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sabato 29 ottobre 2016

Pendolo.

Quando si è pendolari è tutto più complicato.
Il rapporto con la città, tanto per cominciare.


Trattenersi per più dello stretto necessario comporta vincoli organizzativi e pianificazioni minuziose, ritmi assurdi e dispendio di energie.
Gli orari dei mezzi sono come pesanti catene che per tutto il tempo si finisce per portarcisi appresso, a cui ogni altra cosa è subordinata. Non rischiare di perdere l'ultimo treno, una questione deontologica.

Tutto ciò che prescinde dagli affari che si devono sbrigare – che si tratti di lavoro, studio o commissioni periodiche – ti accade sotto gli occhi e tutto intorno, ma non ti appartiene mai, non ti tange davvero... come se fosse lontano.
I problemi, gli eventi, le persone, le relazioni, le possibilità, si fanno inconsistenti e si distanziano dal sottile momento in cui si inizia a controllare l'orario per non rischiare di far tardi.

L'unica cosa a cui senti di appartenere, nella monotona vorticosa quadriglia giornaliera tra provincia e città, è il treno. Ambiente di transizione, che mastica via i binari e il tempo, fermata dopo fermata. Teatro di quotidiana disperazione e ordinaria rassegnazione. Qualche volta, complice o galeotto di incontri, o anche solo di sguardi tra individui curiosi.

Casa è inutile, privata di qualunque attrattiva, un dormitorio, salvo rari casi.

La città, una fucina di vita mondana brulicante e irraggiungibile, che si evolve alle tue spalle.

La routine, un susseguirsi di corse e tempi morti.

E nel mezzo, seduto nel vagone a rimuginare, sospeso a metà strada tra due realtà aliene, ci sei tu.

domenica 23 ottobre 2016

APOLIDE (F:)

All'inizio di quest'estate, mentre stavo attraversando uno dei miei periodi più critici, la cui perigliosità era data da qualcosa come quattro o cinque appelli d'esame nel giro di poco meno d'un mese, il mio vecchio pc ha iniziato ad abbandonarmi. E non avrebbe potuto scegliere momento peggiore: mancavano due giorni all'esame di chimica organica, l'ultimo prima dell'agognata pausa estiva, e io non avevo più voglia neanche di provare a passarlo. I miei livelli di stress erano tali che se guardavo il libro iniziavo a pensare alle domande che mi avrebbero potuto fare all'esame, e in tutte le ipotesi mi vedevo incapace di rispondere in modo pienamente corretto. Seguivano accessi di pianto. Ma questa è un'altra storia, tant'è che la sera in cui il pc decise di freezare sulle slide di chimica ricorsi al sostegno psicologico della mamma, trovai la forza di reagire, andai a fare l'esame e presi pure un voto alto da far schifo.

Le condizioni del computer però non hanno fatto che peggiorare da allora. E nel frattempo sono successe diverse cose, per cui mi ritrovavo ad aver bisogno di un supporto informatico di qualche tipo per lavorare decentemente. Così, un giorno, ho copiato lo stretto indispensabile su una chiavetta, e quella chiavetta è diventata Apolide. Ogni volta che la apro dal computer dei miei mi travolge un'ondata di poesia.

Sarà che il concetto di apolide mi ha sempre affascinata, forse in una certa misura mi appartiene. Come se non riuscissi mai a sentire che appartengo davvero ai contesti in cui mi trovo. Sempre un po' inadeguata. Ogni tanto mi sembra che vada meglio, che non sia poi vera tutta questa storia di io che non mi riesco ad inserire e della mia vita che sembra normalissima ma una parte di me continua a sostenere che non lo è. Poi realizzo che era un'illusione. Mi illudo di illudermi. Forse dovrei solo pensare di meno e reagire di più. Tanto più che se mi sforzassi un minimo, probabilmente riuscirei anche a costruire qualcosa intorno a me, e i weekend non sarebbero più un'alternativa tra il nulla cosmico e l'"uscire di casa è una pausa di breve durata che alla lunga non sarà servita". Tutto sommato non credo neanche di saper definire esattamente che cosa cerco da un'amicizia o da una relazione, che cosa non mi soddisfa mai, che cosa dà quel senso di profondità alle cose che nelle relazioni sociali altrui vedo e nelle mie no.

