungere livelli parossistici (tanto che salire, scendere o spostarsi per cedere il posto erano operazioni che richiedevano "un esperto giocatore di tetris"), alla spettacolare serie di ritardi e cancellazioni che si succedono d'inverno quando c'è neve o ghiaccio in giro, al trasporto pubblico in generale, e avanti all'infinito, o almeno, fino alla mia fermata. Penso che alla fin fine, sulla nostra linea ci sarà pure un livello di disservizio incredibile, ma allo stesso tempo ci si trovano le persone più interessanti del mondo, se si ha la fortuna di incontrarle.
I mezzi di trasporto pieni hanno uno strano effetto sul modo in cui interagiscono le persone, anche se si tratta di perfetti sconosciuti magicamente si metteranno a parlare, a partire da un movimento goffo o da una cortesia chiesta o fatta gratuitamente. Io poi, quando sono su un treno e non ho niente da fare, per la disperazione di trovare un modo di far passare quei 50 minuti di viaggio o forse solo perché sono una persona estroversa e una terribile chiacchierona, mi aggancio alla minima possibilità di avere una conversazione e attacco delle pezze assurde a chiunque, se solo il ghiaccio si rompe. Non lo faccio neanche in modo del tutto conscio o intenzionale, semplicemente mi viene spontaneo. E penso che anche l'universitario simpatico sia più o meno così.
Ora, pur amando parlare e parlare e parlare, dopo una o due ore sento la testa che cede mano a mano che si riempie di brandelli di conversazione. In un treno zeppo come una scatola di sardine, dove molte persone si erano aggregate a chiacchierare tra di loro, questo effetto era molto amplificato. In più, mettiamoci pure il fatto che viaggiare in piedi comporta una forte instabilità ad ogni curva, fermata o partenza (e infatti una o due volte non avevo nulla a cui aggrapparmi e tra un po' mi ammazzavo) e che a lungo andare l'insieme di tutto questo diventa decisamente stressante. Sta di fatto che quando ho visto i lampioncini della stazione di Vergato dai finestrini appannati delle porte del treno, quasi non mi sembrava vero di essere arrivata. Come se per la precedente ora avessi vissuto in un universo parallelo e poi all'improvviso rieccomi catapultata alla realtà del mio paesino di collina.
E lo so, sembra una cosa drogatissima. Però giuro che mi sono sentita proprio così.
Troppi trip in Porrettana.

Nessun commento:

Posta un commento