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martedì 11 marzo 2025

Del lavoro domestico

Oggi ero a Vergato per una toccata e fuga a causa di visite mediche varie. Un giorno un po' diverso dagli altri. Come sempre accade quando capito per casa in settimana, mia madre mi coinvolge nella routine domestica: predisporre il pranzo, mandare la lavastoviglie, stendere la lavatrice. Quindi, tornata dalle mie commissioni, prima di iniziare a preparare la pasta, mi sono messa a stendere. È un'attività abbastanza rilassante, meccanica. Stendevo i panni e pensavo a tutto e a niente, un po' come quando si medita. Poi, cercando di stendere una maglietta su un filo corto dello stendino, mi sono accorta che il filo non era abbastanza lungo perché la maglietta riuscisse a starci ben distesa. E gli altri fili lunghi erano già tutti pieni. Quindi, logicamente, ho iniziato a ridisporre un po' di panni spostandoli da un filo all'altro. E in quel momento ho realizzato che, ok, stendere i panni non è un'attività alla quale sia attribuito chissà quale valore intellettuale o cognitivo, ma ci vuole metodo per stenderli bene. Ci vuole un criterio, ci vuole cura. È proprio come fare un lavoro. Nello stesso modo in cui un muratore che si accorge di aver messo un mattone storto lo risistema, così se ci si accorge di aver steso un indumento tutto stropicciato si procede a tenderlo meglio sul filo. E proprio come tutti i lavori, si può fare male. Si può imparare a fare bene, se qualcuno te lo spiega e ti corregge. Ho pensato a come ho imparato a stendere i panni, e principalmente i mezzi sono stati due: farlo insieme a mia madre o mia nonna che mi insegnavano effettivamente, oppure farlo da sola (perché incaricata) e prendermi degli urli da mia madre o mio padre (!) che trovavano da ridire. E con gli urli piano piano impari che le cose vanno stese per bene, che meno pieghe lasci stendendo e più è facile stirare dopo, che le mollette lasciano i segni sul tessuto e quindi gli indumenti vanno piazzati in un certo modo per minimizzare l'impatto estetico.

E poi ho pensato al mio lavoro, non quello domestico, ma quello che faccio in laboratorio, e che si compone anche quello di molti accorgimenti e procedimenti molto metodici. Ho pensato a quello che faccio quando trasmetto queste procedure ad altri, per esempio colleghi che imparano una tecnica nuova oppure tesisti che seguo. Di certo non li incarico di fare qualcosa di nuovo senza la mia supervisione per poi dargli degli urli in testa quando hanno trascurato questo o quel particolare. Siamo d'accordo che sono analogie estreme: se un muratore inesperto costruisce un muro male, o se unə tesista mi contamina tutte le colture, è un guaio molto più grosso rispetto a un figlio o una figlia che stendono male i panni o non fanno bene la cucina. Però mi chiedo come cambierebbe il nostro approccio al lavoro domestico se lo pensassimo come un lavoro: non una cosa che si fa come capita, ma un compito che ha un inizio, una fine e una serie di accorgimenti e metodi precisi, con dietro delle ragioni sensate, per essere svolto bene. Cosa succederebbe se i genitori insegnassero ai figli il lavoro domestico in questo modo? Se li supervisionassero finché non fanno per bene, e ammettessero e correggessero gli errori con pazienza, come si fa con gli apprendisti? Come ce lo vivremmo il nostro lavoro domestico, se lo avessimo imparato così? Secondo me, a naso, molto meglio. È immensamente meglio fare una cosa a modo perché sai che ti aiuta a mantenere l'ordine e a minimizzare gli sforzi, rispetto al farla perché se no una mini-madre o un mini-padre nella tua testa iniziano a urlarti contro.

Spero di espandere questo ragionamento sul lavoro domestico in qualche post futuro, perché le linee di ragionamento che partono da questo pensiero che ho avuto oggi sono svariate. La principale che mi viene in mente è, sempre facendo un'analogia con il lavoro in laboratorio, che come nelle professioni, anche nel lavoro domestico si costituiscono dei ruoli. Qualcuno coordina, qualcuno esegue, chi esegue può essere più o meno partecipe dei motivi per cui deve fare una certa cosa in un certo modo. Quando si parla del carico mentale legato al lavoro domestico, si parla proprio di questo: chi coordina ha un ruolo più pesante, e in casa spesso chi prova a coordinare è anche l'unica persona che ha in mente lo stato in cui dovrebbe essere mantenuta la casa. Me lo lascio come auto-promemoria. Ci penserò su.

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