Ogni volta che ci penso concludo sempre che il mio problema è questo bisogno insensato di ingigantire i miei problemi e romanticizzarli, o crearne dove non ce ne sono. E però, il senso di vuoto e di non appartenenza permane, anche quando trovo il modo per dimenticarmene.

domenica 4 dicembre 2011

Fine di un bel periodo.

Certo, credevi che tutto fosse a posto, credevi di aver chiuso con tutti i tuoi fottutissimi problemi e le tue maledette paranoie, fino a cinque minuti fa stavi una meraviglia, respiravi la serenità a grandi boccate come si fa con l'aria nelle sere d'estate, MA cos'è successo?

E' successo che sei stupida e curiosa e spinta da ogni forma di buona volontà. E hai letto qualcosa che magari non volevi leggere, e stavolta non è affatto colpa del tuo subconscio, e ti rendi conto improvvisamente che forse soffrivi per una ragione, e il mondo ti crolla addosso in acuminati enormi cristalli di vetro e lacrime ghiacciate. Ti trafigge da parte a parte, il tuo mondo. Ti passa attraverso, traditore bastardo. Ed eccoti lì piegata in due a piangerti addosso, chiedendoti cosa dovresti fare, il cuore contratto come per rimpicciolire la rabbia, la grande rabbia che ti porti dentro e che cresce e muta in forma e aspetto ad ogni secondo. Eccoti pietosamente indossare la solita maschera, che questa volta rischia davvero di andare in frantumi.

E che cosa farai adesso? Dove vai quando hai mille strade intorno e sono tutte sbarrate? Dove vai quando ovunque guardi hai un ostacolo? Dove vai quando addosso e intorno a te grandinano le tue certezze fino ad ora solide? Per quanto tempo starai con la testa fra le mani, senza riuscire a prendere una risoluzione? Per quanto tempo tenterai inutilmente di spiegare agli altri come ti senti e pianificherai modi assurdi e contorti per uscire dalla tua situazione?

Parlerai? Scaverai dentro il tuo dolore oppure seppellirai l'ennesimo di una lunga serie di strati, che ormai hanno formato una patina impenetrabile di malessere generale sulla tua anima? Continuare così, non puoi. Sai che ti stai autodistruggendo, e che, se non reagisci, bene non andrà certo a finire.

Ma ora esci dalla tua spirale di lugubrazioni deprimenti. Rimanda a domani, non potendo fare nulla per risolvere il problema oggi. Scuoti la polvere e tirati su. Prendi il fiato e ricomincia la salita, che non si muore per gelosia.

giovedì 1 settembre 2011

Di nuovo settembre!

