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venerdì 25 gennaio 2013

Crash.

Sono costantemente ossessionata dall'esistenziale questione di cosa sto esattamente diventando.
Di me agli altri non resta più un'impressione, un ricordo, niente. Ogni tanto penso e mi comporto come se me ne importasse alcunché, cerco un posto vuoto dove piangere in pace, ma almeno le mie lacrime sono ragionevoli e non si sprecano in cotali stupidi modi. Così puntualmente arriva qualcuno e mi coglie in flagrante col mio muso lungo. Ancor più puntualmente e spudoratamente pensa e si comporta come se gliene importasse. Non ne capisco onestamente il motivo. Se una faccia da funerale passa inosservata per cinque ore, non arrivo a comprendere come salti agli occhi nei due fottuti minuti in cui uno si allontana dalla gente che gli dà tanto voltastomaco. Scappi dalla realtà e quella ti insegue come un cane dietro alla sua pallina da tennis, e allora perché anche solo tentare la fuga, perché non abbandonarsi e arrendersi a questa realtà, giusta e gradevole quanto del pesce cotto nel latte rancido?
In qualunque cosa che faccio o posto in cui vado sono sempre costantemente di passaggio, dalla mia inutile vita scolastica al pranzo e alla cena, come se non ci fossi, come se gli altri non ci fossero.
Guardo i miei compagni di classe lottare per il contatto con una porzione bollente di termo, la mia prof di solfeggio che mi squadra con aria inquisitoria dinanzi alla mia ennesima dimostrazione di scarsa preparazione, i miei fratelli incantati davanti ai loro videogiochi, guardo e passo, nessuno mi ferma, dinanzi a loro, dinanzi a tutti sono come invisibile. Tutte le persone mi appaiono così lontane, così diverse. Al punto che quando sono loro a rivolgersi a me, io le respingo bellamente.
Diversa, diversa, diversa. Sono io quella diversa in tutto questo, quella sbagliata. Sospesa a metà tra ingenuità e spirito critico, appesa al flebile irrazionale filo spinato dell'incoerenza. Ibernata per interessi scientifici del destino a metà di una metamorfosi, non mi adatto più ad alcuna situazione. E tuttavia ancora insisto a scivolare cadere annegare nella mia presunzione di essere, nella mia diversità, migliore, e mentre scivolo cado annego vorticosamente avvicinandomi al fondo la consapevolezza profonda di non esserlo lentamente crea nella mia testa un conflitto. Esplodo come un'equazione che contiene l'infinito. Prendo a calci le cose, imitando involontariamente persone a cui non vorrò mai somigliare. Urlo, urlo, urlo più forte che posso soffocando la voce nelle coperte. Perdo la voce, la rabbia e la belligeranza, svuotata come un fiume in secca.
Nessuno, ecco cosa sono, chi sono, un nessuno che vaga invano e le cui azioni sono in funzione di decisioni prese prima, prima di perdere quella matassa ingarbugliata che era la mia identità. Eppure ancora ho le mie manie di protagonismo, le ipotetiche scenate ad effetto dipinte nella mia mente, che se ci dovessero poi mai essere davvero, mi toglierebbero semplicemente la reputazione che ancora mi resta, e che non è mai stata tanta.
Un senso, datemi un senso, io il mio l'ho smarrito per strada o forse non l'ho mai davvero avuto, se non quello di essere meramente utile all'altra gente, sfruttata dall'altra gente, invisibile all'altra gente.



E adesso?

2 commenti:

  1. Nessun essere umano è realmente qualcuno e sono tutti figli delle circostanze. Cosi però le emozioni perderebbero di significato, quindi chiunque dica di essere sincero quando cerca di far provare un emozione ad un altra persona diventa un ipocrita, compreso me.

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  2. Il senso che cerchiamo è spesso più vicino a noi di quanto immaginiamo..

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