Tra cento giorni c'è la maturità. Tra un paio di settimane abbondanti ho l'esame di guida. Domani sera parto. Domani mattina forse sono interrogata in storia (e mi ostino a non cominciare a ripassare nonostante sia praticamente ora di andare a letto). Alcune cose vanno come dovrebbero. Molte cose vanno a puttane.
Guardo la mia vita sfrecciarmi davanti passivamente mentre abbasso gli occhi sul cellulare per controllare se tizio o caio mi hanno risposto su whatsapp, o cerco su Youtube un'altra playlist di canzoni indie, quelle che mi varrebbero il titolo di hipster secondo cert'uni. Rispondo a un paio di messaggi, ascolto due o tre gruppi e siamo già a marzo. Ma non era gennaio un secondo fa? Che se poi mi ci metto e penso a tutte le cose che ho fatto negli ultimi due mesi, ma anche nell'ultimo anno, penso "certo che ne è passato di tempo, ne sono successe di cose, è cambiato proprio tutto da allora". E io sono lì in dormiveglia, tra il sonno arretrato e i mille impegni e i mille amici e le mille cose che riempiono la mia anima di vuoti incolmabili. Sono lì che faccio la gimcana tra le sfide di ogni giorno, e ogni giorno passa più in fretta di quello prima, ogni sfida è più spaventosa all'apparenza e più facile all'atto pratico di quella precedente, tutto scorre via in una danza vorticosa, i giorni si confondono, io non so più chi sono, e mi appresto a uscire dall'adolescenza senza nemmeno rendermene pienamente conto, o senza aver fatto quasi alcunché di adolescenziale. Gioventù buttata al vento.
Faccio fatica a fissare le emozioni, anche se lentamente sto ricominciando a disegnare a matita cose tangibili, dopo almeno un anno o due che facevo solo impietosi pasticci astratti di pennarelli. Di poesie, invece, nemmeno l'ombra. A volte mi sembra di trovare uno spunto, un accenno di ispirazione, ma poi mi rendo conto di non saperlo tradurre a parole con la sintesi e la disinvoltura che vorrei. E faccio fatica a dedicare tempo alla scrittura, anche se ho provato l'inusitata esperienza di scrivere un racconto, e ho già deciso nomi dei personaggi, dei luoghi, storia, finale e tutto, ma stilisticamente è povero e non comunica assolutamente nulla. E quindi neanche svolgendo i concetti in prosa riesco a comunicare in modo efficace.
Dovrei coltivare mille e una cosa per riuscire a sentirmi completa, ma so che sono troppe comunque e quindi non ci provo nemmeno. Il problema è che trascuro anche le cose che dovrei necessariamente fare, e se solo ci penso mi viene male. Dovrei murarmi nella mia stanza da quando finisco di pranzare a quando è ora di andare a letto, con solo i libri di scuola, gli spartiti, i fili del modem tagliati malamente con le cesoie e i paraocchi per assicurarmi di non perdere tempo a guardare in giro. E soprattutto senza cibo. Mi dico "Oh sì, oggi torno a casa, pranzo veloce, per le tre avrò sicuramente finito di lavare i piatti e filo immediatamente in camera a studiare in modo da aver fatto tutto entro ora di cena". Poi va a finire che i piatti li faccio alle quattro, mia madre contemporaneamente arriva, ci scambiamo le solite quattro chiacchiere d'ordinanza, alle quattro e mezza torna mio fratello dalle elementari e ne approfitto per fare merenda tutti insieme, consapevole che le schifezze più libidinose mamma le tirerà fuori in quell'occasione, e magari ci scappa anche un tè (che sistematicamente impiego un'eternità a bere per non bruciarmi la lingua). Quando sono brava, comincio a studiare alle cinque. Inevitabilmente finisco a mezzanotte e non suono nemmeno per evitare lagnanze genitoriali e nottate oltraggiose.
Ma dopo la studiatona overnight di storia e la conseguente interrogazione di domattina non dovrò pensare ai libri per un po'. Me ne vado in gita a Praga e non voglio pensare più non solo ai libri, ma a qualunque altra cosa, eccezion fatta per gli amici più stretti che subisserò di foto e i parenti a cui dovrò prendere i souvenir d'ordinanza. E anche in questo caso, se penso che è la mia ultima gita sento un gran vuoto nel petto. La vita da universitaria vale miliardi di gite per me, ma una parte di me si è fatta la strana idea che quest'ultimo viaggio ufficiosamente definito d'istruzione debba avere necessariamente un che di epico, perfetto e memorabile. In effetti si prefigura come migliore del solito, perché per una volta nelle classi che vengono insieme alla nostra ho alcuni amici con cui so che posso fare balotta. E mi hanno detto tutti che la città è bellissima, e che forse si va a ballare (e se penso che l'ultima volta che ho fatto qualcosa che si avvicinasse all'andare a ballare è stato in gita a Monaco lo scorso anno...). E ho la valigia già praticamente pronta, con forse un paio di aggiunte dell'ultimo minuto da fare, ma vedrò. E la partenza già di per sé sarà suggestiva, ché saliamo in pullman a mezzanotte e passeremo la nottata in viaggio a cercare di dormire seduti. Viaggiare di notte è magico. Ti addormenti in un posto e magari fai un sonno da trip di acidi, per cui la tua mente viaggia lontano, e al risveglio realizzi che hai viaggiato lontano anche col corpo. Sarà stato grazie al sogno? Non è che sei ancora dentro al sogno? Hai strumenti per saperlo dire con certezza? Potresti rimanere nel sogno per sempre. Poi arriva il momento del ritorno e i ricordi dei precedenti quattro o cinque giorni rimangono isolati come una bella bolla di sapone e col passare dei mesi se ne volano via nell'etere. Poi arrivano l'esame di guida, le simulazioni di prove d'esame, le studiate, la tesina, i documenti del 15 maggio, i programmi d'esame al Conservatorio, l'inizio degli esami veri e propri. Non so neanche se uscirò intera da metà delle cose sopra citate.
E non sarà che l'inizio.
E il libro di storia è ancora chiuso. Sarà bene che lo apra subito prima di rischiare davvero di fare le due di notte di nuovo.
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