Stamattina quando me ne sono resa conto ci sono rimasta quasi male. "Ancora 18 giorni di vacanza", mi sono detta. Quindi, ora di darsi una mossa a finire i compiti, sia per la scuola, sia per il conservatorio... Oggi infatti ho finalmente ripreso a studiare solfeggio. Tutto sommato, è un bene che fra un po' si riparta con scuola e tran-tran vari. Non sarei certo di quest'opinione se le mie vacanze fossero interessanti. A parte il periodo al mare, passo i miei giorni a fare niente e perdere tempo. Per di più, non avevo quasi compiti... Li ho iniziati la settimana scorsa e sono a metà, me ne libererò a giorni. Sì, il liceo scientifico è talmente impegnativo... Ahahah! Ultimamente sto passando le giornate attaccata al computer per ore e ore. Non è bene per niente. Quando mia madre ieri sera mi ha fatto notare i miei occhi gonfi, ho pensato che stavo proprio esagerando. Oggi ho fatto i miei bravi sforzi per non toccare assolutamente il pc. Quello di cui mi rendo maledettamente conto è che dovrei fare qualcos'altro. Qualcosa di più oltre a uscire al pomeriggio. Le volte in cui sono uscita dal mio paesuccio di montagna si contano sulle dita di una mano... Non sto scherzando! Credo che il problema sia anche la passività dei miei. Ormai si sono ridotti a uscire quasi solo per lavorare e andare a fare la spesa, credo che se ci portassero in giro un po' più spesso cambierebbero anche un po' come mentalità e si convincerebbero che non muoio se esco un paio d'ore tutti i giorni - quantomeno d'estate. Penso che quello che non hanno ben chiaro è che comunque la scuola e i compiti assorbono poco tempo nella mia giornata. Se preferiscono che io stia tutto il pomeriggio al computer, io posso anche rinunciare a uscire durante la settimana. Poi si lamenteranno dei miei occhi gonfi e del fatto che non ho mai niente da fare. Quando il tempo libero è tanto, uscire non fa male. L'anno scorso uscivo pur tutti i giorni! Adesso nemmeno a pensarci, e quando esco non posso tornare più tardi delle sette meno un quarto. In questo momento mi sta assalendo la voglia assurda di uscire alle cinque, sorridere e annuire di fronte all'ordine di tornare alle sette meno un quarto, dimenticare "casualmente" il cellulare a casa, o magari spegnerlo, star fuori finché ne ho voglia e rientrare volontariamente alle nove o dieci di sera, come se nulla fosse. Conoscendoli, alle sette mi chiameranno, io non potrò rispondere e loro mobiliteranno polizia e forze dell'ordine. Per quelli che non ci credono, si accettano scommesse. Sono determinata nel mio proposito. Più che altro, è mio padre che è inflessibile. Non contempla possibilità di disubbidienza e a maggior ragione per me insubordinarmi sarebbe un motivo di godimento profondo. Basta, adesso, compirò 15 anni tra pochi mesi e l'estate prossima sarò inflessibile. Se non la finiscono, le strade possibili sono due: o divento ribelle ed insensibile alle loro strigliate fino a quando loro non si esasperano, o continuo ad accumulare il mio disappunto finché un bel giorno esplodo e litighiamo... e con "litighiamo" non intendo il classico sbraitare di papà che non lascia possibilità di risposta, ma medito di sviluppare del carisma e fare la voce più grossa della sua, tenergli testa. Oppure illustrargli le mie ragioni diplomaticamente (ma credo che non arriverò a molto). Dicono che se ci parlassi potrei migliorare la mia situazione, ma come faccio? Posso anche fare il discorso più assennato e maturo che sia mai stato proferito. Nella loro testa non ho 14 anni, sono ancora una bambina. In più, anche se mi vedessero per l'età che ho, per loro le quattordicenni è già tanto se escono al pomeriggio o hanno un ragazzo. Quanto mi sono arrabbiata l'altro giorno quando ho sentito mia madre dire che sono piccola per determinate cose. L'anno scorso potevo anche accettarlo, ma... Più passa il tempo più mi sembra che mi stiano istigando a comportarmi male. Vorrei che avessero un'idea di quanto poco io mi sia ribellata. Perché se ne rendessero conto, sarebbe sufficiente che sapessero cosa hanno il permesso di fare le ragazze della mia età. Non una o due pischelle che si atteggiano a ragazze adulte: proprio TUTTE le ragazze della mia età. Però purtroppo sono fatti così. Non so se rendo l'idea di quanto sia chiusa la loro mentalità. Essendo originari del sud - una cosa di cui in famiglia siamo fieri tutti (ormai anche il mio fratello più piccolo ha iniziato a parlare in dialetto napoletano) - pensavano fosse normalissimo e giustissimo avere la mentalità che hanno. Ebbene, quando siamo andati a trovare i parenti di giù, si sono rivelati avere una mentalità più chiusa di chi al sud ci vive. In altre parole, le loro opinioni su quel che alla mia età si può o non si può fare sono basate su quello che potevano o non potevano fare LORO. Una cosa di cui io mi INFISCHIO! Se non mi rendessi conto che è una vera e propria cazzata, scapperei di casa. Anzi... Sarei già scappata! Proprio per il gusto di fargli un dispetto. Anche perché tutto sommato li conosco anch'io da 14 anni, e di loro so tante cose. In passato si sono preoccupati per molto meno. Dovrei trovare il modo di parlarci e chiarire questo discorso. Stasera siamo arrivati al punto che devo chiedere il permesso per rispondere al cellulare se mi chiamano. Io che volevo smettere di pensare alla mia schifosa vita sociale per una decina di minuti, mi sono ritrovata a piangere per tutta la durata della telefonata. Evviva! La scuola mi fornirà una via di fuga da tutto questo. Voglio riempirmi d'impegni. In casa non ci voglio stare. Adesso basta. Con questi discorsi depressoidi sono riuscita a rovinarmi la serata. Però stavo esplodendo.

E adesso è ora di chiudere il pc. Ho già sorpassato il limite, per oggi. Domani sera suonerò. Me lo prometto. Così non potrò stare al computer. Animo, vediamo di dare un senso a questi ultimi giorni di vacanza!

mercoledì 10 agosto 2011

Non è così facile voler bene a una persona.

Per qualcuno può anche esserlo, ma non per me. Devo avere qualche specie di problema, una mente di provenienza aliena, forse, ma non riesco a non star male per... per lui. Per i motivi più futili, ad esempio anche un messaggio senza risposta, o anche sentirlo sbrigativo. Mi sto iniziando a sentire decisamente nevrotica. Appiccicosa come la carta moschicida. Faccio una fatica enorme a non tenermi tutto dentro, a non iniziare a bombardarlo di messaggi. Potrei anche definirlo l'ennesimo effetto collaterale della crisi d'astinenza, se non ci sentissimo tutti i giorni e non l'avessi visto giusto l'altro ieri, per un lasso di tempo considerevole. E come se non bastasse, ci va di mezzo anche la gelosia. Non mi sopporto più. Sto diventando troppo possessiva. E dai su, non si può piangere per ogni minima cosa! Sto cercando in tutti i modi di sdrammatizzare... di migliorare la mia situazione... Se devo dire la verità, non so nemmeno il motivo preciso per cui sto così. Sto proprio male. Però quando vado ad elencare le possibili ragioni mi rendo conto che sono stupide. Non reggono. Per quel che riguarda la gelosia, non si tratta di scarsa fiducia in lui, ma in me. Mi sento sempre inferiore, inadeguata. Mi soprassale in continuazione la paura di poter essere sostituita da qualcun'altra, la certezza che ci sono centinaia, migliaia di persone che sono meglio di me, e che sono tutte dietro l'angolo. Mi sento come se il mondo cospirasse contro di me... No, ok, adesso non esageriamo. Dovrei distrarmi, ma come, visto che sono capitata in questa famiglia dove non mi è permesso uscire la sera perché è troppo pericoloso e io sono troppo piccola? Uffa, voglio essere grande e partecipare a tutti gli eventi sociali che mi pare. Oppure voglio che le quattordicenni siano universalmente considerate piccole per uscire la sera, andare agli happy e in discoteca. Stranamente, solo ora ci sto pensando meglio e mi rendo conto che le parole che ho scritto possono essere tradotte con "voglio omologarmi". Perché io, sotto certi aspetti, VOGLIO omologarmi. Argh, processi inconsci emulativi del cazzo :'(

sabato 6 agosto 2011

Ok, oggi non è giornata.

Ci ho provato a tirarmi su il morale, ma non ci riesco. Il mio senso di autocritica mi impedisce di sorridere senza scoppiare in lacrime un secondo dopo. E non sono io che dovrei stare male, è questo il bello. Il problema è che seppure per una quantità di tempo limitata, ho fatto star male una persona a cui tengo. Più o meno è da ieri sera che assumo l'aspetto di una fontana a minuti alterni. Eppure è tutto a posto, già il rimedio l'abbiamo trovato, ci siamo chiariti. Devo proprio fare questo uso inaudito di lacrime? Non servono a NIENTE. Non sono utili, e non sono nemmeno motivate. E allora. Penso che sotto ci sia la paura. Paura di perdere quella persona o di aver irrimediabilmente rovinato il rapporto che c'è tra noi. O forse meglio dire "c'era"? No...! BASTA!!! Non ci posso pensare. La sola idea mi fa piangere di nuovo. Sinceramente di lacrime ne ho già versate abbastanza. Non so cosa dovrei pensare. Da un lato, mi merito di stare così... Dall'altro, credo di star trasformando la questione in una tragedia greca. Mi serve ancora un po' di tempo per capire bene a cosa mi porterà la mia ennesima insensata dimostrazione di sbadataggine.